La Cassazione conferma la condanna al giornalista e senatore azzurro. Tutta colpa di pranzi e le cene pagati con la carta di credito Rai, quando era direttore del Tg1 (65 mila euro in 14 mesi). Adesso anche per lui si aprono le porte della legge Severino

Condannato in via definitiva per abuso di carta di credito. E candidato a decadere da senatore, causa meccanismi della Legge Severino, come accadde due anni fa al suo mentore politico, Silvio Berlusconi.

E’ una strana sorte, si direbbe annodata ai destini del Cavaliere, quella che attende Augusto Minzolini. Nella serata di ieri il senatore di Forza Italia, già giornalista della Stampa e direttorissimo del Tg1, ha visto infatti confermata dalla VI sezione penale della Cassazione la condanna a due anni e sei mesi per peculato continuato, con interdizione dai pubblici uffici, che gli era stata inflitta dalla Corte di appello di Roma a fine 2014.

L’accusa è quella di aver usato, ai tempi in cui era direttore Rai, la carta di credito aziendale in maniera impropria, cumulando in un anno e due mesi 65 mila euro di spese in pranzi e cene. Soldi (poi restituiti) per i quali aveva consegnato alla Rai le ricevute, ma non i giustificativi.

Dal processo, nato su iniziativa dell’Italia dei valori, Minzolini era uscito assolto, in primo grado. Nel febbraio 2013 i giudici avevano infatti sentenziato che l’allora direttore non avesse consapevolezza di star spendendo impropriamente denaro pubblico: non aveva chiari i meccanismi di utilizzo, e comunque credeva che la carta di credito della Rai gli fosse stata messa a disposizione come compensazione per l’esclusiva, ossia il divieto di altre collaborazioni giornalistiche, inserita nel contratto con la tv pubblica.

Un verdetto che la Corte d’Appello ha poi capovolto. Argomentando, fra l’altro che Minzolini aveva utilizzato “quasi quotidianamente” la carta di credito aziendale “per spese di natura esclusivamente personale”, che “non documentò mai le ragioni di rappresentanza, né i beneficiari della spesa”, che “conosceva perfettamente il fine” ossia le modalità di utilizzo della carta. Bocciarono, i giudici d’appello, anche l’argomento dell’esclusiva: “Non si comprende per quale ragione avrebbe dovuto avere una sorta di compenso aggiuntivo”, scrissero, visto che dalla Rai prendeva 578 mila euro l’anno, mentre il suo stipendio precedente da cronista de La Stampa, sommato anche alla collaborazione con Panorama, arrivava a 200 mila euro.

E adesso? Pur se la sentenza arriva a tarda sera, Minzolini non rinuncia a buttarla in politica: “Sono allibito. In appello sono stato condannato da un giudice che è stato sottosegretario con i governi Prodi e D’Alema. E’ come se Prodi o D’Alema dopo aver militato in politica per anni giudicassero Berlusconi”, commenta il senatore azzurro.

Ma anche stavolta, da giornalista, sta sulla notizia: “Evidentemente c’è qualcuno che mi vuole vedere fuori dal Parlamento”, dice. E sul “fuori dal Parlamento” non ha torto. A parte l’interdizione dai pubblici uffici, si apre ora infatti la procedura della decadenza.

La condanna definitiva a due anni e sei mesi per peculato lo fa in effetti rientrare pienamente tra le cause ostative, per la legge Severino, a “ricoprire la carica di deputato e senatore”. Sarà dunque “la Camera di appartenenza” a deliberare il suo destino: voterà il Senato, come fu per il Cavaliere.