«Mettere Salvini all’opposizione per portare avanti la solita politica economica di Padoan e Tria sarebbe un grave errore. E avrebbe il solo risultato di rinforzare le destre reazionarie». Il professore di sinistra, finito nel totonomi, si sfila e accusa: «Manca una svolta vera, nei contenuti»
«Se non si va al voto, c’è il serio pericolo che alla prossima tornata elettorale le destre reazionarie si presentino ancor più forti e agguerrite. Per evitare questa prospettiva ci vorrebbe un governo di radicale discontinuità, ma temo che non sussistano le condizioni politiche per farlo nascere». È questa la posizione di Emiliano Brancaccio, economista apprezzato a sinistra e abituato a duellare con i massimi esponenti dell’establishment economico internazionale, da Olivier Blanchard a Mario Monti. Negli scorsi giorni il nome di Brancaccio è stato evocato più volte: da Gianluigi Paragone (M5S) fino alla sinistra radicale, molti lo hanno indicato come possibile ministro dell’Economia di un governo di svolta.
Professore, lei accetterebbe un eventuale incarico nel futuro governo Pd-M5S?«Ringrazio coloro che in queste ore hanno espresso parole di stima nei miei confronti. Detto ciò, oggigiorno si attribuisce tanta importanza ai nomi ma io non credo che la politica si possa ridurre a un’eterna, taumaturgica ricerca di nuovi salvatori della patria. Su questo la penso come Marx: in ogni epoca le forze sociali prevalenti scelgono le comparse che meglio le rappresentano, mai viceversa. E io non credo di essere una comparsa adatta al film che si sta girando in questa fase politica».
Perché non si ritene adatto? Non le piace il possibile governo che sta nascendo?«Penso che ci sia bisogno di una forte discontinuità nei contenuti politici: mettere Salvini e soci all’opposizione per portare avanti la solita politica economica di Padoan e Tria sarebbe un grave errore. Le destre reazionarie raggiungerebbero una massa critica tale da diventare più pericolose che mai. Prima o poi si dovrà votare di nuovo, e a quel punto la Lega e i suoi alleati sarebbero così forti da poter stravolgere la nostra già fragile democrazia parlamentare».
Quindi, che cosa si dovrebbe fare secondo lei?«Bisogna capire che non viviamo in tempi normali e che non possiamo affidarci a una politica economica “normale”. I dati indicano che il rischio di una recessione internazionale si sta facendo concreto. Un governo di svolta - di svolta vera - dovrebbe dotarsi degli strumenti necessari per affrontare una nuova crisi: un piano di investimenti pubblici per la modernizzazione del paese, una ristrutturazione del sistema bancario che ruoti intorno alla creazione di forti istituti pubblici, e una riforma che innalzi e renda più uniformi le tutele delle lavoratrici e dei lavoratori, dopo anni di precarizzazione dissennata».
È un programma ambizioso, per il quale servirebbe soldi. Come conciliarlo col fatto che al momento non si riescono a trovare nemmeno le risorse per impedire che l’anno prossimo scatti l’aumento dell’Iva?«L’impegno di aumentare l’Iva nel caso di conti pubblici fuori dagli obiettivi fu sottoscritto molti anni fa, in una fase storica ormai superata dagli eventi. Oggi vale quel che sostiene anche l’ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale Olivier Blanchard: l’austerity come strumento di contenimento del debito pubblico è uno strumento inadeguato alle attuali circostanze. Ciò vale per il resto del mondo come per l’Italia».
Ma un programma di politica economica così spregiudicato non ci metterebbe contro l’Europa? «Quello che ho descritto è un programma minimo per chiunque intenda davvero sfidare le mire egemoniche delle destre reazionarie, in Italia e non solo. Quanto all’Europa, dalla nascita della moneta unica le regole europee sono state violate nel 66 per cento dei casi, un po’ da tutti i paesi membri, a riprova del fatto che oggettivamente non funzionano. Persino il presidente della Bce Draghi ha ammesso che senza cambiamenti sostanziali l’Unione non è attrezzata per gestire le crisi future. Al di là del misero teatrino mediatico tra sovranisti ed europeisti, i vertici delle istituzioni comunitarie sanno bene che la prossima recessione potrebbe diventare uno spartiacque: le attuali regole europee saranno riscritte oppure soverchiate dai fatti».
Intanto però c’è sempre lo spread in agguato. Una politica economica “di svolta” non farebbe aumentare i tassi d’interesse?«
Un anno fa abbiamo spiegato sul Financial Times che lo spread può essere tenuto a bada anche in situazioni di fibrillazione dei mercati. Ciò che serve è un meccanismo di governo dei conti esteri che applichi in modo estensivo le attuali regole europee sul controllo delle fughe di capitali. Un vero governo di svolta dovrebbe in primo luogo chiarire questo: che ai fini del benessere sociale, controllare le scorribande dei capitali sui mercati finanziari è questione ben più rilevante delle cantilene leghiste sul controllo dei movimenti migratori di persone. Se non riescono a dire nemmeno questo, meglio che si vada subito al voto».