Terrorismo, Laura Boldrini: "Le frontiere chiuse sono un regalo all'Is"
La soluzione può venire solo dalla politica, dice ?la Presidente della Camera. Le ricette semplici sono un inganno. E lo scontro di civiltà è una follia
«È tornata la parola guerra, ma anche la parola politica». La presidente della Camera Laura Boldrini ragiona sul dopo-13 novembre dell’Europa e dell’Italia: la battaglia contro il terrorismo e gli strumenti da usare, il no a uno scontro di civiltà, «errore nefasto», e alla tentazione di chiudere le frontiere, «il miglior regalo che potremmo fare all’Is», l’unità contro il terrorismo «che non deve annullare la normale dialettica democratica».
Come si combatte questa guerra? «Con la politica. Dopo cinque anni di guerra in Siria ci sono state 250mila vittime, oltre la metà della popolazione è fuori casa forzatamente, ci sono quattro milioni di profughi di cui due in Turchia. In pochi in questi anni abbiamo denunciato questa situazione, era evidente che farla decantare avrebbe provocato altre sciagure. Ora si è capito che serve un dialogo con tutte le parti: gli Stati Uniti, la Russia, l’Iran, l’Arabia Saudita, l’Unione africana, la Lega araba, l’Unione europea che spero parli con una sola voce. Sia chiaro: con l’Is no, non si tratta. È un sedicente Stato che Stato non è, non bisognerebbe neppure chiamarlo così. E sfrutta la religione islamica per il potere, il novantanove per cento dei musulmani non hanno nulla a che fare con un’entità che usurpa il nome di Dio».
Però anche Hollande, uomo di sinistra, invoca la soluzione militare. «Le azioni militari senza strategia politica sono disastrose. Ho lavorato in Afghanistan, oggi i talebani sono più forti di prima. In Iraq nel 2003 sembrò che il conflitto fosse finito in un mese con la caduta di Saddam e invece oggi si levano voci come quella di Hillary Clinton e perfino di Tony Blair che ammettono gli errori. Lo abbiamo visto in Libia. Il mito della guerra-lampo, dell’esportazione della democrazia con le armi ha portato alle tragedie di questi anni. La guerra è nefasta, crea odio e disfacimento. Abbiamo seminato odio, abbiamo creato contrapposizione. Abbiamo predicato lo scontro di civiltà, l’errore più grave di tutti. Ora proseguire su questa strada sarebbe miopia politica».
Colpa degli occidentali? Troppo buonista presidente, si dirà. Qui ci sparano addosso nei bar, in una sala concerti... «La mia è una posizione realista, non buonista. Non sono mai stata contro gli interventi militari a prescindere, mi è capitato anche di lavorare in situazioni in cui erano l’unico modo per fermare il massacro di civili innocenti. Ma bisogna evitare di creare odio su odio, fermarsi a riconsiderare gli strumenti con cui vogliamo combattere questa guerra. Tagliare i finanziamenti. Non comprare più il petrolio che arriva dai territori occupati dai tagliagole, un milione di dollari al giorno. Rafforzare l’intelligence: fare un salto nell’integrazione europea significa anche avere una sola politica di sicurezza e di difesa. Bloccare il traffico delle armi: ci sono triangolazioni con paesi europei che favoriscono i terroristi, ben equipaggiati. Una battaglia culturale sul Web: l’azione di proselitismo è senza confini, si muove sulla Rete, serve un’azione di monitoraggio. Infine, agire sulle cause sociali che spingono i giovani musulmani ad arruolarsi nell’Is. Lo fanno perché ci credono o perché è l’unica ragione di sopravvivenza? Molti di loro non hanno nulla da perdere. Sono questi i terreni su cui si combatte in modo efficace».
Soluzioni complesse. Per alcuni partiti, anche italiani, la ricetta è semplice: chiudere le frontiere. «I rifugiati sono le prime vittime del terrore. Chi vuole rimandarli indietro fa un regalo all’Is che si presenterebbe come l’unica protezione. Chi dice che tutti i musulmani sono uguali consegna a poche migliaia di miliziani la rappresentanza di miliardi di persone. Una follia. Si pensa sempre che il nemico venga da fuori, invece è qui, in casa nostra. Le ricette semplici sono un inganno. E sono anche le meno efficaci. Perché il terrorismo è una minaccia globale, che colpisce ad ogni latitudine: a Parigi come a Beirut, ad Ankara come a Nairobi».
Cosa pensa dell’atteggiamento del governo Renzi? «Il governo ha finora tenuto una posizione ragionevole che condivido. Sulla lotta al terrorismo serve senso di responsabilità da parte di tutti. Non si può usare il terrore per accumulare consenso spicciolo. E l’esigenza di restare uniti non può tradursi in un appiattimento della dialettica politica, espressa in modo responsabile. I terroristi vorrebbero farci vivere in una società cupa, con le donne chiuse in casa. Ricordo Kabul dei talebani senza macchine, rumori, musica. Una città spettrale in cui regnava la morte. La lotta al terrore parte da qui: non intaccare i nostri principi, non rinunciare alla gioia di vivere».