Un videomessaggio, come vent'anni fa. Ma allora era giovanile, ottimista e pieno di futuro. Giovedì notte era gonfio, livoroso e prigioniero del passato. Eppure, no: questa storia che ci tiene prigionieri da una vita non è ancora finita

«L'Italia è il Paese che amo...». Con queste parole era cominciata l'avventura, quasi venti anni fa, il 26 gennaio 1994. «È così che questo Paese mi ripaga?», ha esclamato giovedì sera lo stesso uomo in un altro videomessaggio, più sbalordito che indignato.

Segno che al di là della narrazione del martirio abilmente messa in scena negli ultimi giorni, Silvio Berlusconi si aspettava un'assoluzione o almeno un annullamento della sentenza di condanna con rinvio a Milano che avrebbe consegnato il processo alla solita prescrizione.

Così appariva il Cavaliere un'ora prima della lettura della sentenza, al telefono con Enrico Mentana. Alle 19 e 40, invece, il gioco si è spezzato. Finale di partita, Berlusconi condannato.

Nel video-messaggio del '94 Berlusconi era un uomo relativamente giovane, 57 anni, ottimista, entusiasta. Desideroso di incarnare il nuovo, di spazzare via i vecchi partiti di governo, la Dc, il Psi di Craxi che pure lo avevano beneficiato con la prima di tutte le leggi ad personam, la legge Mammì sull'emittenza televisiva. «La vecchia classe politica italiana è stata travolta dai fatti e superata dai tempi», diceva Berlusconi in quel messaggio. «L'auto-affondamento dei vecchi governanti schiacciati dal peso del debito pubblico e dal sistema di finanziamento illegale dei partiti lascia il paese incerto al passaggio di una nuova Repubblica».

La magistratura ha eliminato con le inchieste «i partiti del pentapartito che avevano garantito la libertà e il benessere degli italiani», ha detto invece oggi. «Ho rassegnato oggi stesso le mie dimissioni a ogni carica sociale nel gruppo che ho fondato», annunciava nel 1994 il neo-candidato Berlusconi. La Cassazione, invece, l'ha inchiodato a una semplice, noiosissima verità: il conflitto di interessi esiste, Berlusconi è sempre stato il vero proprietario della Fininvest e di Mediaset, al punto di organizzare la frode fiscale di sette milioni di euro, come certificato dai due processi di Milano e dalla sentenza della Cassazione. Fedele Confalonieri, brav'uomo, è sempre stato un presidente formale, il Capo è sempre stato lui, il Cavaliere.

Il verdetto è una condanna definitiva per l'uomo che sognava il nuovo miracolo italiano e ha costretto gli italiani a vivere le sue ossessioni, i suoi incubi. È apparso gonfio, impastato, irriconoscibile, vagamente brezneviano. «Quasi alla fine della mia vita attiva», ha ammesso a un certo punto, come improvvisamente invecchiato, come se si sentisse già la fine addosso. Prigioniero del passato, dunque costretto a ripeterlo: «Resto in campo, serve una nuova Forza Italia».

Obiettivo tardivo, dopo venti anni sprecati e un paio di partiti fondati e rottamati perché non soddisfacevano più il Capo. In fondo il Predellino del 2007 nasceva dall'idea che la vecchia Forza Italia non funzionasse più.

Ancor più di Berlusconi, sul piano politico, escono condannati gli uomini del Pdl, incapaci in tutti questi anni di organizzare una parvenza di dialettica democratica e di successione.

Il ministro dell'Interno Angelino Alfano, l'uomo che istituzionalmente ha il compito di tutelare la sicurezza e l'ordine pubblico, ha trascorso lunghe ore al capezzale del suo Leader, ora pregiudicato. I sottosegretari Micaela Biancofiore (in buona fede) e Gianfranco Miccichè, che restituiscono a Berlusconi le deleghe del governo, attribuendo a lui il potere di nomina.

E il tavolo da pranzo di palazzo Grazioli, attraversato dal dubbio: oggi comincerà il dopo-Berlusconi? E chi lo guiderà? Per ora Berlusconi appare come una specie di Fidel Castro senza neppure il fratello Raul, insostituibile e ingombrante.

Anche se, per ora, un Berlusconi ferito a morte ma non completamente fuori scena, può far comodo a molti, a partire da chi aspira alla successione o alla guida della nuova Forza Italia: che sia la figlia Marina o Daniela Santanchè.

E può rassicurare, almeno in prima battuta, chi teme che la reazione del Pdl faccia cadere il governo Letta. Per ora non ci sarà nessuna crisi: Berlusconi «in campo» significa soprattutto «in maggioranza», l'ultima riserva di influenza che gli resta. Non ci sono più le forze e la presa nel Paese per organizzare un movimento nel Paese che abbia un unico punto programmatico: Silvio libero.

Ma non è una giornata di esultanza neppure per chi avrebbe avuto il compito di sconfiggere Berlusconi sul piano politico ed elettorale, e da molto tempo. Eppure le occasioni non sono mancate: nel 1996, con la vittoria dell'Ulivo, il leader di Forza Italia era sparito dai radar, nel centrodestra si parlava di Mario Monti come di un possibile Prodi di destra. E invece arrivò la Bicamerale a restituirgli il ruolo di padre della Patria e il suicidio organizzato da Bertinotti e la manovra di Cossiga eliminarono il governo di centrosinistra che aveva vinto le elezioni.

Per anni si è attesa la legge sul conflitto di interessi, anche nelle sanzioni per la commistione politica-azienda la politica è stata superata alla fine dalla magistratura. E il segretario del Pd Guglielmo Epifani che si è presentato insieme ad altri due dirigenti del partito (Misiani e Zoggia) a fare la voce dura davanti alle telecamere, quasi una replica della corte giudicante, era in realtà l'immagine dell'impotenza: l'impotenza di battere Berlusconi con mezzi normali.

Così le scene di esultanza, le bottiglie stappate in piazza, sono parte di una giornata triste.

Gli unici che possono davvero permettersi di rallegrarsi sono gli italiani normali che credono che la legge sia uguale per tutti, ricchi e potenti compresi.

Per il resto, tra le tante colpe di Berlusconi c'è anche questa, aver abbassato la qualità civile e politica anche dei suoi oppositori, perfino estetica, Si è abbassato il livello del linguaggio, ci si è accontentati di una vittoria giudiziaria, nell'impossibilità, forse, di riuscire a capovolgere i rapporti di forza sul piano della battaglia culturale, ricostruire un brandello di discorso pubblico attorno alla politica e ai suoi rapporti con la società.

Lì, sul fronte della cultura di un Paese, di un popolo, Berlusconi ha vinto, purtroppo. Ma solo su quello. «Un paese pulito, ragionevole, moderno», era il sogno di B. nel 1994. «Forza Italia nasce con l'obiettivo di unire». Dopo venti anni ci lascia un paese più corrotto, più irrazionale, più arretrato, più diviso. E non è ancora finita.

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