Insulti. Gestacci. L'ignoranza ostentata come virtù. Bossi recita la parte del rozzo. Per fabbricare consenso. Un libro racconta come

Pubblichiamo un estratto dell'introduzione firmata da Gad Lerner al nuovo libro di Lynda Dematteo, "L'idiota in politica. Antropologia della Lega Nord" (Feltrinelli), in questi giorni nelle librerie

Sia ben chiaro, Lynda Dematteo non insulta: descrive con sapienza un'innovazione comunicativa che ha finito per travolgere i fondamenti del confronto democratico. L'idiota in politica è una figura vincente che da un quarto di secolo occupa la scena pubblica italiana, ma che nessuno prima di lei ci aveva rivelato nella sua formidabile efficacia simbolica. E naturalmente Umberto Bossi non è idiota. Fa l'idiota, cosa ben diversa. Somministra con astuzia dosi miscelate d'ironia e di furia. Utilizza i trucchi comici della derisione, gioca con i cliché, manipola una tradizione di comodo, deforma gli avversari con la parodia, indossa la maschera carnevalesca del popolano contrapposto ai potenti. Ci siamo talmente abituati a questo gioco quotidiano di idealizzazione e denigrazione, elaborato fin dagli esordi politici della leadership leghista, da restarne imprigionati. E infine assuefatti.

Lynda Dematteo non insulta, al contrario. Condivide la vicenda emotiva vissuta dai soggetti della sua ricerca, apprende i loro codici e quindi sperimenta su di sé i medesimi processi suggestivi da cui trae alimento la militanza leghista di base. Rivive con/nella Lega il tempo dell'opposizione intesa come spavalda alterità; e successivamente descrive lo spirito di corpo, la disciplina gerarchica, che induce i leghisti a sopportare anche i compromessi necessari nella pratica di governo. La felice intuizione è quella di assumere come spunto d'avvio innanzitutto la postura di Bossi, la sua figura pubblica contestualizzata nella storia del folclore e del teatro popolare. Cruciale è infatti la modalità con cui Bossi si atteggia a sfidante nella crisi del sistema politico italiano, incarnando un archetipo familiare agli studiosi dell'antropologia e dell'etnologia: il finto idiota capace di dar voce al popolo. Il fondatore della Lega ne emerge come regista di se stesso, capace di far tesoro e di rivendicare la stigmatizzazione con cui molti interlocutori s'illudevano di liquidarlo. Ridicolo? Ebbene sì, ridicolo. Ma potente. Uomo semplice, distante dai luoghi del potere tradizionale, affiorato da un ethos locale. Portatore di verità altrimenti indicibili nell'arena politica; esattamente come inauditi risuonano i motti che la commedia popolare assegna a una maschera (o a una marionetta, o allo "scemo del villaggio") protagonista del colpo di scena finale.

Non è la cultura la dote che Bossi vuole esibire, bensì la furbizia intesa quale unica virtù connaturata agli umili. Sappiamo, fin dagli esordi della sua carriera, che Bossi persegue l'ineleganza, il kitsch, la dissimulazione comica. Ma sottovalutavamo la maestria con cui si destreggia nei meccanismi della Commedia dell'arte e allestisce intorno al suo personale protagonismo un Carnevale popolare permanente. Se il teatro popolare italiano ricorre fin dal Sedicesimo secolo alla volgarità e allo sberleffo per dissacrare l'ordine costituito, Bossi ne convoglia la funzione catartica fin nel cuore della politica. Il finto idiota resta un vendicatore del suo pubblico pure quando diventa senatore e poi addirittura ministro. Lui che ha dimostrato di poter dire l'indicibile è autorizzato a proseguire lo slalom fra attività istituzionali e comicità, in veste di portavoce della sua creatura: una comunità inventata, divenuta reale e nondimeno mitizzata (i fucili del Nord, milioni di padani pronti a marciare su Roma). Egli gode dell'immunità tributata un tempo al giullare. Alternando al tono minaccioso la rivendicazione giocosa - teatrale, appunto - di un senso dell'umorismo che difetterebbe invece a chi li prende sul serio. Con questo lasciapassare implicito diviene possibile praticare il dileggio dell'avversario di turno facendo sì che di volta in volta suoni come minaccia o sfottò, sempre comunque incensurabile.

La stessa ambiguità consente al buffone di trasformarsi all'occorrenza in custode dei valori tradizionali. Non più sovversivo, ma, al contrario, baluardo di una comunità insidiata nei suoi lari fondativi: la famiglia, la chiesa, la proprietà, la tradizione. Con lo strumento della beffa vengono infrante le regole del dibattito politico, equiparato a recita barbosa. Vengono ridicolizzate le competenze, viene rivendicato il monopolio dell'autenticità comunitaria, e si giustifica una delega in bianco a dirigenti di cui si valorizza sempre l'astuzia popolana. La pratica del rovesciamento paradossale, attinta dai codici del folclore ma esasperata con un impiego ridondante dei moderni meccanismi della comunicazione di massa ha favorito la diffusione del leghismo come nuova ideologia conservatrice; capace di entrare in sintonia con le pulsioni reazionarie che si perpetuano da secoli nella società di un'Italia settentrionale guelfa profondamente segnata dalla Controriforma, e refrattaria all'autorità statale. Chi per gioco si fa immortalare al raduno di Pontida indossando barbarici copricapo con le corna d'ispirazione celtica nella vita di tutti i giorni si fa portatore di stereotipi comunitari retrivi. La Lega ha fornito rappresentanza politica a pulsioni antimeridionali e xenofobe, ha legittimato un revival paganeggiante del tradizionalismo cattolico anticonciliare, coltiva al proprio interno il revanscismo delle piccole patrie.

In radice, l'idiotismo politico si conferma linguaggio irrinunciabile del movimento perché serve a riconfermarne l'origine popolana e, da quando la Lega partecipa a coalizioni di governo, la distinzione esistenziale rispetto ai partner. Non a caso, quando l'11 marzo 2004 un ictus colpisce Umberto Bossi, precipitando nel dramma la sua figura volutamente tragicomica, ben presto emerge nel gruppo dirigente un'altra figura in grado di sobbarcarsi la funzione vicaria di buffone: Roberto Calderoli, resosi da quel momento protagonista di sortite provocatorie niente affatto improvvisate. La Lega ha sempre bisogno al suo vertice di un idiota che le canta chiare.

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