E' stato il paradiso finanziario per eccellenza. Ma oggi lo scudo fiscale e i controlli lo stanno affondando. Le aziende chiudono e le banche sono vuote. Intanto Tremonti non molla

Chiusa per "black list". L'hanno messo anche per iscritto, i vertici della Viv Decoral, che faceva verniciatura di parti d'alluminio in zona Serravalle, produzione già cessata, 17 dipendenti licenziati ad aprile nel tentativo di salvare la baracca, gli altri 33 ai primi di luglio. All'inizio, quando nel luglio 2009 Giulio Tremonti inserì San Marino nella lista dei Paesi canaglia, ricchi e prosperi perché compiacenti verso evasione fiscale, frodi finanziarie internazionali e riciclaggio di denaro sporco delle organizzazioni criminali, loro come un po' tutti la presero sottogamba: tempo sei mesi e passerà, si dicevano, in fondo di carte bollate riempivamo gli uffici anche prima, se no cosa gli fanno fare ai seimila dipendenti statali (su una popolazione di 32 mila) nutriti da un welfare ipertrofico? Invece no, la bufera non è passata affatto. Anzi.

Per chiarire che non scherzava, quando imponeva a ogni impresa italiana comprasse o vendesse uno spillo con la piccola Repubblica di dichiararlo all'Agenzia delle entrate, Tremonti spedì le Fiamme gialle a rivoltare come un cappotto i conti di molte di quelle aziende e, non bastasse, a fare la posta sulla superstrada da Rimini bloccando e ispezionando ogni auto, furgone o camion sospetto.

C'è spauracchio più efficace di una visita della Finanza, incubo di ogni imprenditore? Così, raccontano alla Viv Decoral, "gli ordini cominciarono a calare, i clienti a involarsi, e noi a perdere. Meglio chiudere e spostare la produzione negli altri nostri stabilimenti". Raccontano anche che, essendo i sammarinesi accerchiati dall'Europa ma extracomunitari perché nell'Unione europea si sono finora ben guardati dall'entrare, persino portare i rifiuti speciali della verniciatura in una discarica romagnola era ormai diventato un calvario burocratico, come se provenissero dalla Somalia o dalla Bielorussia.

In soldoni, è finita la pacchia. Quella citata è solo l'ultima di 556 imprese che in due anni hanno chiuso i battenti, su 4.800. "I primi lasciati a casa sono stati i frontalieri, che erano seimila soprattutto dal riminese e dal pesarese", dice Giuseppe Morganti, consigliere del Psd, il Pd del Titano, "ma poi anche i sammarinesi hanno scoperto all'improvviso quella strana cosa detta disoccupazione, al 5 per cento, in crescita". I giovani sono quelli pizzicati peggio: non perché tocca sempre a loro e vai con la retorica del precariato, ma al contrario perché "i nostri sono un po' più bamboccioni che altrove, cloroformizzati, convinti che aver preso una laurea o un diploma dia diritto a uno stipendio a vita, e se uno lavora sul serio gli altri lo prendono in giro", fotografa Giuliano Tamagnini, segretario generale della Csdl, che sarebbe la Cgil del Titano.

Sinistra bacchettona? Macché, è un coro unanime: "Cresciuti nell'ovatta, nella pubblica amministrazione o a far soldi facili come prestanome" (Marco Arzilli, nell'attuale governo di centrodestra segretario di Stato, cioè ministro, a industria, artigianato e commercio): "Il deserto, non leggono un libro, non guardano un tg, non sanno la strada per Verona né misurare l'area di un pezzo di alluminio piegato" (i vertici veneti della verniciatura appena chiusa, ricordando i colloqui di assunzione). "Abituati a fare i fighetti con le turiste a Rimini e un sacco di soldi in tasca, ora dovranno cominciare a lavorare" (Lazzaro Rossini, a 38 anni giovane leva dell'architettura sammarinese). Basta come quadro generazionale? Pigri loro, ma arrugginiti nella bambagia anche i pubblici uffici come quello del lavoro se, racconta Tomaso Rossini, direttore del festival dei Giovani saperi, "non hanno neppure aggiornato i profili professionali, e alla laureata in estetica hanno offerto un posto in un istituto di bellezza". A essere onesti, "noi non è che gli abbiamo dato chissà quali altri insegnamenti", riconosce Arzilli il ministro, che di anni ne ha solo 40, nella gioielleria di famiglia, poi presidente dei commercianti.

Verissimo. Infatti le casse dello Stato sono vuote. La ricca San Marino non ha più un soldo. Oltre alla "black list", che ha fatto crollare l'import-export di un quinto nel primo anno e poi è andata anche peggio, da metà 2009 lo scudo fiscale del solito Tremonti per favorire il rientro in Italia dei capitali in nero ha depauperato le casseforti delle dodici banche sammarinesi di 5,4 miliardi di euro di depositi su 13,6. Sprofondando nel passivo otto istituti di credito, roba mai vista, e privando il bilancio della Repubblica di gettiti per 200 milioni. "Il nostro deficit è arrivato a 70 milioni", contabilizza Pasquale Valentini, Dc, segretario di Stato alle Finanze, "e per ridurlo, quest'anno, a 50, abbiamo dovuto procedere a misure drastiche": una tantum del 15 per cento sul reddito d'impresa, nuova imposta del 3 per cento sui servizi, taglio alle indennità dei dipendenti pubblici, blocco del turnover.

Senza Bot né altri titoli di Stato, San Marino ha cominciato a batter cassa dove poteva: col Fondo monetario e la Banca europea. "Hanno apprezzato i miglioramenti nelle leggi e nella normativa antiriciclaggio, in primo luogo la piena autonomia dal governo della Banca centrale", spiega Renato Clarizia che ne è presidente dal dicembre scorso dopo otto mesi di poltrona vacante proprio perché l'intero vertice fu decapitato dalla politica che non gradiva ispezioni troppo zelanti: "Ma ancora vogliono verificare che il cambiamento avvenuto sia effettivo". Fuori diplomazia, neanche l'ombra di un quattrino.

Nessuno si fida più (o ancora) di San Marino, "la più antica Repubblica costituzionale del mondo, esempio per gli Stati Uniti", scrisse Abramo Lincoln ai Capitani reggenti 150 anni fa e ha ora ripetuto Barack Obama in un'analoga missiva. I giornali locali l'hanno ripresa con squilli di tromba: "Vivaddio, uno che ci apprezza", sbandiera un anziano signore dal giornalaio, "ma non è l'unico, lo sa che in Cina ci andiamo senza visto, che mediammo noi per il viaggio di Nixon del '72? Mica sono tutti come Tremonti, che ci tratta da delinquenti...".

Col ministro italiano dell'Economia hanno il dente avvelenato. Lo bollano come la causa di tutti i loro mali, quello che per farsi bello "noi piccoli ci mette in ginocchio ma con gli svizzeri è tutto comprensione e salamelecchi". E lasciano intendere che con i sammarinesi ce l'ha da quando, negli anni Ottanta, era uno dei tre membri del Comitato credito e risparmio e a scadenza non venne rinnovato. "Stupidaggini", liquida Claudio Felici, "il primo cordone sanitario ce lo strinse attorno Vincenzo Visco, governo Prodi", e lui è il capogruppo Psd. "Il problema è che il business di San Marino è per il 95 per cento con l'Italia: come un'azienda con un solo cliente che all'improvviso non le compra più niente. O ricuciamo con Tremonti e firmiamo l'accordo con l'Italia o andiamo a rotoli. Non ci sono piani B".

E mettersi a giocare sul mercato mondiale? "Potremmo creare una sorta di piazza finanziaria sul modello del Lussemburgo", dice Clarizia: "Attrarre capitali non perché qui possano più occultarsi dietro un segreto bancario fino al 2007 tombale, ma perché un piccolo Stato sovrano può offrire burocrazia semplificata, alta professionalità, qualche agevolazione nei limiti delle normative europee. Esempio, da noi come in Inghilterra è lecito costruire un trust, in Italia no: dunque, che vengano da noi. Nella piena trasparenza, s'intende".

Per quanto tu ti apra al mercato globale, alla fine è però sempre con l'Italia che devi fare i conti. Non è certo la posizione più comoda per negoziare. Infatti sono due anni, dal Meeting di Cl del 2009, che Tremonti rifiuta anche solo di parlare, con i sammarinesi. "Se solo ci ascoltasse, vedrebbe che siamo già cambiati, nei fatti, nelle leggi, nella radicale pulizia dei vizi di prima. Anche con scelte dolorose, impopolari", fa appello il ministro Arzilli. "Abbiamo istituito il nucleo di polizia antifrode, e grazie alle sue indagini ho fatto chiudere 57 società, molte di elettronica, dedite alle cosiddette frodi-carosello per evadere le imposte indirette. Mi tremavano le gambe quando ho presentato il decreto contro gli autonoleggi cresciuti all'abnorme numero di 85, sammarinesi di nome ma con Suv e Ferrari altrove: abbiamo perso un sacco di soldi e ancora me lo rinfacciano in tanti. E a metà luglio San Marino ha unilateralmente approvato la legge che prevede lo scambio automatico di informazioni con l'Italia su tutto ciò che concerne banche, finanza, imprese, procedimenti giudiziari. Delle 556 società che hanno chiuso, più di metà erano immondizia, ma le altre erano sane, trascinate senza colpa nel vortice della crisi".

Via i businessmen italiani, è sparito l'indotto di congressi, cibarie, hostess e prestanome. L'edilizia è a picco: nessuno vuole gli ottomila immobili vuoti ma, beffa dopo il danno, "i prezzi non calano perché se no le imprese dovrebbero ridimensionare il patrimonio messo a bilancio", annota Morganti del Psd. Il turismo è in calo, non drammatico, ma sempre mordi-e-fuggi e, a giudicare dalle insegne in cirillico dei negozi di moda, meno male che continuano a arrivare le russe e i loro ganzi. Delle 53 fiduciarie che schermavano i capitali, 21 hanno chiuso, e il volume d'affari è precipitato da 3,3 miliardi a a 1,1.

Quali altre vesti devono ancora stracciarsi, lamentano i sammarinesi, per ottenere udienza da Tremonti?
Tentate invano tutte le strade istituzionali, sedotti e abbandonati persino da Renato Brunetta ("Venne e promise "Sarò il vostro agente all'Avana", il giorno dopo Tremonti si piegò in due dal ridere", ironizza Felici), non è rimasta loro che la tattica dell'anguilla. Così i capi del Psd all'opposizione, d'accordo con la Dc e i suoi alleati al governo, sono andati a Roma da Bersani perché questi intercedesse con l'amico Tremonti: "Fagli capire tu, Pier Luigi, che siamo pronti a entrare nell'Unione europea, scambiare qualunque informazione, collaborare pienamente con la polizia italiana e specializzare una sezione della magistratura nella lotta al crimine organizzato", gli hanno detto, come racconta Gerardo Giovagnoli, segretario Psd. Lo farò, siam mica qui a spianare il monte Titano, gli ha risposto il segretario, o qualcosa del genere. Quanto a Tremonti, per quel che se ne sa, ha impercettibilmente piegato l'angolo della bocca per rispondere: "Se le cose stanno così, ne possiamo anche parlare...". Intanto, restino ancora un po' sulla graticola. Puntano a un governissimo d'emergenza? "La legge elettorale lo vieta", risponde Morganti, "ma un'alleanza è necessaria, vista la gravità della crisi". Scettico Tamagnini il sindacalista: "Non vorrei si accordassero per salvare quel poco che resta del segreto bancario, in un'alleanza trasversale di chi, in tutti i partiti, ha fatto affari".

Rimedio o pezza, se non funziona non resta che il ricorso alle armi. Balestre, mitragliette, fucili, pistole, spadoni. Da 80 a 500 euro a pezzo, pallottole in ceramica, l'unico mercato in cui San Marino eccelle: in folle crescita da due anni, da quando s'è diffusa anche in Italia la febbre di combattere per finta le grandi battaglie del passato. Ma è dura che dalla spietata guerra di Tremonti riescano a salvarsi con le guerre simulate dei patiti di soft-air