Politica
7 agosto, 2015

Diaconale, chi è il berlusconiano del cda Rai

Da sempre vicino alla destra, tra l'ex Cav. e Storace. Il suo giornale, con ben pochi lettori, è campione di finanziamenti pubblici. Oggi Diaconale non vuole lavorare gratis per l'azienda televisiva, come impone la legge Madia. I suoi giornalisti, però, aspettano ancora 10 mesi di arretrati

Arturo Diaconale, già negli anni 70 era un cronista parlamentare, oggi si direbbe embedded, molto vicino al potere, a Craxi prima, e alla destra berlusconiana, dopo la discesa in campo dell’ex Cavaliere. Simpatia c’è anche con Francesco Storace, con cui ha lanciato recentemente una campagna per abolire il reato di vilipendio. Diaconale è oggi nel Cda della Rai eletto da Forza Italia. È uno dei nomi che più hanno fatto discutere, insieme a quello dello spindoctor di Matteo Renzi, il fiorentino Guelfo Guelfi. È soprattutto lo stato di crisi e il monte di debiti de L’opinione, giornale di cui Diaconale è direttore da più di vent’anni e amministratore unico, a far riflettere sulle sue capacità manageriali. Ma andiamo con ordine.

Giornalista, Diaconale è un militante “garantista”, fondatore del "Movimento Vittime della Giustizia e del Fisco". È un militante berlusconiano, Diaconale. Fu anche sul punto di passare proprio dall’altra parte della barricata, quando nel 1996 l’allora Polo delle Libertà lo candidò nel collegio di Rieti. Diaconale perse il confronto diretto con Gavino Angius, volto storico dei Ds, candidato per l’Ulivo. Tra i due restò un buco di ben cinque punti percentuali, e il nostro dovette continuare a scrivere. Alle ultime regionali, però, è lui che con Berlusconi ha immaginato la lista “Vittime della giustizia e del fisco”, presentata in Campania. Non proprio un successo: la lista è la meno votata, con poco più di 5mila voti, pari allo 0,26 per cento.
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Diaconale ha cominciato sul Giornale di Sicilia. Va poi al Giornale di Montanelli. Per il Giornale come lo conosciamo oggi è ancora editorialista. Nel mezzo è finito a L’opinione. Arbitrariamente segnaliamo questo editoriale in cui prende le parti del presidente della Figc Carlo Tavecchio. «Non importa se non hai mai fatto male a una mosca e hai scarsa dimestichezza con la comunicazione omologata e conformista», scrive Diaconale indignato, «puoi tranquillamente dare del mangia-spaghetti a uno dei tanti italiani che agli occhi degli eletti meritano ogni riprovazione. Ma se ti permetti di dire che chi viene dall’Africa è abituato a mangiare le banane, meriti ogni genere di condanna, di riprovazione e di esecrazione». Scandalo. Tutta colpa dei maledetti perbenisti, che esaltano «sempre e comunque il multiculturalismo, la multietnicità e, naturalmente, la “multiridicolaggine”».Il quotidiano L’opinione se l’è inventato lui. Nel senso che prima del suo arrivo alla direzione, L’opinione era un settimanale, già organo ufficiale del Partito liberale. Lui l’ha fatto crescere, almeno stando ai fondi pubblici che son piovuti sul quotidiano che - in realtà - in edicola ha sempre faticato (quando ci arrivava). Quattro le pagine. Della cooperativa che edita il giornale (Amici de L’opinione) Diaconale è anche presidente. I finanziamenti sono quelli destinati alla stampa politica e alle cooperative in quanto la testata è organo del “Movimento delle Libertà per le garanzie e i Diritti Civili” fondato dall’ex deputato di Forza Italia Massimo Romagnoli. E sono tanti. Più o meno 2 milioni di euro l’anno, a guardare solo dal 2005 in poi. Poco meno di 2 milioni nel 2007. Poco più nel 2008. E così via. Fino all’anno di magra del 2012, quando arrivano solo 952mila euro. Erano i contributi - anticipati dalle banche - a tenere in piedi ben due redazioni, una a Roma e una a Milano. Il sistema però a un certo punto si è inceppato, nel 2011, quando tra tagli e un vizio di forma, il contributo non è arrivato, e il giornale ora è solo online, con i giornalisti tutti i cassa integrazione, i creditori in attesa e la prima pagina formato pdf fatta solo per finire nelle rassegne stampa.

E se Diaconale all’ipotesi che, da pensionato - causa legge Madia -, debba rinunciare al gettone da consigliere Rai ha subito replicato «Potrei anche fare il consigliere per puro divertimento, ma sarebbe una cosa bizzarra. È la Costituzione che impone la retribuzione per chi svolge un'attività», la bizzarria è stata invece la quotidianità per i lavoratori de L’opinione, grafici e giornalisti. Lo stipendio arriva spesso a singhiozzo, e da settembre 2012 ad aprile 2013, non arriva proprio.

Bisogna esser felici che si sia aperto lo stato crisi che ha almeno il vantaggio di portare con sé la cassa integrazione. Due anni, dura la cassa, più - ma il ministero ancora non ha firmato il decreto - un terzo, perché gli amministratori della cooperativa hanno detto alla Regione Lazio di avere un piano di rilancio. Si cerca di evitare il fallimento, di portare i libri in tribunale. Inutili, per ora sono i decreti ingiuntivi fatti arrivare dai dipendenti per avere le mensilità mai viste e il Tfr, anche quello mai versato.

«Un Cda di professionisti», l’ha definito Matteo Renzi, difendendo le nomine. Come amministratore, Diaconale ha queste referenze.

Un po’ di tv almeno l’ha fatta, se proprio guardiamo bene. È spesso ospite delle reti locali, laziali e abruzzesi (sua terra d’origine). Per il circuito di OdeonTv ha condotto anche qualche programma. Ma la sua più importante esperienza televisiva è stata su Raitre nel 1995: con Renzo Foa, ex direttore dell’Unità, finito anche lui nel giro berlusconiano e al Giornale, ha condotto Ad armi pari. Il talk era stato approvato da Luigi Locatelli, già direttore di Raidue, e fresco di nomina alla direzione della rete. Nella finestra tra i due incarichi, Locatelli era diventato il vicedirettore de L’opinione. Anche in Mediaset, Diaconale ha avuto una breve esperienza, a Studio Aperto come caporedattore. Niente di più, però.

E allora forse ha contato, per la sua nomina nel Cda, il lavoro fatto da presidente del parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, carica per cui ha appena annunciato le dimissioni. Nel marzo del 2009 venne nominato come commissario straordinario, poi a luglio 2010 il ministro Stefania Prestigiacomo lo conferma presidente. Sul Corriere della Sera Sergio Rizzo notò l’originalità della nomina. Ci si chiedeva che ci facesse un giornalista a capo di un parco. Diaconale - dalle colonne de L’opinione - difese «il valore politico e culturale dell’anomalia rappresentata dalla presenza di una “mosca bianca” liberale in un settore appaltato da sempre alla sinistra». Ora ci si può chiedere, però, cosa ci faccia il capo di un parco in Rai.

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