Nel 2009 uno scatto sottobraccio a un deputato di Hezbollah costò a Massimo D'alema il posto da “ministro degli Esteri” della Commissione Ue. Per quel ruolo c’è adesso in lizza la titolare della Farnesina. Che però non sembra penalizzata da un vecchia istantanea che la ritrae accanto allo storico leader dell'Olp

Se davvero il ministro Federica Mogherini riuscirà a diventare Alto rappresentante Ue per la Politica estera e la sicurezza, il pensiero non potrà non correre a Massimo D’Alema. Cinque anni fa esatti in lizza per il ruolo di “mr. Pesc” (secondo la semplificazione giornalistica corrente) c’era infatti il lìder Maximo, anche lui fresco di una breve esperienza alla Farnesina. Eppure - nel gioco delle nazionalità e dei veti incrociati, all’interno dello stesso Pse - alla fine la spuntò la baronessa inglese Catherine Ashton, benché sostanzialmente digiuna di politica estera.

A pesare, in quelle concitate giornate di novembre 2009, fu anche una foto risalente al Ferragosto di tre anni prima: gli scatti che ritraevano l’allora ministro degli Esteri del secondo governo Prodi sottobraccio al deputato di Hezbollah Hussein Haji Hassan, mentre si aggirava per le strade di Beirut bombardata da Israele. L’European Jewish Congress non si pronunciò sull’eventuale nomina di D’Alema ma diverse comunità ebraiche (a cominciare da quella di Roma) alternarono perplessità a dure critiche. Mentre Yediot Ahronot, il giornale israeliano più diffuso, in un editoriale significativamente intitolato “Il dilemma di D’Alema” - in Italia ribattezzato ironicamente D’Alemmah da alcuni settori pro-Israele - definì come “problematica” per il governo di Tel Aviv una eventuale designazione.

2006: Massimo D'Alema a Beirut con Fawzi Saloukh e un ufficiale di Hezbollah

Da una identica sorte cinque anni dopo sembra invece scampare la Mogherini, della quale - poco dopo il varo del governo Renzi - ha iniziato a circolare in rete una foto che la ritrae accanto al leader palestinese Yasser Arafat, risalente probabilmente agli anni della Seconda intifada in cui lavorava al dipartimento Esteri dei Ds (all’epoca settore di stretta osservanza dalemiana per le posizioni filo-arabe e terzomondiste di derivazione Pci). 

Federica Mogherini con Yasser Arafat


Un amore di vecchia data, quello per il Medio oriente, che traspare anche nella tesi di laurea del ministro, dedicata al rapporto tra religione e politica nell'Islam e scritta durante l’Erasmus all’Institut de recherches et d’études sur le monde arabe et musulman dell’università di Aix-en-Provence. Proprio come il marito Matteo Rebesani, compagno di militanza politica e poi assistente di Walter Veltroni in Campidoglio, che lo volle a capo dell’Ufficio relazioni internazionali del comune di Roma. E dove - grazie anche alla grandeur dell’allora sindaco - ebbe modo di spaziare dai diritti umani alla cooperazione fino ai summit coi premi Nobel e la visita del Dalai Lama.


IN EUROPA?
Resta da vedere se appena pochi mesi dopo essere stata la più giovane ministro degli Esteri della Repubblica italiana (solo Galeazzo Ciano coi suoi 33 anni fece di meglio) la Mogherini, classe 1973, diventerà anche la responsabile della diplomazia europea. Ruolo rivestito, per dieci anni esatti e prima dell’incolore Ashton, da una figura di peso come Javier Solana. Per la sostituzione, secondo l’intenzione del premier di non alterare la rappresentanza di genere nella compagine ministeriale, il nome più gettonato è quello della dalemiana Marta Dassù, sottosegretario con Monti, vice ministro con Letta e di recente nominata dal governo nel cda di Finmeccanica. Incarico in conflitto di interessi per le deleghe detenute alla Farnesina (a norma di legge dovrebbero passare 12 mesi) e che spiega come mai il suo nome circoli tanto insistentemente. In alternativa, ci sarebbe invece l’attuale titolare della Difesa Roberta Pinotti.

Vada come vada, il primo che probabilmente non vedrebbe di buon occhio questa scelta sarebbe Giorgio Napolitano, già poco convinto della decisione di affidarle gli Esteri. Tanto che quando Renzi si presentò con la lista dei ministri al Quirinale, raccontano i rumors di Palazzo, il Capo dello Stato - poco convinto della scarsa esperienze internazionale della deputata Pd - avrebbe cercato senza successo di convincere il premier incaricato a depennare il nome della Mogherini e a confermare la Bonino.

E in effetti quello del ministro è un curriculum tutto interno al partito, che rispecchia il classico cursus honorum dei funzionari di una volta: la Sinistra giovanile negli anni universitari, il lavoro al dipartimento Esteri ai tempi della segreteria Fassino (prima come responsabile del rapporto coi movimenti poi come coordinatrice), l’ingresso nel Consiglio nazionale dei Ds, la direzione. E infine, col Pd, l’approdo in segreteria con Walter Veltroni e Dario Franceschini nel ruolo di responsabile Istituzioni (agli Esteri c’era il suo attuale vice alla Farnesina, Lapo Pistelli). Una carriera culminata nel 2008 con l’elezione a 35 anni a Montecitorio (nel dicembre 2010, tre giorni prima di partorire la seconda figlia, andò a votare la sfiducia al governo Berlusconi) e la presidenza della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della Nato.


ABBASSO RENZI, VIVA RENZI
Anche lei, come Marianna Madia, è stata accusata di aver cambiato praticamente tutte le correnti, abitudine ricorrente nel Partito democratico e non da oggi: dalemiana, veltroniana, franceschiniana (ma dell’area Fassino), sostenitrice di Bersani e adesso di Renzi. Non senza aver sparato sul Rottamatore al tempo in cui appoggiava il segretario emiliano, accusandolo addirittura di una preparazione da terza elementare: «Renzi ha bisogno di studiare un bel po' di politica estera... non arriva alla sufficienza, temo».

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Chi invece sembra aver avuto fiducia in lei fin da tempi non sospetti è proprio Renzi, che già nel 2009 - da presidente della Provincia di Firenze - in un colloquio con l’Espresso si augurava che all’interno del Partito democratico emergesse un outsider come «Debora Serracchiani, Maurizio Martina, Federica Mogherini o Giuseppe Civati, che mi piace da morire». E se il giudizio su quest’ultimo ormai è probabilmente ribaltato, almeno su di lei il premier non pare aver cambiato idea. Se poi riuscirà a convincere anche gli altri partner europei resta da vedere.