Il piano di Davide Casaleggio e del M5S per accreditarsi tra poteri forti e lobby
In piazza i pentastellati citano San Francesco, ma nelle stanze del potere parlano con poteri economici, enti di stato e apparati di sicurezza. Il regista? L'erede di Gianroberto
Sorrisi. Strette di mano. Uno sferragliare di bigliettini da visita. I gesti tipici che accompagnano l’ingresso del nuovo arrivato in un club ristretto e esclusivo. Una mattinata in prima fila, nella sala conferenze del Maxxi, accanto al ministro Carlo Calenda e al presidente di Confindustria digitale Elio Catania. L’intervento a inizio lavori, da solo sul palco, privilegio concesso solo a lui e al ministro, in piedi davanti al leggio con il telecomando in mano, per parlare di startup, investimenti pubblici e incentivi fiscali per aiutare le imprese che fanno innovazione, compresa la sua.
Che spettacolo l’apparizione nella Capitale di Davide Casaleggio, un mese fa, all’Internet day organizzato dall’agenzia Agi, di proprietà dell’Eni. Una giornata da imprenditore della rete, lui, il Davide della piccola Casaleggio associati seduto accanto ai grandi, alla pari con i Golia: Microsoft, Ibm, Airbnb.
Riverito e omaggiato da una platea di operatori del settore, giornalisti, il presidente della Commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia che gli stringe la mano e elogia la preparazione dei deputati del Movimento 5 Stelle della sua commissione. In sala, però, di M5S non c’è nessuno: solo il portavoce Rocco Casalino si materializza alla fine per trascinare via Casaleggio dalle telecamere. Camicia bianca, completo scuro, cravatta a fantasia grigia, la divisa impersonale del capo azienda in una convention di colleghi, l’opposto della maglietta del militante sfoggiata alla marcia per il reddito di cittadinanza Perugia-Assisi la settimana scorsa.
L’oratoria metallica, schematica come le slides che accende alle sue spalle. Niente potrebbe far immaginare a un osservatore distratto che questo quarantenne è il capo di un movimento considerato da molti in Italia e in Europa populista, sfasciatutto, pericoloso per la democrazia. Nessun segno, almeno visibile. Ma è nell’invisibilità delle relazioni e dei rapporti che Davide Casaleggio sta provando a far cambiare pelle a M5S.
Dalla piazza dei Vaffa di Beppe Grillo e delle profezie avveniristiche di Gianroberto Casaleggio alla tessitura riservata di legami con aziende di Stato, apparati, il reticolo dei poteri imprescindibili per chi intende candidarsi a governare. È questa la vera conversione francescana predicata la settimana scorsa da Grillo ad Assisi: il lupo di Gubbio che spaventava con le sue razzie la politica italiana si sta addomesticando, sta prendendo casa nei palazzi del potere che voleva scoperchiare come una scatoletta di tonno. Fratello governo, sorella lobby.
A Roma ormai è quasi un intercalare. Non c’è lobbista, responsabile di relazioni istituzionali di un ente qualsiasi, capo di un’agenzia di comunicazione che non cominci il discorso così: «L’altro giorno abbiamo incontrato il Movimento...». Una strategia di doppio accreditamento: M5S verso i poteri romani, i poteri verso il Movimento, perché tra poco si vota, hai visto mai che vincano loro.
Davide Casaleggio è il regista della svolta, come si è visto a Ivrea, al meeting organizzato per il primo anniversario della morte del padre. Niente politica e molti relatori non sospettabili di simpatie grilline o di populismo, da Paolo Magri dell’Ispi, l’istituto per gli studi di politica internazionale, a Fabio Vaccarono, amministratore delegato di Google Italia.
I deputati e senatori di M5S accorsi in massa sono rimasti silenziosi in sala, a fare da platea. Come se, in quel caso, i rapporti tra l’azienda di Casaleggio e il partito di Casaleggio fossero invertiti rispetto ad esempio a quelli che ci furono tra Fininvest e Forza Italia agli esordi del berlusconismo in politica. Nel caso del Cavaliere l’azienda del Biscione fu chiamata a convertirsi rapidamente in partito, con gli uomini di Publitalia piazzati ai vertici della nascente formazione azzurra. Nel caso di M5S, il movimento esiste già, è una forza politica che raccoglie tra un quarto e un terzo del consenso degli italiani, e questa forza può tornare utile per far crescere l’azienda Casaleggio, che invece sul mercato ha ancora dimensioni ridotte. Di certo l’idea di entrare in rapporto con il capo di un partito che potrebbe conquistare il governo tra qualche mese permette al suo presidente, il figlio del fondatore Gianroberto, di essere introdotto in mondi e ambienti finora off limits.
L’Eni, per esempio, fino a poco tempo fa era considerata il male assoluto, con Grillo che si era presentato a un’assemblea tuonando contro i vertici, ora è cominciato il disgelo, con un lungo incontro tra Davide e alcuni ambasciatori dell’azienda: tantissime domande e lunghissimi silenzi da parte di Casaleggio, fase di ascolto ma l’incomunicabilità è finita.
Con l’Enel i rapporti sono già in fase avanzata: anche in questo caso non è passata un’era geologica da quando Grillo attaccava le centrali a carbone «che uccidono l’Italia», le bollette e i contatori inutili. Ma due mesi fa una delegazione di M5S è volata a Copenaghen per visitare le aziende che stanno compiendo «la rivoluzione energetica danese», come l’hanno definita. C’erano i parlamentari Riccardo Fraccaro, Davide Crippa, Piernicola Pedicini, Gianni Girotto e il più entusiasta della compagnia, Luigi Di Maio: «Abbiamo toccato con mano un progetto stupendo che porta la firma dell’Italia: l’hub dei veicoli elettrici con tecnologia V2G dell’Enel», ha esultato il vice-presidente della Camera e candidato premier in pectore a proposito delle infrastrutture di ricarica per le auto elettriche. Per tutto il viaggio gli esponenti del Movimento 5 Stelle sono stati affiancati dagli uomini dell’Enel.
Il senatore Gianni Girotto, l’uomo di M5S che segue le questioni energetiche, ha partecipato il 21 dicembre 2016 al seminario “Energy Perspectives 2017 and beyond” promosso dall’Enel e organizzato dal Centro studi americani presieduto da Gianni De Gennaro, ex capo della polizia oggi presidente di Leonardo Finmeccanica. Nel programma per l’energia di M5S ci sono riconoscimenti espliciti per l’Enel. E a Civitavecchia il sindaco grillino Antonio Cozzolino ha firmato una convenzione con l’Enel con un contributo di 4,5 milioni al comune, dopo anni di battaglie in senso opposto. L’altro uomo di contatto con le aziende partecipate è il deputato veneto Riccardo Fraccaro, molto attivo e molto lodato. «Ho incontrato Riccardo», ripetono i lobbisti intorno ai palazzi di Camera e Senato. «Ho visto Luigi», che sarebbe Di Maio: lui vede e incontra tutti.
Di Maio è di casa. Era accanto a Maria Elena Boschi e a Gianni Letta al Centro studi americani, il regno di De Gennaro e dell’onnipresente Paolo Messa, consigliere di amministrazione Rai in quota centrista ma molto trasversale, al punto di aver firmato una lettera pubblicata dal Corriere della Sera che anticipava la sfiducia al direttore generale Antonio Campo Dall’Orto insieme a Carlo Freccero, consigliere eletto con i voti di M5S. Il sito dell’associazione di Messa “Formiche”, ben introdotto nelle ambasciate e nelle forze armate, non si perde un convegno o un seminario organizzato da M5S. L’occasione dell’intervento di Di Maio al centro studi americani era offerta dalla presentazione di un libro di Vito Cozzoli, già capo di gabinetto al ministero dello Sviluppo economico con Federica Guidi. «Vito», come lo chiama confidenzialmente Di Maio, è oggi capo del servizio sicurezza della Camera. Un altro settore, quello della sicurezza e dei servizi, in cui sono in corso manovre di annusamento reciproche. Sorprendenti.
Dispensatore di consigli per M5S, quasi un consulente in materia, è il generale dei carabinieri in congedo Umberto Saccone, ex Sismi. Invitato come relatore d’onore un anno fa al seminario “Intelligence Collettiva: Storia dei Servizi Segreti” organizzato dai gruppi parlamentari di M5S con il senatore Bruno Marton che è componente del Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. Uscito dall’Arma, Saccone è stato per otto anni direttore della Security Eni, negli anni in cui nell’ente nazionale idrocarburi dominava Paolo Scaroni (con il faccendiere Luigi Bisignani) e un mese fa è stato nominato amministratore unico della Port Authority Security che gestisce la sicurezza nel porto di Civitavecchia, comune amministrato da M5S, oltre che di Fiumicino e Gaeta.
Il banco di prova, a proposito di nomine, è naturalmente il centro di potere più importante di M5S, il Comune di Roma dove da quasi un anno è arrivata Virginia Raggi. Dopo la prima fase drammatica, quella dei quattro amici al bar, come si chiamava la chat su whatsapp della sindaca con il capo del personale Raffaele Marra, poi arrestato, e del caposegreteria Salvatore Romeo, è arrivata l’ora del reset.
Ordinato e eseguito direttamente dalla Casaleggio associati, da Davide in persona. Prima mossa, la nomina dell’imprenditore veneto Massimo Colomban all’assessorato chiave che si occupa delle società partecipate del Comune di Roma: animatore della Confapri e del think tank Group nel cui board di fondatori figurava anche Gianroberto Casaleggio. Seconda mossa, le nomine dei vertici delle partecipate, la multiutility di acqua e energia Acea, l’azienda dei trasporti cittadini Atac, con nomi pescati fuori dai giri romani e dal litigioso raggio magico che circonda la sindaca. Come amministratore delegato dell’Acea è stato scelto il milanese Stefano Donnarumma, già in Acea, poi in Adr (Aeroporti di Roma) e infine direttore reti della A2A. All’Atac un altro milanese, Bruno Rota, l’uomo che ha diretto per anni l’azienda di trasporti meneghina Atm. «Le migliori scelte possibili», esulta un lobbista. Accompagnate da altre nomine: l’avvocato Luca Lanzalone alla presidenza di Acea e Liliana Godino nel cda, genovesi come Grillo, e Gabriella Chiellino, veneta come Colomban.
La via pentastellata alla lottizzazione: un mix di competenze e di fedeltà, in ogni caso il tentativo di superare la prima fase dell’uno vale uno, caro a Grillo e Casaleggio senior, con i nomi da reclutare in vista di un’ipotetica squadra di governo per il dopo-elezioni (ma Di Maio giura che sarà presentata prima del voto). Quasi una divisione di ruoli: al partito, ai volti mediaticamente più noti, i Di Maio e i Di Battista, il compito di rappresentare pubblicamente l’anima di lotta di M5S, la diversità grillina dagli altri partiti, sempre più labile. A Casaleggio e ai suoi la gestione delle relazioni di potere che aprono le porte del governo, ma anche a preziose relazioni tra aziende che si occupano di web. «La forza del M5S si basa sull’unione paritaria di due componenti, quella analogica e quella digitale, che non avevano mai trovato prima una sintesi politica così micidiale», scrive Giuliano da Empoli, già consigliere di Matteo Renzi, in “La rabbia e l’algoritmo. Il grillismo preso sul serio”, appena pubblicato da Marsilio. Ma l’evoluzione di M5S va in direzioni inaspettate, anche rispetto ai movimenti populisti europei cui viene comunemente associato. Né il Front National di Marine Le Pen in Francia né l’Ukip in Inghilterra, infatti, hanno potuto godere delle entrature con un pezzo di establishment che Casaleggio e i suoi stanno coltivando.
È una storia molto italiana. Un movimento né di destra né di sinistra, con quasi un terzo dei voti, ha interesse a presentarsi come una possibile forza di governo, garantendo che non offrirà posti soltanto ai suoi, a una classe dirigente che continua a non avere. E enti di Stato, apparati e giù giù la pletora di faccendieri, lobbisti, comunicatori, il contesto romano che fa da sfondo a ogni potere, ha interesse a occupare quello spazio vuoto: a proporsi come quella classe dirigente che non c’è. È questa la doppia conversione, il doppio movimento da tenere d’occhio nei prossimi mesi. Fratello governo, sorella lobby.