Anche nell'annunciare il ritiro dalla corsa elettorale, l'ex allievo di Bisaglia è riuscito a usare il vecchio linguaggio democristiano pieno di doppie negazioni, triple metafore e inarcature sintattiche
Dopo molte legislature l'onorevole Marco Follini avrebbe anche potuto essere ricandidato nelle liste del Pd (il partito a cui è approdato dopo una lunga marcia, da Dc, Udc e altre tappe intermedie) a condizione di ottenere una fatidica «deroga» dalle norme statutarie del partito. Invece non si è candidato a ottenere la deroga per candidarsi, e ha spiegato: «Non dico che sia poco dignitoso chiederla, ma è più dignitoso non chiederla».
Il preziosismo formale di una frase del genere proviene da un repertorio vastissimo, non esclusivo del pur notevole stile oratorio personale di Follini. Nella democristianità - che a differenza della Dc è eterna - c'è una particolare forma di arguzia che si nutre non del sarcasmo a labbra strette di Giulio Andreotti ma di volute retoriche dove la litote, il chiasmo e la latente vocazione all'ossimoro svolgono le funzioni che gli stucchi e le forme spiralate hanno nel barocco di Bernini e Borromini in San Pietro. A far metafore arrivano anche i leghisti, l'allusione non era sconosciuta ai socialdemocratici e anche Carlo Donat-Cattin era capace di brusche interiezioni. Ma solo anni di apprendistato, per esempio gesuitico, possono portare a certe inarcature sintattiche e a certi rimescolamenti di carte semantiche che in Mino Martinazzoli rimandavano persino a Cioran. Marco Follini deve essere caduto nella pozione da piccolo. L'arte del distinguo in lui si esercita già a partire dai dati anagrafici, visto che in realtà si chiama Giuseppe. Una sua tipica frase: «Ma è chiaro anche che dalla cruna dell'ago di un processo davvero nuovo non può passare tutto il vecchio che pretende di essere immortalato». Doppia metafora (ago e processo), opposizione dialettica (davvero nuovo - non tutto il vecchio), preziosismo lessicale (immortalato, oggi usato per lo più nel senso esteso di "fotografato", ma qui nel senso letterale).
Quando si sente dire che «le parole sono importanti» molti pensano a Nanni Moretti, e una famosa scena di un suo film. Io penso a Giuseppe Follini detto Marco e tra me e me dico: sì, però anche le cose...
Anagramma: Marco Follini = lì, al micròfon