
Da allora la proporzione tra proposte e attuazioni si è molto allargata. E Yoram Gutgeld, il tecnico nel governo più anti tecnico della Repubblica, l’interprete principale della Renzinomics, lo stratega inventore degli ottanta euro che, in origine, nel primo incontro con Renzi dovevano essere cento, l’ispiratore del decreto sul rimborso delle pensioni di questi giorni, da onorevole Pd e consigliere economico è diventato anche commissario della nota araba fenice di Palazzo Chigi. Ovvero di quella spending review che finora avrà pure fatto risparmiare qualcosa del mare magnum dello spreco pubblico ma certo non le teste dei suoi analizzatori.
Con buona pace del ministro Pier Carlo Padoan che mostra un carattere d’oro, Gutgeld, occhialoni alla Renato Soru e testa d’uovo, nato a Tel Aviv 55 anni fa, una laurea in matematica, un Mba all’Ucla di Los Angeles, viene segnalato come notevolmente più influente, per quanto un umano vicino a Renzi possa mai dirsi tale. E ora che al vertice Anas è arrivato Gianni Armani, un McKinsey boy come lui, tutti a fare due più due. In ogni caso le sue idee sul potere sono molto precise: «Serve se si usa per il Paese» dice spesso. «Il vero potere è fare quello che sembrava impossibile realizzare» e vorrà forse intendere il fascino della trasgressione anche in economia.
Dal bonus all’attuazione, il salto è stato quello. Teorico dell’equità più che dell’uguaglianza, assertore dell’ideologia della decisione, diretto come può esserlo il prodotto di una cultura israeliana da padri fondatori con l’approccio quasi televisivo del metodo McKinsey, per sua schietta ammissione non fa parte del cerchio-giglio magico. Luca Lotti o Maria Elena Boschi sono diretta emanazione del premier, una sua invenzione politica.
Gutgeld prestato alla politica e stregato dalla rivoluzione renziana a cui ha dedicato articoli, editoriali, tazebao al limite degli amorosi sensi, ha portato in dote anni d’esperienza da consulente ad altissimi livelli. Il rapporto è professionale, non sono amici, spiega una gola profonda di Palazzo Chigi. «Voglio idee, datemi idee» è il leitmotiv di Renzi che schizza come Forrest Gump da una riunione all’altra in una corsa estenuante, codazzi e dossier. Probabilmente molti avrebbero le risposte tecniche e anche i muscoli per stargli dietro ma non i nervi necessari. Gutgeld ha la sintesi e la freddezza che serve all’atmosfera da emergenza continua: «Il clima è teatrale, ma tanto lo script c’è», ha detto una volta osservando il pathos parlamentare. Tra le mitologie che circondano la sua storia di alieno non organico né alla politica né alla carriera accademica ma allenato alla consulenza empirica delle soluzioni ai problemi, c’è anche la leggenda che da big boss McKinsey avrebbe messo mano alla riforma del Mossad. A specifica richiesta ha abbassato l’eccesso di colore. Si era trattato, ha segnalato, della ristrutturazione delle forze militari. Come se il Mossad fosse una squadra di giocatori di dama.
Matteo e Yoram s’incontrano grazie al cacao. È Davide Ferrero, un altro ex McKinsey diventato poi proprietario della cioccolata Venchi, a portare nel 2012 l’allora senior partner e capo europeo della grande distribuzione della società di consulenza dal sindaco di Firenze. È a Palazzo Vecchio, presente anche l’assessore alla Cultura Giuliano Da Empoli che lancia l’idea del bonus da cento euro. I due si capiscono al volo e si rivedono molte altre volte anche a Forte dei Marmi dove Gutgeld ha casa e dove sua moglie Antonietta fa parte di una giuria di gastro-colti. Il resto è storia. Renzi perde le primarie ma gli offre la candidatura alle politiche del 2013. Per il Rottamatore, il manager lascia McKinsey e uno stipendione da sei zeri. Molti amici lo interrogano stupiti: «Sono un uomo libero al servizio di un progetto a cui non si poteva dire di no», risponde. È convinto che Renzi possa cambiare il Paese. Ritrova in lui «la stessa determinazione e il coraggio» di Sergio Marchionne di cui era stato consulente.
Con la presa di Palazzo Chigi, arriva anche la stanza dei bottoni. La politica economica si fa alla presidenza del Consiglio,«è lo stile della casa», spiegano gli uomini del Tesoro annichiliti dal crollo verticale di controllo e di potere. A Palazzo, il ministero dell’Economia è considerato un colabrodo, peggio della Rai, orecchie e lingue ciarliere dappertutto, così spesso è tenuto all’oscuro degli orientamenti fino all’ultimo minuto. Intanto, chiamati dal premier, atterrano frotte di esperti ed economisti. Si insedia Andrea Guerra (ma a ottobre andrà via),Tommaso Nannicini (sembra che anche lui lascerà a breve), Roberto Perotti (in coppia con Yoram commissario alla Spending), Carlotta De Franceschi… Ma alla fine è Gutgeld che tira le fila. Sulla battaglia Irap-Irpef che lo vede su un fronte opposto a Padoan vince con il decreto degli 80 euro. Mentre infuria lo scontro sul Jobs Act sostiene che la vera lotta al precariato è la decontribuzione dei contratti di lavoro e riesce a portare a casa il risultato. Va a segno anche il Tfr in busta paga.
È consulente economico, parlamentare, commissario. A Montecitorio media, blandisce, prova a cucire e a ricucire le anime riottose del Pd nel «passaggio epocale dalla ditta a un qualcosa che rassomiglia al partito laburista inglese». Non perde occasione per bacchettare la “vetocrazia” (citando il politologo Usa Francis Fukuyama) e auspicare un presidente con i super poteri (parlando dell’America s’intende). È un liberale, un conservatore, un progressista? Difficile definire chi pensa che con il consenso si possa fare la rivoluzione. Dove vuole arrivare?, si chiedono molti dei suoi compagni di partito. Non è interessato a fare il ministro. Non è il tipico consigliere economico da premier come fu Padoan con l’allora presidente Massimo D’Alema. Non s’impiccia più di tanto nelle pieghe delle beghe politiche. Ma insieme a Perotti, bocconiano purissimo, si lancia anima e corpo nel pericoloso compito di terzo commissario della spending review (due sono già tornati a casa) divisa in quindici progetti di grandi cambiamenti strutturali.
Sui lavori in corso non si lascia sfuggire una parola, non si sa se per scelta autonoma o per direttive assai altolocate. Trapela solo che il lavoro si sta concentrando sulla razionalizzazione della sanità e delle forze dell’ordine e sulla centralizzazione degli acquisti da catalizzare in 35 punti nevralgici al posto degli attuali trentamila! L’impresa è ciclopica ma come ha detto lui stesso lo farebbe passare dal ruolo «di chi genera idee, imposta strategia economica e mette insieme numeri della legge di stabilità a chi riorganizza lo Stato per tagliare la spesa e rendere la macchina pubblica più efficiente». Dal bonus al deus ex machina, un bel cambio di verso.