Il 2014 è stato un anno molto positivo per "Open" che ha incassato 1 milione e 200mila euro. Ma metà dei donatori sono sconosciuti e tra quelli noti il più generoso è la British American Tobacco

Le fondazioni sono le casseforti dei politici, il dato è ormai assodato. Sono i loro strumenti del consenso, e si sostituiscono spesso ai partiti, perché offrono maggiori spazi di autonomia. In un recente report, Openpolis in Italia ha contato 65 “pensatoi”, quasi tutti nati negli ultimi quindici anni. E se con al governo Enrico Letta era tutto un parlare di Vedrò, un vedere chi finanziava la vera culla degli amori bipartisan e delle larghe intese politiche, con Renzi non si può non parlare di Open. Ed è il Fatto Quotidiano, in edicola, a riaprire la polemica.

Il punto è il bilancio 2014 della Fondazione Open gestita dal cerchio magico del premier, Maria Elena Boschi, Luca Lotti, Marco Carrai, tutti con incarichi sociali a titolo gratuito. La data è quella del 20 giugno 2015 Il dato interessante è l’ottimo risultato in fatto di raccolta fondi, con donazioni pari a un milione e 184mila euro. Sono 300mila euro in più rispetto all’anno precedente, quando però il bilancio registrava anche 100mila euro raccolti durante le manifestazioni: era però l’anno della campagna elettorale, delle molte cene e iniziative.

Il trend positivo non è comunque una novità: già il 2013 era andato meglio del 2012, quando la fondazione si chiamava Big Bang. Nel 2014 i donatori sono stati 204, complessivamente: 165 persone fisiche, per 595mila euro, e 40 persone giuridiche, che fruttano 569mila euro. Poi c’è la voce Paypal, che però è la più leggera con 19mila.

Un bel bottino, dunque, soprattutto considerando che questo, per Open, è un anno di poche spese, tant’è che è stato possibile azzerare i debiti degli anni precedenti. Nel 2014 non ci sono state campagne elettorali da outsider né primarie da sostenere, come noto, e Matteo Renzi, avendo conquistato la segreteria del partito e palazzo Chigi, ha avuto altre strutture a cui poggiarsi.

Dei nomi dei finanziatori però, come rileva anche il Fatto, ne conosciamo meno del 50 per cento. Tra quelli pubblicati sul sito ci sono parlamentari, varie case di cura e ospedali privati, fondi di capitali (come l’argentino Corporación América che, con 25mila euro di donazione, vanta interessi anche nel settore aeroportuale) e società. Alcune di queste, come la Bassilichi s.p.a. - che ha donato 20mila euro - lavorano per la pubblica amministrazione in Toscana, ma non solo. Molte, comunque, operano nel campo dell’aeronautica e della gestione di aeroporti e non stupisce, essendo Marco Carrai presidente della quotata Aeroporto di Firenze.

Il finanziamento più grande, sempre stando a quanto scritto sul sito della Fondazione Open, arriva però dalla British American Tobacco: 100mila euro è il contributo lasciato dalla seconda più grande società produttrice di sigarette al mondo che, essendosi aggiudicata la privatizzazioni dell’Ente Tabacchi Italiani nel 2004, vanta marchi nazionali come Ms oltre ai planetari Lucky Strike e Pall Mall.

50mila euro è invece il contributo di Davide Serra, che si aggiungono ai 175mila versati precedentemente insieme alla moglie Anna Barassi. Per i nomi che non sono pubblici, dalla Fondazione ricordano che vale il principio della riservatezza. Un po’ come per le cene a mille euro del Pd di cui sappiamo il ricavato totale (oltre un milione di euro) ma non abbiamo mai visto la lista degli invitati. Sul sito di Open, giù in fondo, c’è comunque l’invito a far pervenire l’assenso per la pubblicazione del nome.

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