I dissidenti dem escono dall'aula al momento del voto insieme alle opposizioni: Movimento 5 Stelle, Lega Nord, Sel e Fratelli d'Italia. Fassina: "Rimangono valutazioni negative su punti decisivi". Il testo torna al Senato

«Il testo del Senato è stato migliorato ma rimangono valutazioni negative su punti decisivi. Il propagandato contratto unico non c'è e nemmeno il disboscamento dei contratti precari. Non ci sono neanche le risorse per l'allargamento delle tutele: nella legge di stabilità per il 2015 le risorse sono meno di quelle previste nel 2014 per la sola della cassa in deroga». Stefano Fassina sintetizza così il punto di vista delle minoranze del Partito democratico, uscite dall’aula, come tutte le opposizioni, al momento del voto del jobs act.

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La riforma del lavoro di Matteo Renzi torna dunque al Senato per quello che dovrebbe essere l’ultimo passaggio. Ma ci arriva con 316 sì (un solo voto in più rispetto alla soglia della fiducia), 6 no, e molti led che non si sono accesi sulla lavagna elettronica della Camera. Spenti quelli di Sel e dei 5 Stelle. Spenti quelli della Lega Nord e di Fratelli d’Italia. «Il tentativo era quello di far mancare il quorum», è la strategia spiegata ai cronisti: ma la soglia è lontana perché fissata a 244.

Spente soprattutto le luci di una trentina di deputati Pd. E questo potrebbe essere un problema anche perché non è più soltanto Giuseppe Civati (che vota proprio contro, con il collega Luca Pastorino) a rivendicare «la coerenza con il programma elettorale». Ci sono Gianni Cuperlo e Rosy Bindi, oltre al già citato Fassina. C’è Alfredo D’Attorre, Francesco Boccia, Davide Zoggia. Sono anche più dei 29  che hanno firmato un documento in cui spiegano le ragioni del dissenso. «È stata una scelta molto difficile» ha spiegato la deputata Ileana Argentin, «ma non era possibile legittimare una scelta così pesante verso i lavoratori».

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Una foto scattata nel primo pomeriggio su una delle terrazze di Montecitorio, sintetizza quanto è successo oggi. In posizione da "voto ricordo" c’è la delegazione degli operai della Fiom, con i deputati di Sel, e Civati, Fassina e Cuperlo. Tutti e tre sorridenti tra le magliette con la sigla dei metalmeccanici di Maurizio Landini. Proprio dalla Fiom è arrivata una stoccata a Guglielmo Epifani: «Non ci hanno mai risposto e non ci ha ricevuti» ha detto la delegazione del sindacato. La stoccata è raccolta, in aula, dal deputato di Sel Giorgio Airaudo, che della Fiom è un ex sindacalista: «Non posso non chiedere al mio ex segretario Epifani se pensa di essersi sbagliato quando era sul palco con Sergio Cofferati e la Cgil o se si sta sbagliando adesso che vota per cancellare l’art. 18».