Sono passati quasi vent'anni da quando, per la prima volta, il Parlamento italiano ha iniziato a occuparsi di una legge che tutelasse le volontà delle persone nelle ultime fasi della vita, il cosiddetto testamento biologico. I progressi della medicina, guidati da una scienza instancabilmente creatrice, hanno infatti posto nuovi e imprevisti interrogativi alla società per esempio in relazione al fatto che quando si è persa la coscienza alcune funzioni vitali possono essere prolungate artificialmente oltre ogni ragionevole speranza di cura o di recupero dell'intergrità intellettiva.
Come garantire allora i pazienti dal rischio di accanimento terapeutico e dal prolungamento insensato di un'agonia? Come rispettare la dignità della persona? Nel dibattito politico si sono alternate fasi di apertura a fasi di maggiore prudenza, indipendentemente dal colore dei partiti e lo stesso è avvenuto per la Chiesa che, negli anni, si è mostrata a tratti orientata all'ascolto delle esigenze dei pazienti, altre volte più conservatrice.
Ma alcuni principi sono entrati a fare parte del sentire comune di tutto il Paese e non può essere un caso se oggi quasi il 90 per cento degli italiani dichiara di volere decidere liberamente quali terapie accettare o non accettare nei momenti finali della vita. Gli italiani sono consapevoli di cosa significa e non vogliono demandare ad altri decisioni così definitive.
A fronte di questo contesto, la Camera dei deputati questa settimana ha approvato una legge che sostiene l'esatto contrario: i cittadini italiani, diversamente da tedeschi, spagnoli, australiani o americani, non potranno decidere nulla. Anzi, saranno obbligati per legge a essere sottoposti a nutrizione e idratazione artificiali anche contro la loro volontà, non potranno indicare quali terapie sospendere ma solo quelle da aggiungere in caso di perdita della coscienza e, comunque, i medici potranno disattendere le indicazioni lasciate, non essendo il testamento biologico un documento vincolante.
Si è arrivati addirittura ad approvare una regola che prevede che la dichiarazione anticipata di trattamento si applichi solo ai pazienti "in assenza di attività cerebrale integrativa cortico-sottocorticale", un'espressione confusa, per la quale nemmeno il mondo scientifico ha ancora trovato criteri di accertamento definiti e unificati. È, insomma, un gran pasticcio, a meno che i deputati della destra non abbiano voluto riferirsi maldestramente all'assenza di attività elettrica cerebrale (il cosiddetto elettroencefalogramma piatto) e in questo caso il messaggio sarebbe chiaro: a una persona morta possono essere sospese le terapie. Bel passo avanti.
Ma oltre agli aspetti tecnici a volte privi di ogni logica, è l'impostazione generale della legge che proprio non va. Perché la destra vuole imporre a tutto il Paese una sua, supposta, visione etica della vita attraverso una legge contro la libertà degli individui, che vuole impedire a ogni costo che si possa concludere la propria esistenza terrena coerentemente al proprio modo di essere, alla propria cultura, alla propria fede.
Sinceramente, non credo che gli italiani accetteranno una legge che non condividono e, per questo, in vista del nuovo passaggio parlamentare al Senato che avverrà dopo l'estate, è importante dare un segnale molto forte a una politica sorda e cieca attraverso una mobilitazione continua dei cittadini e la loro partecipazione a iniziative che si moltiplicheranno nei prossimi mesi. Sono convinto anche che ci si debba preparare a un referendum abrogativo, così come è accaduto per altri provvedimenti che la destra ha voluto imporre contro la volontà popolare e che gli italiani hanno respinto al mittente con una sonora bocciatura.
Nel frattempo quello che accadrà è che i cittadini si rivolgeranno ai tribunali, così come è accaduto con la legge 40 sulla fecondazione assistita, e i giudici si troveranno a dover dirimere cause e litigi a suon di sentenze su una materia molto delicata che, nel rispetto della dignità di ogni individuo, dovrebbe invece rimanere confinata nell'ambito familiare e nel dialogo intimo tra il medico e il suo paziente.