Condivide le analisi, "fondate ma controcorrente" di Bagnai (Lega) e del ministro Savona. Disponibile ad alcune concessioni a Di Maio e Salvini sulla politica economica. Ma non su immigrazione e diritti civili. Parla l'ex dirigente del Pd, oggi in Leu, che vuole uscire dal "trentennio inglorioso" durante il quale la sinistra ha abbandonato il proprio popolo

Stefano Fassina ha avuto un percorso discontinuo nella sinistra italiana, area che comunque non ha mai abbandonato nonostante la stima professionale per alcune personalità della nuova maggioranza di governo M5s-Lega, come Alberto Bagnai e Paolo Savona. Nel 2013, da dirigente del Pd, chiedeva di evitare di introdurre il fiscal compact in Costituzione, ritenendolo sbagliato già allora. Ora vorrebbe forzarne le regole, ma "intelligentemente" e non in maniera "contraddittoria" come sembra agire il governo Conte. E spera di contribuire a tenere Leu all'interno di quella che definisce "un'opposizione ragionata".
Più in generale, Fassina sta cercando di dare il suo contributo per la costruzione di una nuova sinistra. Lontani ormai i tempi della celebre battuta di Renzi, "Fassina chi?", a seguito della quale si dimise da viceministro dell'Economia del governo Letta (ma dirà sempre che le dimissioni erano in programma da subito dopo l'esito delle primarie di dicembre 2013). Ora è impegnato nella costituzione di Leu in partito. E non dimentichiamo che è anche consigliere comunale a Roma, città che ha subito nuove ferite con il caso dello stadio Tor di Valle.

Cosa ne pensa delle linee programmatiche della politica economica del governo Conte?
«Finora si notano enormi contraddizioni tra reddito di cittadinanza e flat tax. E d'improvviso, è arrivata anche l'intervista sul Corriere della Sera al ministro dell'Economia, Giovanni Tria, che annuncia obiettivi di riduzione di deficit e debito pubblico in continuità con i precedenti governi. A questo punto l'unico documento che potrà chiarire tutte le nostre perplessità sarà il Documento di Programmazione Economica-Finanziaria che uscirà a breve. Condivido però l'idea di fare delle forzature al fiscal compact. Ma certamente una forzatura non vale l'altra. Occorre vedere quanto siano rilevanti e a che finalità vengono fatte. In sintesi, in questo momento metterei un preoccupato punto interrogativo sugli obiettivi del governo, perché vedo oscillazioni tra posizioni irrealistiche ed altre identiche al passato».

Cosa suggerirebbe ad un governo che vedesse lei al ministero dell'Economia?
«Suggerirei una forzatura intelligente al fiscal compact. Le previsioni lasciate dal governo Gentiloni contengono obiettivi sul deficit totale irrealistici e pericolosI, ovvero la riduzione allo 0,8% per l'anno prossimo e pareggio di bilancio da raggiungere nel 2020. Se davvero andremo in quella direzione torneremmo all'austerità stile governo Monti, che provava senza successo a ridurre il debito pubblico con manovre restrittive.
Leu propone di non rispettare il fiscal compact e di porre un obiettivo di deficit al 2%, disinnescando le clausole di salvaguardia sull’Iva senza coperture. Tagliare i 12 miliardi e mezzo delle clausole ottenendoli con tagli di spesa provocherebbe effetti tre volte peggiori di quell'ammontare sull'economia italiana, per via degli alti moltiplicatori della spesa pubblica (che misurano gli effetti della stessa sull'economia, ndr). E' inoltre necessario fare investimenti pubblici, soprattutto nel Mezzogiorno; i governi Renzi e Gentiloni ne hanno lasciato il livello più basso dell’Italia repubblicana, proprio al Sud in particolare. Inoltre cercheremmo di contrastare l’evasione fiscale. Porremmo la quota 100 (somma di età anagrafica e anni di contribuzione da raggiungere per andare in pensione, ndr), la salvaguardia completa degli esodati, l'uscita con 41 anni di contributi e il sostegno alle pensioni dei giovani con lavori precari e discontinui».

Questa leggera apertura nei confronti degli obiettivi del governo è condivisa in Leu?
«Spero che l’opposizione ragionata sia la linea prevalente. Noi dobbiamo interloquire con lavoratori subordinati e autonomi, disoccupati e giovani precari che hanno votato M5s e Lega che non capirebbero opposizioni pregiudiziali. Noi ci opporremo alla flat tax, ma sosterremo le revisioni alla Fornero e gli investimenti pubblici, così come il contrasto alla direttiva Bolkenstein».

E riguardo altri ambiti come immigrazione e diritti civili, come intende porsi il suo partito?
«La nostra posizione rimane quella scritta nel programma elettorale. Qualora il ministro Fontana proponesse misure regressive sui diritti civili cercheremo di bloccarlo in tutti i modi, dentro e fuori il Parlamento.
Rispetto alla questione Aquarius, abbiamo ritenuto grave la scelta di Salvini sui porti. Dobbiamo però riconoscere che questa “mitica” Ue in realtà da anni ha voltato le spalle all’Italia. Purtroppo bisogna misurarsi con le indisponibilità degli interlocutori. Dobbiamo riconoscere che il sacrosanto principio dell’accoglienza va messo in relazione con l’integrazione, su cui siamo carenti e prestiamo poca attenzione; noi di Leu per primi siamo in ritardo su questo punto. Se da una parte è vero che accogliamo meno migranti rispetto al resto d'Europa, dall'altra quelli che sono da noi sono concentrati in aree dove il disagio sociale è forte, ovvero nelle periferie delle città. Questo è un elemento che genera paura, rabbia e ribellismo. Noi dobbiamo farci carico di questi problemi. Capisco che il terreno è scivoloso e si presta all’accusa di inseguire la destra, ma dobbiamo percorrerlo per riprenderci il nostro popolo e capire le ragioni di fondo per cui non ci ha più dato fiducia negli ultimi anni».



Durante la formazione del governo, lo spread ha avuto un rialzo importante. Secondo lei quali sono state le cause?
«Più fattori sono intervenuti. Le promesse di campagna elettorale hanno generato preoccupazione, senza dubbio. C’è stata però una drammatizzazione sbagliata, a tutti i livelli istituzionali, con dichiarazioni ingiuste e offensive nei confronti di Paolo Savona. La sua nomina è stata così drammatizzata che a quel punto ciò che il professore pensa davvero è diventato secondario. Se tutti i media descrivono il possibile ministro come quello che vuole portare l’Italia fuori dall’euro, di fronte a queste notizie i mercati non possono che reagire in quel modo. Ma non erano e non sono queste le posizioni del prof. Savona, che piuttosto è un intellettuale che individua gli elementi di insostenibilità dell'eurozona al fine di modificarli, ma non per distruggerla. Oltretutto, lo stop dato a M5s e Lega sarebbe stato temporaneo, perché si sarebbe andati a elezioni e avrebbero rivinto. Chiunque avrebbe potuto spostare i propri risparmi durante la successiva campagna elettorale lo avrebbe fatto.
I dati inoltre dicono che in quella fase la Bce ha comprato meno titoli di quelli che era solita acquistare. Se è vero che doveva da tempo riequilibrare le proprie operazioni, d'altra parte l'istituto aveva margini di flessibilità, che poteva utilizzare per evitare questa sottrazione di liquidità in un passaggio così delicato. Bisogna capire che i mercati sono fatti di pochi e grandi operatori che dettano la musica. Interessi forti che provano a tutelarsi dai rischi politici».



Oltre a Paolo Savona, un altro uomo della maggioranza molto discusso è Alberto Bagnai. Lei gli fece  auguri e complimenti quando si candidò; li rifarebbe adesso che è diventato un vessillifero della flat tax? Non pensa di aver fatto un errore nell’esprimere tanta vicinanza a uno che vuole far un regalo ai ricchi?
«Bagnai nel corso degli anni ha scritto cose fondate, ma amare e controcorrente. In un ambito così conformista, con una sinistra inconsapevole di come funzionano mercato unico ed euro, vengono considerate posizioni "sovraniste". Ero consapevole che la Lega sosteneva la flat tax. In quel tweet riconoscevo la sua seria analisi sull’insostenibilità del mercato unico e dell’euro e che avere in Parlamento un interlocutore autorevole, sebbene collocato sul fronte opposto, è utile per un dibattito costruttivo. Ribadisco che la mia sponda politica è attualmente opposta alla sua».

Perché Leu sembra sparita dai radar? Cosa avete sbagliato nella costruzione di quel cartello elettorale? Come pensate di superare l’immagine di sinistra minuscola e rissosa?
«Leu è nato in maniera emergenziale e improvvisata. Saremmo dovuti partire molto prima e non a ridosso delle elezioni. Purtroppo tra di noi c'è qualcuno che testardamente aspettava una conversione di Pisapia, che in realtà aveva sempre indicato chiaramente il Pd come riferimento per un'alleanza elettorale. Qualcuno che vorrebbe tornare alle piccole patrie con sole funzioni di testimonianza, o a ridosso del Pd o raggruppandosi alla sinistra radicale. Noi dobbiamo invece costituire una forza politica culturalmente e politicamente autonoma, basata sul patriottismo costituzionale. Purtroppo finora ci siamo proposti agli italiani come quelli del Pd originale, pre-renziano. Ma anche quello è stato considerato, giustamente, una causa dei loro problemi.
Dobbiamo reimpostare l’analisi di fase e poi la proposta. Il nostro deludente risultato elettorale, così come quello di Pd e Pap, segna la fine di quello che io chiamo il “trentennio inglorioso”, dove la sinistra, in tutte le sue declinazioni, è stata subalterna al neoliberismo, ad un globalismo parolaio, cosmopolita ma disconnesso dalle condizioni materiali dei subalterni. Dobbiamo rimettere in discussione, per riprendere le parole di Gramsci, il nesso tra le dimensioni nazionali e sovranazionali, a partire dall'eurozona, dalla quale non vogliamo uscire ma dove vogliamo ribadire il primato dei nostri principi costituzionali, purtroppo contraddetti dagli attuali trattati europei”.

Ritiene che Grasso sia e sia stato un leader adeguato o che si debba cercare un altro leader?
«Grasso ci ha ha fatto un grande favore mettendosi a disposizione per portare avanti il progetto. Sta svolgendo una funzione decisiva per costruire le condizioni per il congresso fondativo di Leu, dove gli iscritti saranno sovrani e dove ci misureremo con un percorso democratico, che cercheremo di rendere il più partecipato possibile.
Se lui vorrà candidarsi sarà ovviamente il benvenuto. Ma ci saranno sicuramente altre candidature. L'ex presidente del Senato va comunque ringraziato. Ci sono stati e ci sono dei limiti in Leu finora, ma sarebbe infantile scaricarli su di lui. Siamo arrivati a questa formazione politica dopo aver perso mesi con analisi sbagliate. La responsabilità del risultato è nostra e non sua».

Roma sta attraversando l'ennesimo scandalo, si sospetta che il progetto del nuovo stadio a Tor di Valle sia inquinato dalla corruzione. Che idea si è fatto del caso?
«Premettendo tutto il mio rispetto per l'indagine della magistratura e per i coinvolti, vorrei far notare una questione di fondo. Il progetto dello stadio di Tor di Valle forza le procedure. Una volta ridefinite le cubature del progetto, sono venute meno le basi per dichiarare l’interesse generale. Stiamo purtroppo assistendo, ancora una volta, alla subordinazione degli interessi della città agli interessi finanziari e immobiliari.