L'ex Cavaliere punta a unire il centrodestra, ma anche a proporsi come indispensabile alleato del Pd. Questi sono gli schemi di gioco con cui cerca di riaccreditarsi verso l'establishment. E di apparire come l'uomo della stabilità

Rinasco, rinasco... Silvio Berlusconi aveva cominciato in politica citando “Rio Bo” di Aldo Palazzeschi alla radio, ma oggi potrebbe ripetere i versi di Guido Gozzano, «il cùcu dell’ore che canta rinasco rinasco del mille ottocento cinquanta».

La data della rinascita dell’ex Cavaliere è già fissata: duemiladiciotto.
Per quella data, come si sa, Berlusconi si aspetta che gli venga restituito l’onore politico, ovvero la possibilità di ricandidarsi in Parlamento che oggi gli è vietata ai sensi della legge Severino, dopo la condanna del 2013 per frode fiscale.

In attesa del pronunciamento della corte di Strasburgo l’ex premier si gode l’improvvisa centralità riconquistata. Il primo segnale mesi fa, durante le feste di Natale, in occasione degli auguri del Capo dello Stato alle alte cariche repubblicane, quando Berlusconi apparve all’improvviso nei corridoi del Quirinale scortato da Gianni Letta e si inserì in un colloquio tra Sergio Mattarella e Paolo Gentiloni.

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Berlusconi: 23 anni di cadute e resurrezioni
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«Dovete salvare...», cominciò a dire mentre i due presidenti trattenevano il fiato, erano i giorni dell’assalto di Vivendi contro Mediaset, «...dovete salvare Monte dei Paschi di Siena. Sono affezionato, è la prima banca che mi ha fatto credito». Sospiro di sollievo dei due vertici istituzionali. Un’ora dopo, andati via presidenti, ministri, parlamentari, ambasciatori, prefetti, Berlusconi era ancora lì: a farsi selfie, a firmare autografi, a ricevere bigliettini. Quasi trascinato via da Letta: «Dobbiamo lasciare la sala, devono spegnere la luce...».

SE SI VOTASSE OGGI
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La seconda scena è della settimana scorsa: vertice dei popolari europei a Malta, il plateale riabbraccio con Angela Merkel, le scuse per gli apprezzamenti che circolarono sulla cancelliera tedesca, «ma io quella frase non l’ho mai detta», la riammissione a pieno titolo tra i big dei moderati europei certificata dall’elezione di Antonio Tajani a presidente del Parlamento europeo.

Per la prima volta dal 1994, da quando entrò in politica, Berlusconi è più popolare nel Palazzo che nell’elettorato. I sondaggi danno Forza Italia fissa, stabile, senza variazioni di rilievo, né in su né in giù, da mesi al 12 per cento. Lontano dal 16 per cento delle elezioni europee del 2014 e dal 21 raccolto dal Pdl nel 2013, prima della mini-scissione di Angelino Alfano. Nell’establishment politico italiano e europeo, invece, le quotazioni berlusconiano sono in rapido rialzo. L’ex leader appare all’improvviso come l’uomo della stabilità. L’unico che può mettere insieme il variopinto mondo del centrodestra italiano, diviso tra liberali, post-fascisti, post-secessionisti, sovranisti, democristiani, come fece al momento dell’ingresso in politica nel 1993, quando utilizzò la legge elettorale appena votata dal Parlamento, i collegi uninominali del Mattarellum, per federare la Lega di Umberto Bossi al Nord e il Msi ancora in passaggio verso Alleanza nazionale di Gianfranco Fini al Sud.

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Oggi l’impresa è più difficile perché Berlusconi all’epoca era una novità assoluta per la politica e ora invece ha alle spalle più di venti anni di battaglie, tra crisi di governo, spaccature, ricomposizioni, cadute, processi, scandali, condanne. I suoi potenziali alleati, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, hanno l’età giusta per essere suoi figli, sono di una generazione successiva, anagrafica e politica, sono gli allievi di Bossi e di Fini che hanno spedito in pensione i rispettivi maestri e vorrebbero fare lo stesso con Berlusconi.

Gli ex fedelissimi, da Angelino Alfano a Denis Verdini, si sono messi in proprio e dichiarano il loro distacco dalla casa di Arcore, almeno per ora. I superstiti sono un po’ come i naufraghi sull’isola dei famosi: di Forza Italia ogni tanto arriva l’eco di qualche litigata furibonda, i deputati contro Renato Brunetta, Brunetta contro Paolo Romani, Maurizio Gasparri contro chi minaccia di non ricandidarlo.

Poche cose, i cronisti che nella belle époque berlusconiana si occupavano dei misteri di Palazzo Grazioli sono da anni disoccupati. E i parlamentari azzurri che si accapigliano sulla richiesta di soldi arrivata dal tesoriere del partito Alfredo Messina: se non arriva il pagamento delle quote dovute al partito non ci sarà la ricandidatura.

Una legislatura sprecata. Un semplice passaggio di tempo. Dal Berlusconi nello schieramento che rielesse Giorgio Napolitano al Quirinale e nella maggioranza di governo di larghe intese presieduto da Enrico Letta al Berlusconi ottantenne, padre nobile del centrodestra italiano. In mezzo, i due momenti-chiave: la condanna definitiva che portò Berlusconi fuori dalla maggioranza (con la nascita dell’Ncd fondato dai ministri che mollarono Berlusconi in quell’occasione) e poi fuori dal Parlamento, con l’assegnazione ai servizi sociali, e il patto del Nazareno con Matteo Renzi, poi stracciato dal premier fiorentino in occasione dell’elezione di Mattarella a presidente.
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Poteva finire lì, l’avventura del Caimano in politica. Invece il Rieccolo di Arcore si prepara a una nuova stagione da protagonista. Unico tra gli attori politici che stanno confusamente preparando la futura campagna elettorale a poter contare su un doppio schema di gioco che già oggi segna le sue mosse.

Il Berlusconi uno è il federatore del centrodestra, il ruolo che gli si addice da sempre. Mettere insieme la coalizione in grado di fare il pieno dei voti di un elettorato moderato ancora maggioritario, ma senza casa politica. Con Salvini e la Meloni in alleanza ma fortemente imbrigliati. Nella Lega il partito filo-berlusconiano si sta già muovendo per condizionare Salvini, il suo leader è il presidente della Lombardia Roberto Maroni. In regione si vota all’inizio del 2018, sarebbe difficile per il leader leghista spiegare che il centrodestra può andare unito per il Pirellone e diviso per Palazzo Chigi.

Berlusconi è pronto a rimettere insieme la vecchia alleanza, a una condizione: che sia lui a guidarla. O un nome da lui indicato: il governatore del Veneto Luca Zaia, una carta che avrebbe l’effetto di spaccare la Lega e di isolare Salvini. Oppure il presidente del Parlamento europeo Tajani, ripescato dal notabilato internazionale in cui si era inabissato da tempo e trasformato in una specie di statista continentale. Salvini lo detesta e non l’ha votato per la presidenza Ue, ma proprio per questo una candidatura Tajani suonerebbe presso i partner europei come la garanzia che il centrodestra italiano non ha ceduto alle sirene populiste.

Il Berlusconi due punta a occupare il ruolo di piccolo grande centro decisivo per fare qualsiasi maggioranza: in particolare una, quella con il Pd di nuovo guidato da Renzi. L’ex Cavaliere sarebbe così nella prossima legislatura una specie di nuovo Pier Ferdinando Casini, solo più eclettico elettoralmente. E infatti si batte per mantenere la legge elettorale proporzionale, l’unica che consente ai partiti di presentarsi agli elettori senza indicare la coalizione di governo. Con le mani libere, come si diceva un tempo.

Il paradosso è che il Berlusconi uno, quello che rimette insieme il centrodestra, si candida come avversario del Pd potenzialmente vincente ma nei fatti aiuta il partito di Renzi a ricomporre il vecchio bipolarismo, tagliando fuori la novità del Movimento 5 Stelle, come avvenne un anno fa alle elezioni comunali di Milano, quando la sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi lasciò le briciole a M5S.

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Mentre il Berlusconi due, sganciato dalla Lega e dunque potenziale alleato del Pd nella prossima legislatura, in realtà non aiuta Renzi perché non rimette in moto il bipolarismo classico destra-sinistra e consegna la posizione di partito di maggioranza relativa al Movimento di Beppe Grillo. Solo una destra forte e unita ricompatta e dà identità anche al Pd: in questi giorni di risultati trionfali nei circoli del partito ne è consapevole anche Renzi. Per provare a vincere c’è bisogno di un centrodestra forte che argini il voto per M5S in quella parte di elettorato che il Pd non raggiunge: il ceto medio, il meridione, un pezzo di Nord. Ecco perché Berlusconi si sente alla vigilia dell’ennesima resurrezione. E come il cucù di Gozzano canta: rinasco, rinasco. Anzi, è già rinato.