Il premier ammette la vittoria "indiscutibile" dei Cinque stelle: "Ha vinto chi ha interpretato meglio l'ansia di cambiamento". Rievoca la rottamazione e il se stesso che fu, come fece un anno fa dopo la sconfitta a Venezia

Niente lanciafiamme, per adesso. Matteo Renzi torna a parlare dopo la batosta elettorale del Pd, riconosce la vittoria “netta e indiscutibile” dei Cinque stelle, rimanda alla direzione dem di venerdì l’analisi del voto (leggasi resa dei conti interna, “vera, franca, sincera”, cioè da brividi), ma non rinuncia a chiarire che quest’ultima tornata di amministrative - nella quale secondo il Times ha preso “un pugno sul naso” - “non è un voto di protesta”, cioè non è contro di lui: è un voto a favore di chi ha saputo fare meglio. “Ha vinto chi ha interpretato meglio l’ansia di cambiamento”, spiega il premier.

Cambiamento, innovazione, rottamazione. Sono parole che ricorrono assai, in queste ore, nei suoi discorsi. E raccontano bene l’aporia di chi deve il suo successo a una rottura, essendo però costretto a gestire la continuità. Va a finire che, visto pure l’uomo, il problema ancor prima che politico pare sempre riconducibile a una faccenda di tipo personale: il rapporto con se stesso. “Renzi ha perso perché non ha fatto abbastanza Renzi”, pare abbia detto il premier nella notte della batosta elettorale, appena persa Torino oltre a Roma. “Queste elezioni dicono con chiarezza che con il Renzi 2 non si vince. Devo tornare a fare il Renzi 1”, aveva detto un anno fa, giusto il 16 giugno alla Stampa, subito dopo aver perso Venezia, oltreché la Liguria.

Come se ci fosse un altro se stesso a cui tornare: quello sicuramente vincente, che prometta di usare “il lanciafiamme contro il partito” (versione 2016) o di “infischiarmene dei D’Attorre e Fassina e riprendere in mano il partito” (versione 2015). Certo, nel frattempo è cambiato tutto. E se per le regionali 2015, Renzi aspettò lo spoglio giocando alla playstation con Matteo Orfini, stavolta più  malinconicamente pare abbia spento la tv all’una e mezzo del mattino e se ne sia tornato mesto a Palazzo Chigi. Invece che i videogiochi, qualche bracciata a nuoto. Senza Orfini.

Il tema di fondo resta però sempre quello: Renzi di governo che rimpiange e rievoca il Renzi di rottamazione. “Se torna Renzi 1, fossi in Marino non starei tranquillo”, diceva Renzi 2 l’anno scorso, di fatto annunciando l’imminente conclusione del percorso dell’allora sindaco: sarebbe arrivata da lì a sei mesi, per ritorcerglisi contro dopo altri sei (giusto ieri, insomma). Non che, insomma, questo fatto della rottamazione vada sempre a buon fine. Ma anche stavolta Renzi dice che il punto è quello: “Ho rottamato troppo poco”, “devo mettere da parte la vecchia guardia”. Stavolta, nel mirino, pare ci sia finito Piero Fassino. Colpevole di non essersi fatto rieleggere, lui che pure è un renziano doc: “Tra Fassino e Appendino, il renziano del 2014 chi avrebbe votato? Naturalmente Appendino”, pare si sia chiesto nella notte il premier.

A essere rievocato è appunto il 2014, l’età d’oro dell’ingresso a Palazzo Chigi e delle Europee col Pd al 40,8 per cento. Il punto zero al quale sempre tornare. Come quelle “lasagne della nonna” che ieri il premier – dopo aver incontrato lo chef Bottura – ha citato come piatto che sempre lo “emoziona”. Ma per vincere senza ballottaggio il World Best 50 Restaurant, la lezione del cuoco stellato è che il meglio del passato va spaccato e ricostruito. “Aprirsi al nuovo, senza nuovismo”. Renzi lo ha già fatto: adesso non sa come ripetere il miracoloso equilibrio di quel piatto. E non ha poi molto tempo.

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