Nemmeno questa volta si è avuto il coraggio di toccare il gigantesco finanziamento di Stato alle forze politiche, fatto passare per 'rimborso elettorale'. Eppure una strada ci sarebbe e aiuterebbe la democrazia: quella vera
I finanziamenti illegali ai partiti da parte di imprenditori, faccendieri e perfino cooperative dilagano più che mai. Gli enti pubblici locali sono in buona parte divenuti macchine per incanalare il denaro verso la politica. Importanti personalità economiche attaccano le degenerazioni dei politici. Nei partiti personali, con il controllo del denaro pubblico, i capi diventano i padroni dei loro stessi iscritti.
L'ingente (e fasullo) rimborso spese elettorali è ormai una voragine che ingoia miliardi della collettività contro la volontà di tutti. In questo orizzonte è doveroso chiedersi senza demagogia se si può andare avanti su questo registro o se, invece, si devono trovare metodi alternativi sul terreno decisivo di "soldi & partiti".
Negli ultimi tempi la polemica pubblica si è concentrata sugli stipendi degli eletti ma è stato trascurato il nodo del finanziamento alle forze politiche che pure costituisce una delle maggiori colonne portanti della "partitocrazia senza partiti". I fautori dell'attuale finanziamento sostengono che la politica costa ed è quindi doveroso che vi sia un (sostanzioso) contributo pubblico quale conquista della moderna politica democratica. A tale argomento si può rispondere che è sì vero che la politica costa, ma non è detto che l'unica soluzione debba necessariamente essere l'attuale metodo di finanziamento interamente statalista e centralizzato, istituito nel 1972 e dilatatosi proprio dopo il referendum che nel 1993 ne decretava l'abrogazione. Vorrei perciò suggerire una strada alternativa consistente in un finanziamento misto privato-pubblico non statalista e centralizzato, fondato sulle scelte esplicite di ciascun cittadino piuttosto che sull'imposizione statale.
È il metodo del finanziamento volontario effettuato da persone fisiche e giuridiche (società, associazioni, sindacati) che per libera scelta possono donare contributi non soltanto ai partiti ma anche alle loro articolazioni territoriali, ai candidati e ad altri soggetti quali movimenti ad hoc, referendari, ecc. Ovviamente le donazioni devono essere contenute entro soglie massime relative sia a chi dà sia a chi riceve. L'obiezione a questo metodo, in uso in molti Paesi occidentali, è duplice: di non riuscire a coprire i costi e di mettere il denaro sopra la politica.
L'esperienza, al contrario, dimostra che la scelta di donare volontariamente denaro a soggetti politici senza passare dallo Stato incentiva soprattutto i contribuenti più modesti. A patto che vi sia un meccanismo chiaro di completa deducibilità dalle tasse entro regole e limiti stabiliti che tengano a freno le velleità dei ricchi. Questo sistema richiede una semplice registrazione dei soggetti abilitati a ricevere finanziamenti. I quali sono chiamati a tenere un analitico rendiconto dei contributi ricevuti così come i donatori devono fare per tutte le donazioni nominali. Alle spese elettorali andrebbero messi dei tetti massimi accompagnati da rigorose sanzioni oltre che penali anche amministrative (la perdita dei diritti) per chi non rispetta le regole. Tale sistema volontario-privatistico può essere accoppiato con un limitato rimborso pubblico elettorale in proporzione al voto da effettuarsi direttamente ai soggetti locali che concorrono alle elezioni.
Oggi si sottovaluta l'importanza del finanziamento della politica quale elemento costitutivo della democrazia. Un sistema regolato di finanziamento volontario dal cittadino al soggetto politico preferito avrebbe alcuni effetti positivi: assicurerebbe l'uguaglianza dei punti di partenza dei soggetti elettorali; scoraggerebbe la nascita di partiti (e giornali tipo Lavitola) fasulli che si reggono con i nostri soldi; rispetterebbe le volontà individuali deprimendo le pulsioni antipolitiche; metterebbe i gruppi d'ogni genere in condizione di sostenere legittimamente le forze e le persone che difendono i loro interessi; solleciterebbe i partiti a funzionare secondo regole trasparenti; sottrarrebbe gli iscritti alla dittatura dei capi e capetti di partito che controllano il pubblico denaro.
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