Era un one man show quasi perfetto, poi sono arrivati i guai. Bonifici falsati, candidati sospesi, addii pesanti come quello di David Borrelli che era un pezzo del cuore del Movimento, e di nuovo sullo sfondo lo spettro di una scissione. Luigi Di Maio, il royal baby che sinora non aveva perso un colpo nella sua scalata a M5S, per la prima volta arranca lungo la sua battaglia per la vittoria. Persino nella sua terra natale.
Lo racconta l'Espresso, nel nuovo capitolo dell'inchiesta dedicata alla campagna elettorale, nel numero in edicola domenica 18 febbraio con Repubblica. Il capo dei Cinque stelle, l'unico che possa davvero definirsi candidato premier, è chiamato a gestire in prima persona la crisi, senza il fuoco di sbarramento di Grillo e Casaleggio, senza padri a coprigli le spalle.
Continua a girare l'Italia – Salerno, Napoli, la sua Pomigliano, già 20 mila chilometri in due mesi e mezzo - ma gli scappano al microfono frasi come «dobbiamo sopravvivere a questa campagna elettorale». Mentre in piazza i militanti si scambiano, come augurio finale, uno «speriamo bene» che fin qui non si era sentito mai.
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Nei sondaggi i Cinque stelle restano primo partito, e d'altra parte anche i sostenitori del Movimento fanno spallucce: «I soldi sono loro, decidono loro che farci». Mai come questa volta, però, il Movimento aveva dato evidenza palmare della distanza tra le proprie parole d'ordine e lo scarso controllo nella loro applicazione.
Ancora un anno fa, nessuna conseguenza era arrivata allo stesso Di Maio quando erano venute fuori più di centomila euro di rimborsi ottenuti per «eventi sul territorio», cosa vietata dalle regole M5S, e lui aveva liquidato tutto spiegando trattarsi di «diciture fittizie».
L'inchiesta integrale Polvere di Stelle sull'Espresso in edicola da domenica 18 febbraio