La Rete che doveva essere "orizzontale e democratica" è diventata qualcos'altro
Internet svolge una funzione positiva sotto tanti punti di vista certo. Ma le famose "conversazioni" online che dovevano avvicinare le persone al potere si sono trasformate in monologhi digitali
Il 20 gennaio del 2007 Hillary Clinton inaugurò la campagna per le primarie democratiche (quelle che poi perse a favore di Obama) annunciando sul suo sito Web di voler intraprendere un percorso di «conversazioni on line» con gli americani. L’idea fece un certo scalpore per quell’intento dichiarato di «ascolto e confronto» con gli elettori attraverso uno strumento al tempo nuovo e aperto, la Rete.
Era solo 12 anni fa ma sembra passata una vita. Allora (mentre in Italia i leader di destra e sinistra erano ancora tutti o quasi infoanalfabeti) i più attenti al nuovo facevano propria l’idea secondo la quale il web avrebbe portato a un dialogo “orizzontale” e diretto tra politica e cittadini, liberato dal filtro dei giornalisti (troppo spesso proni al potere di cui avrebbero dovuto essere cani da guardia) e dal rito stanco delle conferenze stampa. Cos’è rimasto oggi di quella promessa? Internet ha reso davvero più orizzontale e paritario il rapporto tra cittadini e politica? E, soprattutto, con la piazza digitale il potere è più verificato e più controllato dal basso rispetto a prima oppure no?
Difficile dare una risposta assertiva e univoca, ma qualche dato in più - rispetto a 12 anni fa - lo abbiamo.
Certamente la Rete svolge una funzione positiva (che ?non ci dobbiamo scordare) sotto tanti punti di vista. ?Ad esempio, i “retrieval”: ogni politico è continuamente messo di fronte alle sue promesse mancate, alle inopportune dichiarazioni rilasciate in passato, agli amici diventati avversari o viceversa, insomma alle incoerenze che un tempo restavano sepolte negli archivi dei giornali. E poi: grazie alla Rete ogni cittadino è potenzialmente in grado di fare un po’ di fact checking, cioè di verificare in tempo reale se le dichiarazioni del tal politico sono verità o fake news. O ancora: la satira on line non guarda in faccia a nessuno, oggi non c’è potente che sul web non sia sbeffeggiato o parodiato (il che fa sempre bene alla democrazia). Infine: perfino sui social, facendone un uso accurato, si possono trovare spazi di utile confronto reciproco, di crescita, di dubbio, di informazione.
Accanto a tutto questo, però, è difficile negare che le famose «conversazioni» on line siano diventate qualcosa di molto diverso rispetto alle promesse.
Trasformandosi spesso nel loro opposto: in monologhi verticali senza alcuna reale possibilità di interlocuzione (caso tipico: i video in diretta su Facebook); in stratagemmi per spostare l’agenda mediatica e quindi politica (sistema usato con efficacia da Luca Morisi quando Salvini è in un momento di difficoltà); in narrazioni false ed emotive che ignorano i dati di realtà puntando a un pubblico che quei dati di realtà non conosce ma si nutre solo di fonti che confermano il suo pregiudizio (il cosiddetto “bias”). Senza dire delle strategie a tavolino di shitstorm (letteralmente: tempeste di merda) per distruggere politicamente ?un avversario, un giornalista, una voce in dissenso.
Non è un segreto del resto che l’immagine naïf di «conversazioni» via computer tra la candidata Hillary e una casalinga del Minnesota abbia lasciato il posto a tecniche raffinate di creazione del consenso on line, ad algoritmi che conoscono preventivamente le parole e le immagini più efficaci per colpire chi sta dall’altra parte dello smartphone, a guru digitali della menzogna, dell’omissione, della mistificazione, dello slogan, della creazione farlocca dell’evento da far rimbalzare viralmente, dello scavalcamento di qualsiasi forma di controllo da parte di chi per professione o per attivismo vorrebbe fare davvero il cane da guardia del potere.
Insomma, è tutto molto più complicato di come l’avevamo immaginato una volta. E non è un caso se nel frattempo le aziende digitali “don’t be evil” sono passate da outsider creative - figlie cantinare e libertarie del progressismo californiano - a onnipotenti, avidi, feroci colossi mangiatutto, accentratori di immensi capitali, disinvolti utilizzatori di dati personali, scarsamente rispettosi dei loro utenti a cui impongono rigide regole private, e con un debole per l’evasione fiscale. Ma la Rete è qui per restare, non è di passaggio. Solo conoscendone le dinamiche ?- e denunciandone gli usi autocratici, fuorvianti, proprietari, cinici - si può cercare ogni giorno di spingerla nella direzione del servizio alla democrazia.
Certo, a questo scopo ci vorrebbero anche dei politici che volessero farlo (anziché adeguarsi al peggio per convenienza personale) e forse è questo ciò di cui più al momento si sente più la mancanza.