Il casino totale della maggioranza parte dalla crisi libica ma rischia di esplodere sotto la Madonnina. Perché la Lega non farà cadere il governo su Gheddafi, ma non accetterebbe mai una sconfitta nella 'sua' Lombardia
«Porta sfiga parlare di queste cose. Però, sì, lo ammetto: ho avuto una lunga telefonata con il presidente Berlusconi il quale mi ha detto che si sta interessando ad un mio ingresso al governo». Così parlava mercoledì, placidamente seduto su un divanetto di Montecitorio, il piemontese Roberto Rosso.
Rosso - cinquant'anni, avvocato ex democristiano, ex forzitaliota, poi pidiellino, quindi passato in Futuro e Libertà e rapidamente rientrato nelle file della maggioranza dopo un miracoloso incontro con Berlusconi il 17 febbraio scorso - è uno dei tanti postulanti che che stazionano notte e giorno nel Palazzo in attesa della nomina. Insieme ai vari Pionati, Siliquini, Belcastro, Melchiorre, Catone, Villari, gruppone a cui si è aggiunto in extremis anche l'ex finiano Luca Bellotti che qualche mese fa stava sul palco di Mirabello a lanciare il nuovo movimento del presidente della Camera e ora punta a un sottoposto all'Agricoltura.
Tuttavia Rosso e i suoi colleghi probabilmente non potevano scegliere momento peggiore per battere cassa: la questua dei Responsabili e degli altri transfughi in cerca di rimpasto è finita infatti per cascare nel pieno del casino Berlusconi-Bossi, con la Lega che attacca il premier sulla decisione di bombardare la Libia.
Il risultato è che il premier si trova a gestire una situazione complicatissima, che parte da Milano, passa per Tripoli e arriva a Roma.
Cosa c'entra Milano? Presto detto: quella che fino a poche settimane fa sembrava una passeggiata - la riconferma della Moratti al primo turno - ultimamente si è parecchio complicata, sia per le vicende personali e politiche del sindaco (la bat-casa del figlio, l'Expo che è lontanissimo dal decollare...) sia per i casini scoppiati con la vicenda Lassini, il candidato ultrà che ha di fatto diviso il Pdl milanese tra estremisti anti-pm (Mantovani, Santanchè etc) e 'moderati' come la Moratti medesima. Sicché l'elezione per Palazzo Marino sembra improvvisamente molto incerta: con la Lega che non ha alcuna intenzione di assumersi la corresponsabilità di un'eventuale sconfitta nella città in cui il centrodestra è nato.
Al nodo Milano si aggiunge quelli libico: Berlusconi ha annunciato i bombardamenti senza nemmeno consultare Bossi («Non volevo disturbarlo durante le vacanze di Pasqua») e il Carroccio si è un po' stufato di farle passare tutte al Cavaliere, riducendosi al ruolo di eterno portatore d'acqua.
Così da Milano e Tripoli si arriva a Roma: dove nelle ultime settimane il premier si è occupato soltanto di sistemare il puzzle per saziare i famelici Responsabili, trovando loro poltrone e strapuntini di governo e rischiando di creare un rapporto privilegiato con questo partito di plastica (non esiste al di fuori di Montecitorio) ai danni dell'altro alleato, la Lega, che invece sul territorio esiste eccome.
Il tutto mentre anche nel Pdl si è in piena guerra per bande, con le varie 'cene' di correnti che si organizzano in vista di un dopo-Berlusconi che prima o dopo arriverà e che rischia di somigliare molto a un'esplosione di tipo iugoslava.
Insomma la politica italiana al momento è un pantano, una guerra di posizione esasperante dove diventa quasi impossibile separare la verità dalla propaganda e dove lo scontro finale non arriva mai.
Difficile che possa essere risolutiva anche una votazione in Parlamento sui bombardamenti libici: la crisi non si fa sulla politica estera, ma è chiaro che la fiducia tra Berlusconi e Bossi non è più quella del dicembre scorso.
E le conseguenze si vedranno presto: quando si tratterà di votare sulla prescrizione breve (l'ultimo passaggio in Senato) o sul decreto che dovrebbe impedire il referendum sul nucleare o sulla manovra economica. Maroni è stato chiaro e minaccioso: «Non si può chiedere alla Lega di votare sempre sì. Non siamo qui a spingere il pulsante». Insomma, basta appiattirsi sulle cene di Arcore, il partito deve riprendersi la sua autonomia di movimento.
L'immagine di Bossi che abbaia sempre ma non morde mai inizia a stare un po' stretta ai dirigenti ma soprattutto alla base del Carroccio. In questo senso, decisiva potrebbe essere - più che Tripoli - proprio a Milano: con ampie fasce della Lega pronte a rovesciare il tavolo in caso di una sconfitta così grave nella 'loro' Lombardia.
Insomma, è casino totale. E adesso ai Responsabili chi glielo dice?