Le leggi fatte e quelle che invece non è riuscita a fare. I contrasti con i sindacati e Confindustria. I retroscena e i bilanci. Parla il ministro uscente del Welfare. Che torna all'università
«Le parti sociali sono state per me fonte di delusione per la loro resistenza al cambiamento, per il loro arroccamento a difesa di posizioni che ancora reggono ma che non hanno futuro. Un esempio? Hanno resistito a lungo per non cambiare un sistema di ammortizzatori sociali alquanto inefficiente. Alla base vi è spesso un'insicurezza intellettuale, non priva di ambiguità, come nel caso di Confindustria che da un lato sostiene di volere un Paese più moderno, dall'altro ha fatto resistenza all'introduzione di procedure del mercato del lavoro che ci avvicinano alla situazione degli altri Paesi avanzati. Durante i quasi tre mesi di consultazione, ho constatato per un verso, per esempio sul licenziamento, una forte richiesta di liberalizzazione; dall'altro, un'opposizione quasi di principio a rivedere schemi di protezione sociale che comportano un grande spreco di risorse». Elsa Fornero, ministro del Welfare del governo Monti, in una conversazione con "l'Espresso", se la prende con Confindustria e sindacati nel tracciare un bilancio della sua attività.
«E pensare» aggiunge «che il mio sogno è un rapporto tra le parti sociali meno conflittuale: magari ci si scontra, ci si confronta, poi si arriva a una decisione condivisa. È la stessa filosofia cui si ispira la riforma. Per esempio nella risoluzione dei conflitti di lavoro: meno cause dal giudice, più conciliazioni». Anche questo sforzo, la revisione dell'articolo 18, è stato poco apprezzato dalle parti sociali mentre è molto positivamente valutato dalle istituzioni internazionali. «Penso sia innegabile» dice Fornero «che grazie alla riforma abbiamo un contesto normativo più favorevole alla competitività e all'occupazione, non alla difesa di singoli posti di lavoro esistenti, anche quando non più economicamente sostenibili». Veramente gli imprenditori non perdono occasione di accusarla di aver fatto poco per aumentare la flessibilità in uscita e di aver ridotto quella in entrata. «Ne abbiamo solo contrastato l'uso improprio» precisa il ministro «perché, dopo l'introduzione dell'euro, le imprese, per molte delle quali la flessibilità si è trasformata in precarietà, hanno spesso ricreato quella spirale negativa che prima era rappresentata dalla sequenza svalutazione-inflazione-aumento dei salari. In molti casi il loro costo del lavoro si è ridotto attraverso l'uso improprio di forme contrattuali introdotte con altri obiettivi. Noi abbiamo cercato di interrompere questa tendenza abbinando l'intervento a una maggiore flessibilità in uscita. Il vero problema dell'Italia, infatti, è la produttività, che è ferma da più di dieci anni. E la produttività è una questione di investimenti, in capitale fisico, ma anche in capitale umano».
C'é ancora molto da fare quindi. «Mi piacerebbe» osserva Fornero «che il governo Monti fosse ricordato perché ha fatto venire a galla, in concreto, i problemi veri e ha cominciato ad affrontarli». Nel senso che occorre una fase due, ancora con Monti e magari con Fornero? «Comunque vadano le cose» risponde «c'è un'agenda Monti. E qualsiasi scelta di Monti sarà dettata dalla stella polare dell'Europa. Quanto a me, torno all'insegnamento, ma con la stessa disponibilità a servire il Paese, in altri ruoli - magari legati al tema delle pari opportunità - che ho mostrato in questi mesi».
E la Fiat di Sergio Marchionne, l'uomo che ha rotto con la Confindustria, che ha messo nell'angolo la Fiom e la Cgil, che ha tenuto in scacco l'Italia con il suo impalpabile piano di investimenti? «Marchionne è un manager capace e credibile» risponde Fornero «ha dato segnali positivi, come quello recente dello stabilimento di Melfi, di non voler abbandonare il Paese. Credo che, vigilando, occorra dare fiducia alle persone capaci e, al tempo stesso, investire su relazioni industriali più costruttive. Confesso, per esempio, che mi sarebbe piaciuto fare di più per riavvicinare il vertice Fiat e la Fiom: a un certo punto ho pensato anche a una mossa concreta, poi ho verificato che la distanza tra le rispettive posizioni era troppo grande, almeno per il tempo a mia disposizione. E mi dispiace. Anche perché uno degli episodi che ricordo con maggiore soddisfazione è l'incontro con i 1.300 dipendenti dell'Alenia (in gran parte aderenti alla Fiom-Cgil, ndr) a Torino: un confronto in cui ho cercato di spiegare, non di convincere, in un clima, purtroppo non sempre facile a trovare in Italia, di reciproco rispetto».
L'intervista completa a Elsa Fornero sull'Espresso in edicola da venerdì 11 gennaio