Il nostro Paese è arrivato all'ultimo atto di una catastrofe istituzionale che matura da anni. E sarebbe troppo facile prendersela solo con i "nani" che occupano la scena oggi

Troppo facile gettare la croce sui Di Maio, Salvini, Renzi, accusare i primi di non sapere che farsene della vittoria e il secondo, magari, di non saper perdere. Ancora più facile illudersi che questo combinato disposto di impotenze derivi da una legge elettorale, per quanto sciagurata essa sia.

I nostri giovani rottamatori sono, alla fine, innocenti nani sulle spalle di una gigantesca crisi. È vero che lo spettacolo di una inesauribile ripetizione di slogan, che copre impudicamente l’assenza di ogni programma di governo (magari si dessero i numeri invece che distribuire chiacchiere e promesse del tipo: riduciamo le tasse, aumentiamo le pensioni, reddito di cittadinanza, ecc.) è segno di un crollo qualitativo dei ceti dirigenti di questo Paese, ma forse che tale crollo è colpa di chi lo rappresenta nel teatrino attuale?

Il problema è che siamo giunti all’ultimo atto di una radicale crisi di sistema, iniziata nei tragici ’70 ed esplosa con la caduta del Muro e Tangentopoli. Non parliamo, per carità, di seconde e terze Repubbliche! Le Repubbliche le fanno le Assemblee costituenti o i De Gaulle. Non si cambia Repubblica perché si incasina qualche articolo della vecchia Costituzione o perché collassano le vecchie forme della rappresentanza.

Editoriale
Quanto sono immaturi i leader di oggi
30/4/2018
Una nuova Repubblica significa che un nuovo ordine costituzionale, formale e materiale, si è realizzato, non che il precedente ha cessato di funzionare. Non ho una nuova macchina perché l’usata è in malora. E da trent’anni da noi la nuda realtà è che è cresciuto semplicemente il disordine, lo smembramento della Repubblica. Una classe politica formata per il 90 per cento dalle seconde e terze file dei vecchi partiti, sopravvissute a Tangentopoli, aggrappate al proprio impotente potere, insieme a un apparato burocratico-ministeriale pachidermico, alimentato da un’irrefrenabile inflazione legislativa, hanno gestito il disordine, rifondato nulla. Al più, hanno affrontato qualche emergenza. Ed è inevitabile che una crisi di sistema cui si provvede occasionalmente con interventi-tampone non può, alla lunga, che aggravarsi fino ad apparire insuperabile.

Guardiamo bene: tutti gli “ordini” si sono disciolti. Potevano piacere o meno, ma “ordini” lo erano: sindacati, partiti, corporazioni e “corpi intermedi” della cosiddetta società civile. Nessuno è stato capace di trasformarsi di fronte al mutare del contesto (salto tecnologico, nuove forme del lavoro, equilibri economici internazionali), ma solo di disgregarsi. Alcuni hanno fatto di questo processo la loro bandiera: lotta a ogni “ordine” e tutti liberi e individui sull’universale non-luogo della Rete. Meglio, forse, questo obbedire alla corrente che coalizioni-confusione (Ulivi e Centro-destre) o partiti mai nati, succubi di mitologie pan-lideristiche.

Il risultato non muta, e potrebbe essere spiegato in termini fisici: l’energia si disperde, si degrada, il disordine aumenta, rendendo sempre più difficile qualsiasi previsione. Possiamo consolarci pensando che questo sembra essere il destino dell’intero universo, tuttavia noi, animaletti del finito, passiamo la nostra esistenza scovando di continuo nicchie di resistenza a questa legge cosmica.

Credo che il presidente Mattarella dovrebbe ricordarlo ai nostri giovani leoni, anzi: dovrebbe imporre loro di ricordarselo e agire di conseguenza. Il Paese deve marciare ormai a ritmi forzati verso una fase costituente. Se si andrà in tempi più o meno rapidi a nuove elezioni, queste dovranno essere esplicitamente orientate a tale fine: elezioni per un Parlamento in cui ci si impegni a realizzare un nuovo ordine repubblicano, attraverso un confronto che almeno assomigli a quello che ebbe luogo nel ’46.

Vi è da dare spessore e concretezza, alla luce dei rapporti sociali e delle culture di oggi, alla parte ordinatrice o programmatica della nostra Carta; occorre decidere finalmente se la struttura del nostro ordinamento deve essere seriamente federalistica o meno - se sì, allora va ridisegnato l’intero impianto delle Regioni, delle Autonomie locali e il loro rapporto con le amministrazioni centrali e il Parlamento; altrettanto occorre operare la scelta: pensiamo che una democrazia realmente partecipata possa realizzarsi attraverso la dissoluzione della forma-partito, o esattamente il contrario? Sono decisioni di ordine culturale, strategico.

Nessun superamento della crisi è ipotizzabile, se queste domande restano senza risposta. E ancora: sembra funzionare la attuale balance of powers ? A me non pare affatto: la cosiddetta centralità del Parlamento “invade” sfere che dovrebbero restare autonome e organismi chiamati a controllare il suo operato (vedi Consiglio superiore della Magistratura e Corte costituzionale).

Definire con chiarezza la distinzione tra decisione politica e l’amministrazione delle funzioni e dei servizi la cui efficienza risulta decisiva per il benessere di un Paese, dalla scuola alla sanità alla giustizia, rappresenta la via maestra per uscire dal disordine attuale. Il presidente Mattarella ha l’intelligenza e i poteri per orientare in questa direzione la fase che si apre. Che sarà “catastrofica” comunque, e cioè segnerà un radicale mutamento di stato: o verso la definitiva dissoluzione di ogni “ordine” e l’arrendersi alla decadenza del ruolo politico e culturale del nostro Paese, o davvero finalmente verso una nuova Repubblica.