Pizzarotti e Nogarin. L’eretico e l’ortodosso. Ormai lontani, quindi, nella geometria politica. Eppure le loro esperienze mostrano quanto sia faticoso coniugare ideali e delibere

E dopo 144 giorni sospeso nel limbo, Federico Pizzarotti sindaco di Parma mollò Grillo e il Movimento 5 stelle. Appassionate le motivazioni: non i nostri ideali sono cambiati ma i loro, consumati da lotte interne hanno promosso oltranzisti ignoranti e talebani, c’era un garante e ora tutti a dire che aspettavano un capo, et cetera.

«Certo, quando il giorno dopo le elezioni scrivo "abbiamo vinto" e mi correggono "ha vinto il movimento, non voi", se uno parte così non può finire benissimo». La rottura si radica però nel profondo, in quell’antropologia dell’homo grillinus la cui evoluzione è arrivata a un bivio: amministrare modifica lo sguardo e la percezione dei tempi, smonta gabbie e rigidità mentali che nel movimento su scala nazionale diventano al contrario sempre più ossessive e opprimenti.

Il discrimine? «Il Movimento», risponde Pizzarotti, «era ed è centrato su tecnologia, rete, innovazione, ambiente, controllo dei soldi pubblici. Sulla cultura, zero. Non c’è niente. E così sul welfare, sui temi della persona, dell’umanesimo, fino alla scuola, male la riforma Renzi ma dov’è una proposta 5 stelle? Il microcredito è tema concreto, ma di economia d’avanguardia, il reddito di cittadinanza l’hanno tirato fuori in ultimo, nel programma neppure c’è».

Fermi ai loro tabù ideologici, i 5 stelle «un edificio monumentale preferirebbero farlo crollare piuttosto che trovare una onesta partnership con un privato per una concessione trentennale». Sul festival Verdi, vanto internazionale della città, «mai dai nostri un appoggio in parlamento perché venisse rifinanziato come altri cinque in Italia, era "un evento locale"! Verdi, locale?» Non solo «non si è evoluto», il movimento, ma «i meetup sono pressoché spariti, alle discussioni magari prolisse di un tempo si è sostituito l’essere contro a prescindere, due frasi sotto un post, spesso imbarazzanti come quella di quel romagnolo sempre dietro a Grillo che scrive come si sente libero a poter non parlare di Roma. Una perdita secca di conoscenza».

Filippo Nogarin


Non è solo "il caso Parma". Vai a Livorno, giunta pentastellata da due anni, e il sindaco Filippo Nogarin ti fa, sì, la distinzione tra i ruoli di sindaco e di parlamentare, uno istituzione l’altro azione politica, ma poi riconosce che «tra chi amministra sul territorio e chi fa opposizione a Roma servirebbe una stele di Rosetta»: parlano due linguaggi diversi, non si capiscono, non riescono neppure a tradurre le istanze degli uni nella lingua degli altri.

Nel movimento sono alla vigilia di una resa dei conti due mentalità, orizzonti, modi di operare che stanno insieme a fatica. I Sapiens in evoluzione per effetto del "bagno di realtà", frase ricorrente, che l’amministrare comporta. I Neanderthal abbarbicati al loro patrimonio genetico, massimalisti sempre più esacerbati, non necessariamente militanti della prima ora, che giocano l’opposizione dura e pura e portatrice di voti.

In un marasma di governance che ha spinto Grillo a riprendersi il comando, se mai l’aveva lasciato. Il primo test è a Bari, metà settimana, assemblea nazionale dell’Anci, Associazione dei Comuni italiani, feudo Pd. Di Maio attacca su facebook e Grillo rilancia sul blog: o cambia tutto o i Comuni amministrati da noi abbandoneranno l’Anci. Se andarsene diventerà un diktat, come si comporteranno i loro 40 primi cittadini? Obbedisco, come Garibaldi? Pizzarotti non ha obblighi di linea, lui poi da dicembre è in Anci presidente della Commissione ambiente. Ma un Nogarin, ma per il quale uscire dall’Anci sarebbe «un errore, un’occasione persa, un regalo al Pd»?

Dice Pizzarotti che ancora non sa se alle comunali di primavera si presenterà con una lista civica per bissare il mandato, magari a fine mese deciderà con i suoi consiglieri e assessori, tutti con lui. Ma le carte da giocare le ha. Ha preso una città prossima al default, fallimento Parmalat e Parma calcio, ex-sindaco in manette, 870 milioni di debiti abbattuti a un fisiologico 50 per cento già dal 2017. Ha fatto scelte difficili, commesso e corretto errori, ricevuto un avviso di garanzia poi finito in nulla per l’assunzione di Anna Maria Meo nuovo direttore del Regio. Ha usato l’accetta quando ha smantellato l’Orchestra del teatro inventata nel 2001 dalla giunta di centrodestra e richiamato la regionale Toscanini.



Ha rispedito al mittente «le pressioni anche sgradevoli della Casaleggio che sull’inceneritore voleva ci dimettessimo, loro che non hanno mai amministrato neanche un condominio». A ogni scelta da compiere, rivendica, «non mi sono mai domandato "che cosa farebbe il movimento", e poi sulla base di che, dove sta il decalogo?» Grillo, il direttorio e gli oltranzisti, accusa, «ci hanno demonizzati per aver detto le cose prima degli altri perché prima degli altri le abbiamo viste. Salvo poi fare e dire lo stesso, dall’andare in tv a dichiararsi sindaci di tutta la città, mantenendo però l’ostracismo contro di noi».

Oggi Parma è tutto uno sfolgorìo di mostre e spettacoli. È iniziato il Festival Verdi con un degno cartellone e la Giovanna d’Arco di Peter Greenaway, e per il Verdi off duecento locali, negozi, laboratori creativi hanno inventato installazioni a tema in strade e piazze; le stesse già invase a luglio dal nuovo festival Parma 360 di un gruppo di giovani artisti e curatrici supportati da Michelangelo Pistoletto.

Per i 200 anni dall’arrivo in città di Maria Luigia d’Asburgo, somma icona di tutti i parmensi, hanno montato sedici mostre dalle arti al cibo alla storia fino al neoclassico nella moda di Gianfranco Ferrè e nelle foto di Michel Conte. Carlo Mambriani, lo storico dell’architettura che quasi per caso lanciò l’idea in una tavola rotonda e ha poi coordinato il progetto, racconta come, «convocati dall’assessore alla Cultura Laura Ferraris, ci siamo trovati nel suo ufficio, esperti, Fondazioni Cariparma e Monte Parma, Comuni limitrofi, musei, gruppi e associazioni, e abbiamo cominciato a lavorare insieme: una cosa del genere non si vedeva credo dai tempi del Cln, in una città litigiosa e supponente come questa». Costo per il Comune 60 mila euro, briciole, su 350 mila totali, e sono di nuovo all’opera per celebrare nel 2017 i 2200 anni dalla fondazione della città romana. Dei 6 milioni stanziati quest’anno per la cultura (un quarto in più del 2015), la metà va al Teatro Regio. Da qualche mese, infine, anche gli industriali (Barilla, Chiesi farmaceutici, Dallara più Cariparma) si sono rimboccati le maniche fondando l’associazione "Parma, io ci sto!", su cibo, cultura, turismo e innovazione.

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Non è stato sempre rose e fiori. La svolta è arrivata un paio d’anni fa, smaltita l’iniziale inesperienza e il macigno dei debiti pregressi. «Ma fin dall’inizio alla Ferraris va riconosciuto di aver fatto un gran lavoro, più silenzioso, sulle strutture, ristrutturando edifici, riorganizzando le biblioteche, risistemando collezioni e depositi dei musei cittadini», loda Gloria Bianchino, storica dell’arte contemporanea e curatrice, che grillina non è.

Giovane, alle spalle lavori da manager dall’automotive alle Olimpiadi 2006, torinese dunque sempre un’ospite anche se laureata a Parma in Beni culturali, a Laura Ferraris ne hanno dette di ogni, esempio, assessora modaiola sui tacchi a spillo sulla tolda di una nave che affonda. Ma non è in quanto straniera che a molti ha dato fastidio: «È scoppiato il finimondo», racconta, «quando allo scadere delle convenzioni per i finanziamenti a teatri e festival invece di rinnovarle automaticamente ho promosso bandi aperti a tutti, chiedendo progetti poi valutati da una commissione di esperti. Non uno spoils system, solo criteri di trasparenza e un modo per mobilitare nuove energie della città».

Chi invece allo spoils system è dichiaratamente favorevole è Filippo Nogarin, il sindaco di Livorno: «Purché sia vero, cioè tutti a casa», dice elencando i repulisti. «Abbiamo spazzato via la parte dirigente ammalorata di quasi tutte le partecipate, rifiuti, acqua e gas, porto industriale». Alla Fondazione del Teatro Goldoni (benché Livorno sia la patria di Mascagni), «il braccio armato del Comune nella cultura», direttore da novembre è Marco Leone, uomo di teatro, buoni risultati con rassegne in periferia e progetti per intercettare risorse, ma anche amico e compagno di battaglie grilline del sindaco: «L’ha assunto una commissione terza», taglia corto Nogarin: «se uno è bravo, non dovrei prenderlo perché è del Movimento?».

Con tutto il rispetto per gli orti urbani, le marce per l’allattamento al seno materno, la rinascita di Arcigay, Arcilesbica e Famiglie arcobaleno su impulso della vicesindaco Stella Sorgente e dell’assessore alla cultura Francesco Belais, progetti molti ma cose compiute ancora se ne vedono pochine: «Ci si aspettava la rivoluzione. Beh, è avvenuta. I risultati si valuteranno a fine mandato», risponde pacato Nogarin. «C’è un’unica differenza tra azione politica e azione amministrativa: il fattore tempo». Aspettate e vedrete.