Come cambierebbe il Parlamento con una legge proporzionale
La componente di collegi uninominali tende a premiare la prima coalizione, che tutti i sondaggi dell’ultimo anno dicono essere il centrodestra a trazione leghista. Ecco invece i numeri in caso di una diversa norma
Tra le conseguenze della crisi di governo assisteremo anche a una revisione del sistema elettorale in senso proporzionale? Si tratterebbe, è vero, della quarta riforma in neanche quindici anni (dopo Porcellum, Italicum e Rosatellum), un vero unicum tra i Paesi europei. Ma da una modifica delle regole del voto - propiziata da un asse tra Pd, Movimento 5 Stelle e magari anche Forza Italia? - potrebbero passare trasformazioni rilevanti per il nostro assetto politico.
Si commette spesso l’errore di considerare la legge elettorale come una variabile a sé stante, indipendente dall’offerta politica e dal comportamento di partiti e leader. Non è così. Anche se non sempre nella direzione immaginata dai proponenti, cambiare il sistema di voto significa permettere strategie, favorire o scoraggiare intese, alleanze o fusioni tra partiti, incidere sui modelli di comunicazione e sullo sviluppo della campagna elettorale, in sostanza cambiare il terreno di gioco sul quale si confrontano i partiti in corsa alle elezioni. In questo senso, una riforma di stampo proporzionale potrebbe rappresentare un problema per Matteo Salvini, complicando le sue strategie e ostacolando quella che un tempo avremmo definito vocazione maggioritaria.
L’ambizione di correre da solo, o in una mini-coalizione sovranista con Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, potrebbe uscire ridimensionata da una legge proporzionale. Va ricordato infatti che l’attuale sistema elettorale, il Rosatellum approvato a fine 2017, non è affatto un sistema proporzionale. La componente di collegi uninominali tende infatti a premiare la prima coalizione, che tutti i sondaggi dell’ultimo anno ci dicono essere il centrodestra a trazione leghista, con grande vantaggio su Movimento 5 Stelle e centrosinistra.
Il proporzionale sterilizzerebbe in parte questa «amplificazione maggioritaria» del risultato. Le simulazioni di YouTrend ci dicono infatti, applicando alla Supermedia dei sondaggi del 1° agosto il sistema elettorale delle elezioni europee (proporzionale con sbarramento al 4%), che Matteo Salvini avrebbe bisogno di allearsi sia con Fratelli d’Italia sia con Forza Italia per conseguire una maggioranza autosufficiente in Parlamento.
Con il proporzionale, sia alla Camera (dove la ripartizione è nazionale) sia al Senato (dove invece i seggi si assegnano su base regionale) i tre partiti di centrodestra avrebbero, messi insieme, la maggioranza assoluta dei seggi: alla Camera, Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia otterrebbero 347 seggi su 618; al Senato, 174 su 309. La Lega da sola si fermerebbe a 253 alla Camera e 127 al Senato, lontana dal quorum.
Una riforma proporzionale consentirebbe insomma di disinnescare parzialmente l’«arma» elettorale in mano a Salvini, rendendo potenzialmente Fi e Fdi ago della bilancia nel campo del centrodestra. Scongiurerebbe, inoltre, l’eventualità - di cui abbiamo parlato su queste pagine nelle settimane scorse - che il centrodestra con circa il 50% dei voti ottenesse i due terzi dei seggi, potendo riformare la Costituzione senza possibilità di referendum.