Era da almeno tre anni che lo si cercava, adesso – per la gioia dei venditori di pop corn - l'allineamento tra i pianeti è arrivato: Renzi contro D'Alema, D'Alema contro Renzi. Finalmente. Il capo del sì contro il capo del no: già più volte in polemica fra loro, ma adesso in rotonda, perfetta opposizione grazie al referendum, occasione costituzionale per celebrare uno scontro troppo a lungo rimandato.
"Sono un suo ammiratore perché riesce a sostenere qualsiasi cosa". "Fa battaglia politica per un risentimento personale". "Sulle sciocchezze non rispondo". "Una parte della responsabilità del pasticcio Mps è della sinistra". "Non fa che ripetere le stesse battute". Ora le polemiche e gli attacchi come questi si sprecano, e rimbombano, da Milano e da Reggio Emilia, dal teatro Farnese a Palazzo Chigi. S'invera non soltanto il quarto o quinto round del combattimento, ma appunto quel che ne appare l'apoteosi. Nella quale c'è da notare un senso di inevitabile, in qualche modo testimoniato dall' interscambiabilità dei ruoli (oltreché dei fedelissimi). Come nella battuta, di Renzi, sull' "amore" tra D'Alema e Berlusconi, che avrebbe potuto tranquillamente essere pronunciata da D'Alema, sull' "amore" tra Renzi e Berlusconi, con tutti gli annessi nazarenici del caso.
Insomma, pareva scritto nelle stelle. Nell'irresistibile attrazione che può esserci tra chi ha bisogno di cercarsi un nemico perché ciò è parte del proprio programma politico, e chi ha bisogno di cercarsi un nemico perché ciò è parte del proprio programma esistenziale. Erano destinati ad incontrarsi, a diventare i nemici preferiti l'uno dell'altro. Tanto più dacché rimasti dialetticamente orfani dei rispettivi nemici precedenti, perché poi anche ad essere nemici serve una cura e una dedizione che non tutti sono disposti ad apparecchiare.
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Per ritrovare un tale allineamento dei pianeti si è dovuto però aspettare quasi quattro anni. Il grande scontro tra Renzi e D'Alema, in effetti, avrebbe dovuto celebrarsi con l'occasione delle primarie 2012, le prime cui partecipò l'allora sindaco di Firenze.
Anche l'ex premier, cosiddetto lider Maximo, voleva allora candidarsi, ma fu convinto a non farlo dal segretario Pd, Pier Luigi Bersani. Tolta così dal tavolo la carta D'Alema – contro la quale Renzi avrebbe avuto il grande appeal di poter dire "votatemi, contro di lui" – Bersani quelle primarie le vinse. Ma, disgraziatamente, fu l'ultima cosa che vinse davvero: e, con la mezza sconfitta delle politiche nel febbraio 2013, non si trovò più nella posizione di poter ricambiare il favore a D'Alema. Che infatti restò senza ruoli consoni a lui e alle sue ambizioni, e si dovette acconciare a combattere da rottamato le successive primarie, quelle 2013, per interposta persona (Gianni Cuperlo) e senza in fondo alcun gusto.
Guarda i giochi del caso: adesso, la ridiscesa in combattimento di Massimo D'Alema contro il referendum di Renzi mette in difficoltà proprio Bersani. L'ex smacchiatore di giaguari risulta in effetti stretto a tenaglia: nel referendum è lo stimato capo del Ni, ruolo non carismatico per definizione. Renzi non lo attacca, perché come bersaglio D'Alema è certamente più vantaggioso, se non altro per chi crede nell'adagio del dove c'è Max c'è sconfitta. E D'Alema spazio ad altri oppositori non ne lascia, visto che è questo neo-protagonismo il suo margine in più per rientrare in campo. I due nemici del cuore sono dunque anche in qualche modo alleati, e si tengono su l'un con l'altro come certi equilibristi, in attesa che il benedetto referendum disegni gli equilibri per la prossima guerra.