«Una cosa che voglio subito riprendere è la lettura. E spero di riprendere un rapporto positivo col sonno». Stanco è stanco Nichi Vendola, dopo dieci anni al governo della Puglia. E a vederlo oggi sembra impossibile che ci sia stato un momento in cui pareva pronto per palazzo Chigi. Lui e le fabbriche di Nichi, ricordate? Era a un passo da Roma, a un’elezione di distanza, quella che si dava per certa nel 2011 e che però non è arrivata al momento giusto, rimandata da Giorgio Napolitano e Mario Monti.
Una lunghissima candidatura alle primarie del centrosinistra ha consumato tutto lo slancio di novità che Vendola aveva. Poi ci si è messo Matteo Renzi, e pure Beppe Grillo che gli “scippa” i cavalli di battaglia (tra cui il reddito minimo), e tutto sembra lontanissimo. Bisogna fare uno sforzo per ricordarsi delle videolettere di Nichi Vendola, pubblicate su una pagina youtube che è ferma da nove mesi. «L'obiettivo mio fondamentale» dice oggi Vendola, «è quello di recuperare la cosa che più mi è mancata in questo decennio: l'allegria».
Tanta fatica, racconta il governatore, a due mesi dalla fine del mandato, facendo il bilancio del doppio giro alla guida di una regione a cui comunque ha cambiato faccia, un’esperienza cominciata nel 2005 con una campagna elettorale condotta nel segno della sovversione: «pericoloso», «diverso», «estremista» erano i claim sui manifesti in strada. Ma anche Proforma, la compagnia di creativi che quella campagna aveva immaginato, ora lavora per Matteo Renzi dopo aver curato pure la campagna di Mario Monti e Scelta Civica.
E nulla rimane delle Fabbriche di Nichi, oltre seicento comitati, quasi tutti animati da giovani, che tanto hanno contribuito a cambiare l’immagine della Puglia. «Eravano la forza di Vendola», dice all’Espresso uno degli animatori del gruppo romano. Bollenti spiriti, il programma con cui la Puglia ha fatto rientrare molti suoi giovani dopo un periodo di studio all’estero, rimane un merito impossibile da non riconoscere, ma la chiusura delle Fabbriche fu comunque vissuto come un tradimento: «Ricordo bene quel pomeriggio in un teatro romano, ci dissero che bisognava andare oltre». In realtà ci si stava fermando.
«Per dieci anni non ho scritto più un verso, ho letto pochi romanzi, non ho letto più un libro di poesie». «Ora», continua Vendola in perfetto vendolese, «ho bisogno di tornare di nuovo a respirare il profumo del mondo». Non lascia la politica, Vendola, come battono subito le agenzie, tentate dal titolo facile. «Non è così» precisa, «quelli come me vivono tutta la vita facendo politica, che è un modo di percepire la vita stessa, e quindi non la lasceranno mai». «Però non è obbligatorio stare nelle istituzioni o essere leader di un partito», «spero arrivi il tempo in cui potrò tornare nella condizione di militante», continua.
Ma prima vuole traghettare la sua Sel, sempre all’opposizione delle larghe intese anche adesso che in parlamento si è assottigliata perché tanti (guidati da Gennaro Migliore) hanno ceduto alle lusinghe di Matteo Renzi, da un’altra parte: «Il mio auspicio e la mia speranza» è la precisazione che detta alle agenzie, «è che Sel possa nelle prossime stagioni essere protagonista di un grande rinnovamento della sinistra italiana». La strada è stessa di Maurizio Landini. Un po’ Syriza, un po’ Podemos. E la calma, però, anche. Senza fretta, mi raccomando.
La voglia di rifiatare è sincera. Vendola non ha mai nascosto la voglia di dedicarsi alla famiglia, alla madre novantenne («una ragazzina») e al compagno Ed, sempre parco nelle apparizioni pubbliche e che solo nel 2012 ha registrato un appello al voto, nello sprint finale delle ultime primarie, quelle perse in partenza perché giocate contro un Pd con cui i rapporti erano giù più che freddi e che già aveva governato con Mario Monti e con le larghe intese, di cui Sel era opposizione. Vinse Pierluigi Bersani. «Se riuscissi, con questo messaggio, a convincervi dell'amore che Nichi ha per l'Italia e che mi trasmette tutti i giorni, voi non avreste più dubbi su chi votare alle Primarie», diceva Ed, in maglietta verde smeraldo.
Il nemico di sempre era il voto utile. Nichi però si fermò al 15,6 per cento. Terzo, in una partita tutta due, tra Bersani e Matteo Renzi, che - già si intuiva - avrebbe presto portato a un altro governo di larghe intese, con buona pace della carta d’intenti che doveva tenere unito il centrosinistra (dentro cui Vendola, fino all’ultimo, voleva tenere tutti, anche quel Di Pietro inviso a Napolitano).
Non è servito a molto, questa volta, l’impegno del compagno sempre presente in ogni campagna elettorale, sempre supervisore per l’immagine e la comunicazione. Ed Testa. «Vorrei sposarmi con Ed» ha ripetuto Nichi ancora una volta, questa volta intervistato da Chi. «Appena lasciato l'incarico rifletterò anche se affrontare la paternità o no». E anche questa è un desiderio già dichiarato. «Non ho mai sopportato» scrisse già nel 2012, in una lettera pubblica, «l’idea che questo mio desiderio potesse essere spettacolarizzato e strumentalizzato, ma non sopporto più l’idea di doverlo occultare».
C’è un giorno, racconta chi con Vendola ha lavorato, nel partito, che più di altri ha cambiato tutto, «e ha fatto montare una certa tristezza». E il giorno della telefonata con Archinà e quel video sul Fatto Quotidiano, «montato ad arte». Quella risata scambiata col responsabile delle relazioni esterne dell’Ilva. In piena vertenza. «Un dolore fortissimo», confida Vendola, «era una telefonata fatta per riallacciare i rapporti. Mica chiamo Archinà per simpatia io, difendo i posti di lavoro e l’ambiente».
Il colpo è però fatale. Per l’umore prima che per la reputazione. Vendola sembra uno dei tanti, di colpo un politico di professione, lui che lo è (essendo già ai vertici quando dopo la Bolognina nasce Rifondazione) ma che non lo sembrava. In molti faticano a ricordare le piazze enormi delle campagne pugliesi e le fortunate apparizioni televisive. Dimenticati i comizi sulla bellezza, la contesa semantica contro il «supermercato del berlusconismo» prima e la velocità di Renzi poi. Lontane le imitazioni di Checco Zalone («Bimbo ma tu, da me, che vuoi?») e la rubrica che gli dedicava l’attuale direttore del Foglio, Claudio Cerasa, a cui facevano evidentemente ridere anche frasi semplici come questa: «Il capitalismo ormai non è solo incompatibile con la democrazia: è incompatibile con la vita».