Bersani e Berlusconi d'accordo sull'ex presidente del Senato. Ma diversi parlamentari Pd (e Vendola) si schierano per il giurista proposto dal M5S, che ha accettato la candidatura dopo la rinuncia di Gabanelli e Strada

«Ci sono condizioni per una scelta condivisa», annuncia Pier Luigi Bersani nella serata di mercoledì. Un Presidente della Repubblica eletto con i voti di Pd, Pdl e Scelta Civica che, però, potrebbe spaccare la coalizione con Vendola. E la partita del Quirinale rischia di scatenare un vero e proprio Big Bang all'interno della sinistra italiana. L'alleanza progressista che si è presentata alle elezioni guidata da Pier Luigi Bersani, praticamente non esiste più.  La rottura è sancita - pubblicamente - dal leader di Sel Nichi Vendola, che, anche su Twitter, ha ufficializzato l'apertura di Sinistra ecologia e libertà nei confronti del Movimento 5 Stelle «Se le intese, gli accordi e i dialoghi» che sono in corso in queste ore sul futuro Presidente della Repubblica costituiscono «la prova d'orchestra di un governissimo allora esprimiamo la nostra radicale contrarietà» ha detto ai cronisti Vendola, per poi invitare al dialogo con i grillini: «Dobbiamo cogliere il terreno avanzato di dialogo che ci offre la "rosa" del Movimento 5 stelle. È una positiva, importante base di dialogo».

Vendola ha capito che il suo partito pagherebbe un prezzo altissimo aderendo ad un patto tra Pd e Pdl. Infatti, Bersani e Berlusconi avrebbero trovato l'intesa sul nome di Franco Marini, dopo che il Cavaliere ha bocciato il nome di Sergio Mattarella.  

E' difficile, oggettivamente, che il nome dell'ex Presidente del Senato possa mettere insieme tutte le anime democratiche, anche per la forza di attrazione che Stefano Rodotà - candidato ormai ufficiale del M5S - è in grado di esercitare. Un nome che ha entusiasmato una parte di simpatizzanti di centrosinistra e che attira anche il voto di alcuni grandi elettori di SeL e Pd. 

Il neodeputato Giuseppe Civati, ad esempio, ha fatto sapere che se l'alternativa a Rodotà dovesse Franco Marini, esprimerà la sua preferenza per il candidato del M5S. 

E non è il solo. Non mancano i mal di pancia anche nel gruppo dei "renziani" rispetto al nome di Franco Marini. Uno dei deputati vicini al rottamatore osserva quanto sia miope «scegliere un presidente della Repubblica per fare un dispetto a Matteo Renzi», non nascondendo quanto possa essere per i grandi elettori "renziani" dare il via libera ad un nome che appare uno schiaffo al loro leader. 

Una candidatura quella di Marini che sconta anche il fallimento del risultato elettorale dei democratici in Abruzzo. E dalla sconfitta alle elezioni alla poltrona di Capo dello Stato è un salto carpiato e una scelta in netta opposizione a quanti chiedevano al Pd di trovare un nome nuovo lontano dai circoli della politica o di appoggiare Rodotà. Il nome di Marini, fra l'altro, è finito spesso nelle inchieste giornalistiche sugli sprechi della politica e della casta per poter credere che otterrà un consenso più largo del necessario.

IL PROFILO. Classe 1933, Marini incarna il profilo tipico del cattolico di sinistra: abbastanza lontano dal post-comunismo per piacere al centrodestra e al centro, non troppo distante dai riformisti e quindi digeribile anche a sinistra. Una carriera fatta di militanza nell'Azione Cattolica, nelle Acli (Associazioni cristiane dei lavoratori) e soprattutto nel sindacato dei cattolici: la Cisl, di cui sarà anche segretario nazionale.

Il profilo sindacale ed associativo lo porta ad essere vicino alle componenti di sinistra della Democrazia Cristiana, con cui viene eletto per la prima volta nel 1992 e che poi, passando dal Partito Popolare all'Ulivo, dalla Margherita al Partito Democratico, gli garantiranno in totale quattro legislature alla Camera e due al Senato.

Proprio al Senato conquista il suo più importante successo politico: l'elezione a presidente di Palazzo Madama durante l'instabile governo Prodi e dopo una serie di votazioni sul filo del rasoio (leggendario il commento di Andreotti su quei "Franceschi tiratori" che sbagliarono volontariamente il nome di Marini al momento dell'elezione per far pesare la loro scelta).

LA CASTA. Se il curriculum istituzionale non si discute, così come le capacità di mediazione di Marini, di sicuro la sua scelta scatenerà non poche critiche. Scontata la feroce opposizione del Movimento 5 Stelle e i non pochi mal di pancia nello stesso Pd: sostanzialmente per lo stesso motivo. Negli scorsi giorni è stato Matteo Renzi, leader della principale corrente di opposizione interna a Bersani, a descrivere Marini come "un simbolo della casta".

Un'accusa che trova le sue fondamenta nelle tante inchieste sui costi della politica che hanno toccato in modo non marginale Marini. Come scriveva L'Espresso nel 2007, con "Casa Nostra", Marini era tra i privilegiati che pagava un prezzo di favore per l'affitto di una casa al Parioli. Casa che è poi riuscito a comprare alla metà del prezzo di mercato. Il suo nome è finito inoltre nella vicenda Lusi, con l'ex tesoriere della Margherita che accusò Marini di essere tra coloro che avevano beneficiato dei fondi distratti dalle casse del partito (qui l'inchiesta di Primo Di Nicola ed Emiliano Fittipaldi). Non migliora la percezione nel partito dell'anticasta il trattamento economico a cui marni ha diritto da quando non è stato rieletto: liquidazione da 188 mila euro, pensione da ex senatore di oltre cinquemila euro netti a cui aggiungere altri duemila euro circa per la pensione da sindacalista (maturata a 57 anni).

La forza della candidatura di Marini, comunque, sarebbe quella di essere garante di un futuro esecutivo istituzionale, un "governo del presidente" che rimanderebbe sine die il ritorno alle urne.

Una scelta tutta di palazzo dunque, che rischia di mettere a dura prova la sopravvivenza del Partito Democratico e di fare il regalo più grande della storia della politica a Beppe Grillo.