«Senza Beppe Grillo io non mi sarei mai alzato dal divano. Però...». È con una serie di però che Federico Pizzarotti lascia il Movimento 5 stelle, «che non è più quello delle origini», dice, ed è anzi stato consumato da una serie di «arrivisti ignoranti che non sanno cosa significhi governare». Ringrazia Beppe Grillo che gli ha fatto tornare voglia di far politica, il sindaco di Parma, ma poi mette in fila tutti gli elementi della «mutazione» del Movimento, che «aveva solo un megafono e ora ha un capo politico», che «voleva portare le telecamere dentro i consigli comunali e ora è diventato il Movimento delle riunioni a porte chiuse», che non voleva carrierismo e ora invece è pieno «di consiglieri comunali che non si sono ripresentati per un secondo mandato, in tutta Italia, pensando alle elezioni per il parlamento del 2018».
Federico Pizzarotti lascia dunque il Movimento 5 stelle di cui è stato il primo sindaco e lo fa dicendosi «un uomo libero, a differenza di altri». «Io penso le cose e le dico, per questo sono stato sospeso». Non fa, Pizzarotti, «come certi parlamentari, che anche a voi giornalisti», dice durante la conferenza stampa convocata in mattinata, «magari vi dicono cosa non va, ma poi vi chiedono di non comparire». Perché temono le reazioni dei vertici, le espulsioni, e l’assalto della base, che adeguatamente indirizzata può far male, come sa Pizzarotti che è stato più volte sottoposta alla gogna del blog: «Posso immaginare il simpatico trattamento che riceverò questo pomeriggio», dice con un mezzo sorriso.
Ne ha per il direttorio dei nominati («Eravamo persone libere, critiche. Adesso invece siamo quelli dei direttori, praticamente nominati, ratificati dalla rete»), per Luigi Di Maio («Son diventati di moda i lobbisti e gli incontri bilaterali, al posto degli streaming») e per Virginia Raggi («Cosa sarebbe successo se io avessi nominato uno con la tessera del Pd come assessore oppure uno che ha lavorato con Iren. Siamo stati messi in croce per molto meno»). Ma Pizzarotti è alla Casaleggio e a Beppe Grillo che dedica le migliori stoccate. «Lascio il Movimento e faccio un favore al garante», è la battuta, «che ancora una volta potrà non decidere». In realtà Pizzarotti più che un favore, ha anticipato Grillo, immaginando scontata la sua espulsione una volta che gli attivisti avranno finito di votare sulla modifica dello statuto e del regolamento del Movimento. La votazione sulla piattaforma Rousseau è aperta fino al 26 ottobre, e Pizzarotti ha giocato di anticipo. Senza svelare troppo del suo futuro.
«Non abbiamo ancora deciso se ci candideremo», dice sul suo eventuale secondo mandato a Parma, chiarendo così che il gruppo consiliare, che gli assicura ancora la maggioranza, non lo seguirà subito nell’addio al Movimento. È il primo caso, dunque, di un gruppo di 5 stelle che sosterrà un sindaco non del Movimento: «Sono io il sospeso, sono il che lascio», dice Pizzarotti. Che non spiega quindi se farà una lista civica - ma la farà - e si prende del tempo solo per smentire le voci («messe in giro da Roma») su una prospettiva nazionale e su un accordo già chiuso con il Pd. È semmai alla sinistra e a alcuni ex dem che guarda Pizzarotti, da tempo in linea con Pippo Civati, ad esempio. Pizzarotti non per nulla dice che il Movimento 5 stelle sbaglia nel non volersi alleare con nessuno: «Quando noi pensiamo a un governo 5 stelle e poi parliamo di non dialogare con nessuno, diciamo una cosa che non ha senso. Perché bisogna includere, dialogare, allargare, un po’ come facevano le prime liste civiche 5 stelle».
L’uscita del sindaco di Parma arriva così mentre Davide Casaleggio e Beppe Grillo sono ancora a Roma per una serie di riunioni sulle continue tensioni nel movimento. Tensioni non solo legate alla vicenda romana, che comunque tiene banco, con il cerchio che si stringe su Paola Muraro - per il proseguire dell’inchiesta - e sulle due nuove nomine, soprattutto quella del fedelissimo Mazzillo. Grillo schiva i giornalisti e dice «è una bella giornata, lasciatemi passeggiare in pace». In realtà a Roma piove.