Si apre “il processo” a Maria Elena Boschi, ma per Renzi è solo una scocciatura
Il premier si prepara a blindare il superministro Boschi. Con Forza Italia spaccata che esce dall’aula, e i 5 stelle ancora scossi per l’accordo sulla consulta, che a qualcuno è parso proprio «un inciucio»
di Luca Sappino
18 dicembre 2015
Sì è vero, il voto della mozione di sfiducia presentata dai 5 stelle alla Camera dei deputati è comunque un fatto scocciante. Già sanno, nel Pd, che il video dell’intervento di Alessandro Di Battista, a cui si affida per l’attacco il Movimento, rimbalzerà sui social, rilanciato da Grillo. Sanno, nel Pd e a palazzo Chigi, che l’aula darà spettacolo - e che lo show avrà nei prossimi giorni pure una replica al Senato - e che bisognerà difendersi. Sanno anche, però, che oltre la scocciatura, tutto andrà bene.
I numeri saranno a favore di Maria Elena Boschi, che sarà difesa da tutta la maggioranza allargata al fronte delle riforme e a Raffaele Fitto. Voteranno con i 5 stelle la Lega e i deputati della sinistra, Sel e Fassina e anche Giuseppe Civati. Boschi potrà però contare pure sull’uscita dall’aula di Forza Italia, che risolvendo così le proprie beghe interne, mette definitivamente in sicurezza il superministro.
Forza Italia uscirà, anche se non tutti sono d’accordo. E molti la pensano come Maurizio Belpietro che su Libero scrive: «Qualcuno sostiene che i parlamentari di Forza Italia non dovrebbero votare la sfiducia perché se lo facessero entrerebbero in contraddizione con una storia ventennale all’insegna del garantismo. Sciocchezze. La ministra non è indagata e nemmeno lo sarà. La sfiducia non sarebbe un preavviso di condanna o un atto subalterno ai voleri di una procura. Semplicemente è la presa di coscienza che è venuta meno la fiducia nei confronti di un ministro, vuoi per errori commessi, vuoi per le circostanze che non lo rendono più autonomo».
La pensa così, per esempio, Nunzia De Girolamo, che avrà pure il dente avvelenato per le dimissioni che a lei suggerì Renzi, ai tempi di Letta, ma che rappresenta bene il clima tra i berlusconiani, dove il cui gruppo - ormai da settimane - fatica a riconoscersi nelle guida di Renato Brunetta (che avrebbe votato sì). E un po’ anche in quella di Silvio Berlusconi. L’uscita dall’aula serve infatti a evitare che il gruppo vada in ordine sparso.
Dice De Girolamo: «Uscirò dall’aula perché sono disciplinata ma avrei votato sì». Avrebbe votato per la sfiducia, e anzi sarebbe dovuta esser proprio lei a fare l’intervento in favore di tg e social: «Avendo vissuto sulla mia pelle», dice a Corrado Formigli su La 7, «un’attenzione mediatica così dolorosa». De Girolamo si mostra però perfino affettuosa, nella disciplina: «Consiglio a Maria Elena di dimettersi», continua, «ne uscirà più forte». In realtà, Maria Elena, più forte uscirà comunque. Più forte lei e più forte Renzi, dal confronto con due opposizioni come quelle di questi giorni, di 5 stelle e di Forza Italia.
Sulla prima pagina de l’Unità Sergio Staino fa così notare a Bobo: «Incredibile: è riuscito a fare un accordo con i grillini, ha gettato nel panico il centrodestra, ha azzittito la minoranza Pd e ha fatto incazzare una buona parte dei cinque stelle!». Risponde la figlia Ilaria: «Che culo abbiamo avuto che incontrasse Brunetta proprio quella mattina, eh?». Il riferimento è al recente scontro tra il premier e il capogruppo alla Camera dei forzisti. Renato Brunetta respinge al mittente che sia quello scontro ad aver spinto Renzi tra le braccia dei 5 stelle, per l’elezione dei giudici della Consulta, e che quindi abbia alla fine danneggiato Forza Italia.
«Gli attacchi di Renzi per me diventano tutte medaglie», dice a La Stampa, ma soprattutto: «Renzi ha tentato fin dall’inizio di intendersi con i grillini, perché pensava in questo modo di tacitare la minoranza interna. Sennonché i Cinque Stelle all’inizio dicevano no (con insulti) a Barbera, il candidato Pd. Solo a quel punto il premier si decise a bussare da noi, fintanto che gli altri non hanno cambiato idea». Per Brunetta, Renzi fa sempre così: non è colpa sua. «È il suo solito stile», continua, «anche sul patto del Nazareno per 17 volte Berlusconi gli ha detto di sì per senso di responsabilità e alla diciottesima, sul no a Mattarella, il premier ha rotto i patti». «Ha l’abitudine di stipularli pensando già a come non onorarli. Si chiama azzardo morale». E sarà pure così, ma funziona.
Funziona, questa volta, e ha prodotto non solo l’ampliarsi della spaccatura in Forza Italia. Renzi, alla vigilia della mozione Boschi, che avrebbe dovuto essere un buon momento per i 5 stelle, ha anche seminato zizzania nel campo del Movimento.
Perché puoi ripetere quanto vuoi che «non è un accordo politico» - come fanno i cinque stelle più ortodossi. Se per settimane hai detto l’opposto, qualcuno che storce il naso ci sarà. Se prima Barbera era un impresentabile, e ora invece l’accordo si è trovato, e tu dici «bisogna esser responsabili», qualcuno la battuta su Scilipoti te la farà.
E Paolo Becchi, professore d’area ma costante pungolo, non perderà l’occasione per criticarti, trovando questa volte qualcuno a dargli ragione. Tra Consulta e il boomerang della mozione alla Camera, per i 5 stelle è non è un buon momento, anche se salgono nei sondaggi, anche se sarebbe bastato limitarsi a notare come Boschi e Renzi a maggio 2015 assicuravano che per giugno le camere avrebbero votato una nuova legge sul conflitto di interessi. Anche se Di Battista può tranquillamente notare che è oggi Berlusconi - con il partito allo sfascio, che licenzia pure gli ultimi dipendenti e abbandona la lussuosa sede - a «salvare Renzi». Un giorno per uno.
Renzi è in un momento di grande difficoltà politica: spero che il #M5S non gli tolga le castagne dal fuoco votando stasera Barbera.