Analisi

Camera, cosa fanno i "deputati figurine"? Promossi e bocciati tra gli onorevoli vip

di Luca Sappino   7 luglio 2014

  • linkedintwitterfacebook

Sono stati inseriti nelle liste perché noti al grande pubblico per motivi diversi dalla politica. Da Valentina Vezzali a Josefa Idem, passando per la pattuglia di giornalisti e scrittori, siamo andati a vedere cosa hanno combinato in questa legislatura

Candidati eccellenti. O anche semplicemente famosi. Famosi prima di diventare deputati, un po’ meno famosi una volta eletti. La pratica è antica, almeno quanto il mito della società civile.

Alle ultime elezioni il campione fu Mario Monti, che condì le grigie liste di Scelta Civica con due innesti che, come previsto, conquistarono i titoli dei giornali e che, unite al barboncino adottato in diretta tv nello studio di Daria Bignardi, rappresentarono il tentativo di archiviare l’immagine dei professori col loden. Ecco dunque sbarcare in parlamento Valentina Vezzali, campionessa di scherma, e Edoardo Nesi, scrittore, che però presto abbandona Monti per il gruppo misto e Matteo Renzi.

Nesi non è alla prima esperienza politica, avendo già fatto, per qualche anno, l’assessore alla cultura a Prato. Ma in Transatlantico non sembra così a suo agio. È assente una volta su tre. Non ha mai presentato un solo disegno di legge scritto di suo pugno, né una risoluzione, neanche una mozione. Zero interrogazioni, zero interpellanze. Due emendamenti, e due ordini del giorno, quelli sì, ma per questi, per ragioni d’aula, è arrivata la rinuncia alla votazione.

«Lasciamo perdere» dice poi off the record un volto noto di Scelta Civica, parlando di Valentina Vezzali. Nelle cronache politiche non compare mai, in effetti. E in parlamento si vede poco: neanche il 50 per cento di presenze. Alle volte è assente e basta, altre Vezzali risulta in missione. In parte, come giusto, per la maternità ad inizio mandato. Poi, però, tra i permessi accordati dalla Camera, c’è anche quello per partecipare ai mondiali di scherma. Arriva l’oro, sì, ma anche tante polemiche. Posato il fioretto ha presentato tredici disegni di legge. Come spesso accade nessuno è arrivato a destinazione, ma tutti o quasi si occupano di sport. Si va dalla previdenza e dalla maternità per gli atleti non professionisti, al diritto allo studio degli studenti che praticano attività sportiva agonistica.

Lo sport paga sempre. E per meriti sportivi il Pd ha candidato ed eletto, e poi fatto anche ministro dello sport e delle pari opportunità, la canoista Josefa Idem, in realtà già testata come assessore allo sport del comune di Ravenna. Tralasciamo l’infelice esperienza al ministero, più breve della vita del governo Letta, conclusa nello scandalo dell’Imu evasa dopo neanche due mesi di mandato. Come deputata ha solo il 20 per cento di assenze, ma non brilla per atti presentati. È relatrice di un solo disegno di legge, che giace in commissione, sul limite al rinnovo dei mandati degli organi del Coni e delle federazioni sportive nazionali. Niente disegni di legge a sua firma, e una sola interrogazione da prima firmataria. Un’interrogazione diretta a Matteo Renzi, appena depositata, affinché il premier, giudicato evidentemente troppo occupato sul resto, rifletta sull’opportunità di nominare un «Ministra/o per le pari opportunità, o almeno di un Sottosegretario».

Come candidatura ad effetto il Pd, alle ultime politiche, pensò anche a Michela Marzano, professoressa di filosofia morale a Parigi. La deputata non nasconde di sentirsi «un pesce fuor d’acqua», nel palazzo, e tornerebbe molto volentieri ai suoi studi di filosofia. Nel mentre però fa il suo, o almeno va quasi sempre, con l’83 per cento di presenze, e ha presentato otto disegni di legge, occupandosi di procreazione assistita, fecondazione, pari opportunità e del riconoscimento della lingua dei segni. Ha anche proposto di istituire il reato di «istigazione all’anoressia». Nessuna interrogazione, invece, e una sola interpellanza.

Non siamo più ai tempi della «dittatura dei mezzibusto», ai tempi di Piero Marrazzo e Piero Badaloni presidenti della regione Lazio, o di Lilly Gruber, ma se in Europa è stato eletto per un secondo mandato David Sassoli che sfoggia ancora, in campagna elettorale, le foto al desk del Tg1, ritratto dalla cintola in su, vuol dire che la carta funziona sempre. E a due candidature civiche, entrambe per il Senato, aveva pensato Pier Luigi Bersani, alle elezioni 2013.

Massimo Mucchetti, dalle colonne del Corriere della Sera, al blindatissimo posto da capolista in Lombardia. Con il 21 per cento di assenze è un parlamentare impegnato, presidente della commissione industria. Comunica molto attraverso un sito illustrato a fumetti e non vota quasi mai in dissenso dal governo. È il primo firmatario di un disegno di legge, assegnato in commissione ma non ancora discusso, sul conflitto d’interessi, per «considerare incompatibili con il mandato parlamentare coloro che risultano avere il controllo o l'esercizio di un'influenza dominante su una società di diritto privato» e che potrebbero esser tentati dall’«influenzare pro domo sua le decisioni del Parlamento e del Governo». Non ha smesso di occuparsi di editoria e media, Mucchetti: rispetto al fondo per le aziende editoriali in crisi, una sua interrogazione chiedeva di «condizionare l'assegnazione dei contributi alla rinuncia a bonus, stock option e altre forma di aumento retributivo per i dirigenti». Il suggerimento è stato accolto dal sottosegretario Luca Lotti, nell’ultimo decreto sull’editoria.

Oltre a Mucchetti il Pd nel 2013 candida anche Corradino Mineo, dalla direzione di Rainews24, finisce anche lui capolista, ma in Sicilia. Rimosso dal partito dalla commissione affari costituzionali, Mineo, «dissidente», spina nel fianco di Matteo Renzi, è quasi sempre in aula con solo il 10 per cento di assenze, anche se si è occupato prevalentemente del lavoro di mediazione in commissione: «ora che non servo più lì, mi occuperò del lavoro d’aula» dice all’Espresso, non senza polemica. Al momento però risulta primo firmatario di un solo disegno di legge, per l’istituzione della «giornata della legalità e della memoria di tutte le vittime innocenti delle mafie», ed è relatore per un altro, presentato dal deputato Pd Walter Verini, ad un passo da diventare legge, sulle celebrazioni per il centenario della nascita dell’artista umbro Alberto Burri. Due suoi emendamenti hanno però prodotto una definitiva modifica della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, contribuendo ad abbassare la soglia per le donazioni liberali, da duecentomila euro («mi sembrava pericoloso» dice) a centomila al massimo.

Destino simile, da dissidente, per l’altro direttore, con la passione però per Silvio Berlusconi. Augusto Minzolini è al suo primo mandato, e come Mineo sta giocando soprattutto la partita, tutta politica, delle riforme, sul senato elettivo. E proprio sull’assetto di Camera e Senato, ha presentato il suo unico disegno di legge. Uno dei testi che si oppongono al disegno del governo e del ministro Maria Elena Boschi. Dieci interrogazioni e tre interpellanze ha deposito Minzolini, autore anche di una quarantina di emendamenti, tutti sulla riforma del Senato. Tasso di presenza non altissimo, al pari di Nesi, poco sopra il 60 per cento.

Se il Pd ha candidato giornalisti e filosofi, Nichi Vendola ha puntato su un operaio, e ha portato in parlamento Giovanni Barozzino, simbolo della vertenza sullo stabilimento Fiat di Melfi. Licenziato ingiustamente, ora Barozzino lavora alla Camera. E di lavoro si occupa, Barozzino, con 160 emendamenti, una decina di interrogazioni e 8 disegni di legge da primo firmatario, di cui uno solo però ha iniziato l’iter in commissione senza molte possibilità di approvazione, riguardando il «ripristino delle disposizioni in materia di reintegrazione nel posto di lavoro», l'articolo 18.