Il suo posto all'epoca era nella Margherita di Francesco Rutelli - ma si avvicinò subito al gruppo di Fioroni - dove una prima volta incrociò il destino Matteo Renzi. I due, come nota la giornalista Chiara Geloni, non sono dunque poi così distanti, anzi. Bianchi entrò anche nel Pd, salvo poi tornare presto all’Udc. Per giustificare quel cambio disse che in un Pd che virava a sinistra si sentiva un’ospite e che Casini, invece, «da un anno interpreta una posizione politica innovativa che condivido pienamente. La sua bandiera non è l’antiberlusconismo: propone una strategia alternativa di governo».
Tanto le piaceva che l’assenza di antiberlusconismo che poco dopo Bianchi proseguì la corsa, arrivando proprio nel Pdl di Silvio Berlusconi. A quei tempi era candidata sindaco a Crotone, la sua città, e fu proprio il comizio con cui Silvio le portò il suo sostegno a sancire la rottura (tanto di Berlusconi, allora alleato di Casini, quanto di Bianchi) con l’Udc. Da quel palco Berlusconi non disse solo la famosa battuta su quelli di sinistra che non si lavano ma attaccò frontalmente gli alleati, Casini e Fini. Il primo non gradì e soprattutto non apprezzo il sorriso di Bianchi che non pensò neanche lontanamente di difendere il proprio partito.
Qualche anno dopo ha comunque ripreso la lenta via del ritorno, con la scissione di Angelino Alfano. Oggi diventa sottosegretario ai Beni culturali e - appunto - nel Pd sono sicuri che con le prossime elezioni lei è una di quelle che potrà trovare la sua dimensione tra i loro banchi.
Che poi, Dorina Bianchi è un'altra rutelliana della Margherita dei bei tempi del primo Family day eh. #comematteo #senonsapetelastoria
— chiara geloni (@lageloni) 29 Gennaio 2016
La delega assegnata al nuovo sottosegretario non è quella attesa, né quella più coerente con la professione di Bianchi, che è un medico, o con la sua attività parlamentare, molto centrata sui diritti civili e sulla sanità. Ma proprio per questo il suo ingresso al governo, con l'altro sottosegretario Ncd, Gentile, si inserisce nella partita delle unioni civili.
È molto cattolica, Bianchi. Nel 2005, quando stava nell’Udc, fu protagonista, da relatrice, della battaglia sulla legge 40. Al referendum abrogativo fece campagna per l’astensione. Vinse, come noto, con la partecipazione ferma al 29 per cento e ben lontana dal quorum. Vinse lei e vinse Matteo Renzi che, ancora presidente della Provincia, era al fianco di Dorina Bianchi e diceva: «Non andrò a votare. Rivendico la legittimità della posizione di chi ritiene di dover far fallire il referendum facendo mancare il quorum».
«La Marta Flavi del Pd» come la definì Marianna Rizzini con un articolo su il Foglio, fu anche capogruppo del partito nella commissione Sanità del Senato. Lì prese il posto dell’altro dem Ignazio Marino, su posizioni ben più laiche. Erano i giorni della discussione sul testamento biologico. Il segretario Veltroni assicurò che nulla sarebbe cambiato nella linea del Pd. Agli atti resta però il fatto che Bianchi votò contro l’emendamento con cui il Pd voleva raddrizzare la legge berlusconiana, e che la stessa legge è poi rimasta nel guado finita tra una legislatura e l’altra. All’epoca si difese così: «Tutti a segnalare la mia valutazione sul testamento biologico differente dalla posizione ufficiale del partito. Però quando Ignazio Marino sulla legge elettorale vota in dissenso nessuno ne parla». Polemiche del passato, comunque: ora lei è sottosegretario e Marino è l’ex sindaco sfiduciato dal Pd.
Pisana di nascita, ma crotonese d’elezione, da lì Bianchi è entrata per la prima volta in parlamento battendo il candidato dell’Ulivo ai tempi dell’uninominale. Poi è stata anche senatrice, e dal 2013 nuovamente deputata. Già da qualche mese è cominciato il riavvicinamento al Pd. I più se ne accorsero quando alla Festa dell’Unità di Milano fu contestata. Si parlava, come in questi giorni, proprio di unioni civili. Era il 31 agosto 2015 e Dorina Bianchi disse che la sua unica richiesta era quella di «non equiparare le unioni al matrimonio». «Vuoi discriminare, brava!» le urlarono alcuni attivisti lgbt. Lei aggiunse: «Credo che sulle unioni civili non debba esprimersi solo il Parlamento ma che vada fatto un referendum preventivo per coinvolgere tutti i cittadini».