Non si può scindere il destino della sinistra dall’Europa. Il manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli parlava di pace e di giustizia sociale, i nostri valori. Io mi batto per una sinistra europeista, laborista, femminista, ambientalista, sociale e solidale. È la mia sinistra», dice la presidente della Camera Laura Boldrini, alla vigilia di una doppia sfida.
Per l’Europa siamo a poche settimane dal vertice di Roma, convocato per i sessant’anni del trattato che fondò il processo di integrazione, con il progetto dell’Unione a più velocità su cui si sono confrontati i capi di governo dei paesi più grandi. Per la sinistra europea c’è la difficile contesa elettorale in Olanda, Francia e Germania. E per quella italiana è la stagione di primarie, scissioni e ricomposizioni.
È in questo momento che la Boldrini pubblica “La Comunità possibile. Una nuova rotta per il futuro dell’Europa” (Marsilio, in uscita il 16 marzo), un diario di viaggio al termine dell’Europa, nei luoghi dove il Continente è nato e ora rischia di sparire come entità politica (la Grecia, l’isola di Lesbo, l’Inghilterra, Schengen), nell’anno orribile della Brexit, con un simbolo, il giubbotto che la Boldrini ha raccolto sulla spiaggia di Lesbo, a testimonianza di tutti i migranti che sono riusciti a salvarsi. E insieme un manifesto politico, per rilanciare il progetto europeo.
«Il senso della mia esperienza istituzionale si riassume in alcune battaglie, quella per l’Europa accanto ad altre questioni: la parità di genere, l’impegno contro la disuguaglianza sociale e per il riscatto delle periferie, la lotta politica e culturale contro l’odio e le fake news, per un web libero e sicuro», spiega. «Quando si parla di Europa la narrazione è sempre al negativo. Eppure l’Europa è la culla dei diritti, un patrimonio da presentare al mondo. È la reputazione di cui dovremmo essere fieri. Io sono orgogliosa di essere europea, non vorrei essere altro. È vero, oggi l’Europa appare ingiusta, ma come può continuare a esserlo se qui è stata inventata la giustizia sociale? Per anni le istituzioni europee si sono chiuse di fronte alle difficoltà di alcuni paesi dell’Unione che non riuscivano a reggere di fronte alle misure di austerity. Questa Europa va cambiata con una profonda azione politica che non può restare affidata al livello inter-governativo. Di fronte alla più profonda crisi che l’Unione abbia attraversato dalla sua nascita, io non ho voluto essere spettatrice, ho sentito il dovere e la responsabilità di fare qualcosa. Dalla condivisione di questa esigenza con alcuni miei colleghi è nato il documento dei presidenti delle assemblee legislative per una maggiore integrazione, firmato inizialmente da quattro presidenti delle Camere basse dei paesi fondatori, ora siamo in quindici. Un documento politico che formula una vera e propria agenda, in cinque punti. Per fare fronte alla crisi serve più Europa. Non va ignorato più l’impatto sociale della crisi. Servono crescita e lavoro. Va condivisa la sovranità in tutti gli ambiti in cui l’azione dei singoli Stati non è più adeguata. E l’obiettivo finale è l’Unione federale degli Stati. Il documento è stato presentato per un confronto di idee alle istituzioni europee e ai cittadini, attraverso una consultazione pubblica on line cui hanno partecipato undicimila persone che hanno risposto a domande su quello che non va di questa Europa e su come la vorrebbero. Ho voluto poi che le loro risposte fossero esaminate da un gruppo di eurosaggi, ex ministri, federalisti, giornaliste, docenti universitari,che hanno prodotto una relazione. In quel documento ci sono proposte su come rafforzare l’Europa a trattati vigenti, e molto può essere fatto. Se vogliamo che l’Europa sia in grado di dare risposte adeguate alle crisi, è essenziale che l’Unione abbia a disposizione un bilancio realistico e non solo, come è oggi, l’uno per cento del Pil. Dobbiamo pensare a un ministro del Tesoro europeo, lo stesso vale per il ministro del Lavoro o e degli Affari sociali. Va messo in atto un sistema elettorale transnazionale con partiti realmente europei e simboli uguali per tutti i paesi, nella convinzione che se l’Europa è più forte tutti gli Stati-membri lo sono. E ancora: reddito di dignità europeo per i poveri, sussidio di disoccupazione europeo. Un fondo europeo destinato alle urgenze, come il terremoto del Centro Italia, e in grado di fare fronte alla crisi. L’Europa deve tornare a essere un’istituzione di protezione sociale».
Puntare sull’Europa in questo momento di euro-distruzione è temerario per chi fa politica. Ci sono due figure simbolo che per la Boldrini riassumono il dramma europeo: Aylan Kurdi, il bambino siriano morto annegato nel 2015, e la deputata laburista Jo Cox, uccisa alla vigilia del referendum inglese sulla Brexit. «Questi verranno ricordati come gli anni dell’indifferenza. Anni bui, una sorta di medioevo dell’umanità, in cui di fronte alla morte di migliaia di persone c’è stato chi ha investito politicamente sulla paura ed è cresciuto in consensi. Se si sono imposte voci così disumane vuol dire che chi aveva una posizione diversa non le ha contrastate abbastanza. La Brexit ha mostrato poi come l’Europa potesse essere usata da capro espiatorio, poiché i problemi dei britannici scaturiscono principalmente da scelte politiche nazionali, visto che l’Uk è fuori da Schengen, non è nel patto di stabilità ed ha una politica di bilancio abbastanza autonoma. Anche il discorso di odio e le fake news hanno avuto un ruolo sull’esito del referendum. E l’assassinio di Jo Cox credo sia stato anche il frutto di quella campagna: un omicidio politico, un atto di terrorismo. Per questo ho voluto dedicare a Jo Cox la commissione contro l’odio che ho istituito alla Camera: in una delle ultime audizioni abbiamo avuto la testimonianza del marito Brendan, con un intervento molto lucido e appassionato».
«In Italia», prosegue la presidente della Camera, «non c’è abbastanza forza nel promuovere il cambiamento dell’Europa. Non bisogna essere timidi, non bisogna avere paura. Bisogna essere assertivi, credo nella forza della ragione e delle argomentazioni. Dobbiamo dirlo con convinzione: dare soluzioni semplificate a questioni complesse è una truffa. Disgregare l’Unione europea è un atto di autolesionismo che porterebbe alla decadenza finale rispetto ai giganti globali». In tutta Europa, però, gli europeisti sono sulla difensiva. E più in difficoltà di tutti la sinistra che va al voto nei prossimi mesi, con l’importante eccezione del socialdemocratico Martin Schulz in Germania, ex presidente del Parlamento europeo. «Vuole un terreno di impegno concreto per la sinistra europea? La Grecia. Conosco bene quel paese, gli orfanotrofi sono pieni di bambini abbandonati dai genitori che non sanno come alimentarli. Si è parlato di espellere la Grecia dall’eurozona, di eliminare il problema eliminando la Grecia. Tsipras sta cercando di fare fronte all’emergenza con le sue forze, con grande compostezza, ma dovrebbe avere accanto una famiglia politica più grande. La sinistra europea dovrebbe fare sua la battaglia della Grecia che riassume tutti gli elementi della crisi: una politica economica sbagliata, l’assottigliamento della classe media, la povertà diffusa».
In questi giorni la Boldrini festeggia quattro anni dall’elezione al seggio più alto di Montecitorio, ha lasciato il gruppo parlamentare di Sinistra italiana per iscriversi al gruppo misto. E guarda con interesse al nuovo movimento fondato da Giuliano Pisapia. «Il gruppo cui mi ero iscritta nel 2013, il primo giorno di legislatura, era quello di Sel all’interno della coalizione Italia bene comune, con il Pd. Ora non c’è più, è nato il gruppo di Sinistra italiana da cui si sono allontanati altri deputati per entrare in un altro gruppo con chi è uscito dal Pd. E io per correttezza ho aderito al gruppo misto, ho fatto una scelta di terzietà. In questo momento vorrei essere una figura di ponte, di dialogo, non tanto sugli schieramenti, su chi sta con chi, ma sui contenuti». Sarà come dice lei, presidente, ma in Europa soffia il vento della divisione e in Italia delle scissioni. «È vero», risponde la Boldrini, «le scissioni sono sempre dolorose, anche per chi come me non ha mai fatto vita di partito. Mi auguro che alla fine di questo travagliato percorso si possa arrivare a una sintesi. Bisogna far prevalere la responsabilità sui personalismi e sulle divisioni. In Europa nessuno Stato può farcela da solo, in Italia nessun partito a sinistra può farcela da solo. E in questo l’Europa e la sinistra sono la comunità possibile. L’unica».