Nell'ottobre del 1996 il giornalista nel suo "Bestiario" per L'Espresso dava vita alla creatura con le fattezze di Massimo D'Alema e i ragionamenti di Silvio Berlusconi. Ecco l'articolo integrale

Ma chi è quel personaggio che sdottoreggia davanti alle telecamere del Maurizio Costanzo Show, accudito con trasporto amoroso dall'imponente Balia Baffuta? Forse è il perdente Silvio Berlusconi che ha deciso di truccarsi con una parrucca nero-grigia e due baffini dritti come spade, nella speranza di assomigliare all'avversario che l'ha sconfitto, il vincente Massimo D'Alema. Oppure è D'Alema che ha scelto di ragionare e di parlare come ragionava e parlava il Berlusca, nella speranza di catturare sempre nuovi consensi tra gli orfani di Forza Italia.

Oppure ancora stiamo assistendo a un sortilegio che si ripeterà tante altre volte dopo questa sera di martedì 24 settembre: abbiamo di fronte un ibrido, un centauro, una creatura doppia, in parole povere un D'Alema rimasto nelle fattezze fisiche uguale a se stesso, ma posseduto dai pensieri e dalle parole di Berlusconi. Come se Silvio il Perdente si fosse vendicato entrando nel corpo di Massimo il Conquistatore e condannandolo a perpetuare le idee, la concezione mentale, le pulsioni illiberali del berlusconismo di guerra.

Posso dirlo? Questo impasto, questo alieno sdoppiato, un Dalemoni che non avevo mai visto, mi ha provocato prima un disagio profondo e poi una gran rabbia. E mi sono chiesto se davvero la vittoria dell'Ulivo meritasse anche il pagamento di un tale scotto, di tanto prezzo. Avevamo vinto, certo, ma adesso le idee del capo di Forza Italia erano passate nella testa del leader della Quercia e lì continuavano a vivere. Parlo, in questo caso, delle idee sui magistrati e sull'informazione giudiziaria, il piatto forte dentro il monologo televisivo del fenomeno Dalemoni.

[[ge:espresso:attualita:1.342895:article:https://espresso.repubblica.it/attualita/2020/01/12/news/giampaolo-pansa-e-il-potere-di-narrare-1.342895]]Quando ho acceso la tivù, più o meno alle 23 e 40, Dalemoni stava lagnandosi delle intercettazioni sull'affare Necci pubblicate dai giornali. Che pastrocchio!, si lamentava lui, ho tentato di leggerle, ma non ci ho capito quasi niente. L'unica cosa che ho compreso è che quelle pagine di giornale erano micidiali per la dignità degli imputati e di tutte le persone nominate. Non bisogna pubblicare né i verbali degli interrogatori né le trascrizioni degli intercettatori. E bisogna, assolutamente!, tutelare meglio il segreto istruttorio. Questo sistema di pubblicare tutto ha prodotto danni enormi. Il segreto, invece, è utile anche al proseguimento delle indagini. Il metodo di stampare ogni cosa è sbagliato. Avvelena il tessuto civile del paese. Causa una fibrillazione che è sfiancante anche per l'opinione pubblica e destabilizza tutto...

La balia Maurizia ascoltava silente Dalemoni, sempre più facondo e gesticolante con pacatezza curiale. Pensate all'amministratore delegato di una grande impresa che si veda sui giornali in quel modo!, viene messo in una condizione di insicurezza e di paura. E tutta la vita economica e politica del paese viene precipitata nel malessere e nell'incertezza da questa pubblicazione. Mio caro Costanzo, si metta nei panni di un gestore di fondi americani che deve investire mille miliardi in Italia. Lui se ne sta lì con la sua montagna di dollari e legge sui giornali la voce che mettono sotto accusa tre ministri. Che cosa decide? Me lo dica lei! Forse ci facciamo soltanto del male. Bisogna avere giustizia e verità, chi non lo riconosce?, ma anche un paese non avvelenato e non sfiancato!
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I magistrati, dunque, devono mostrare riserbo e una maggiore compostezza, anche perché non si crei un rigetto dell'opinione pubblica. Ce la ricordiamo l'epoca del terrorismo? I magistrati erano degli eroi di quella lotta. Ma poi la gente ha votato in modo massiccio il referendum sulla responsabilità civile dei giudici. Dunque dobbiamo chiedergli maggiore sobrietà e minore spettacolo. Io voglio un'Italia normale dove ci sia la lotta politica e anche le indagini della magistratura, ma senza mettere a soqquadro la tranquillità del paese.

Era la prima volta che, da telespettatore, mi trovavo nel piatto un D'Alema immerso in una salsa così berlusconiana. E mi sono domandato: ma come siamo arrivati a un pastrocchio, questo sì, tanto sfiancante? L'antefatto è lungo. Dura da anni. Sull'"Espresso" ne abbiamo scritto a iosa, forse dovremo riparlarne altre volte, e dunque lo saltiamo. Limitiamoci a partire dall'ultima sequenza, quella legata all'affare Necci.

Intervista
«Salvini è un fascista, Renzi un bullo». L’Italia di oggi vista da Giampaolo Pansa
18/7/2018
La data: la sera di martedì 17 settembre. Il luogo: la procura della Repubblica di La Spezia. Tutto comincia con un eccesso di loquacità di uno dei due sostituti che, per nove mesi, hanno indagato in silenzio e nel segreto. E' Alberto Cardino che, cito "l'Unità", si lascia scappare: «Ci sono anche politici coinvolti». Politici attualmente in carica? «Sì». In carica anche nel governo? Al terzo quesito dei giornalisti il dottor Cardino, grazie al cielo, non risponde più.

Quella stessa sera D'Alema è a Scandiano, in Emilia, alla festa dei popolari. Replica subito ("La Stampa", 18 settembre) con un missile assolutamente sproporzionato e che rivela un grande nervosismo da insofferenza: «Non si può destabilizzare (sic!) le istituzioni politiche andando alla tivù a dire: "Sapete ci sono dei politici coinvolti in una inchiesta, poi vi faremo sapere chi sono". Mi pare un modo di condurre le vicende giudiziarie quanto mai singolare. E voglio sperare che segua, a poche ore dall'annuncio, l'indicazione dei nomi dei politici che sarebbero coinvolti».

Poche ore dopo, e siamo al primo pomeriggio di mercoledì 18 settembre, arriva sulla procura di La Spezia un altro missile. A spararlo sono i tre consiglieri del Pds nel Consiglio superiore della magistratura, Giovanni Fiandaca, Carlo Federico Grosso e Andrea Protopisani. L'obiettivo sono i giudici che parlano delle inchieste, a cominciare dal dottor Cardino. Perché il ministro della Giustizia, Gianmaria Flick, e il procuratore generale della Cassazione non li sottopongono «ad un'attenta valutazione» in sede disciplinare? Queste esternazioni, giurano i tre, «talvolta incidono persino sul sereno svolgimento delle funzioni politiche di governo (sic!) e sull'andamento dell'economia (sic!)».

In difesa della patria, del governo e della lira in pericolo scatta subito la mobilitazione generale di quasi tutto il partitismo italiano. La chiamata alle armi avviene al seguito della bandiera più potente, quella del Pds. E con un capovolgimento della realtà che lascia stupefatti: i nemici del paese non sono più i corrotti, i tangentari, i malloppieri redivivi, bensì i giudici che parlano! Un giorno qualcuno scriverà la storia di questa mistificazione. Qui daremo solo qualche traccia documentaria che riguarda capi e capetti della Quercia, un partito che, prima di questi tempi acidi, era sempre stato, come doveva, dalla parte dei magistrati onesti.
Uno che parla subito molto è il giovane Pietro Folena, responsabile del Pds per la giustizia. Sulle prime, quando la chiamata alle armi non c'è ancora, dice parole sensate ("Il Messaggero", 18 settembre): «Vi pare che la democrazia stia crollando perché è stato arrestato l'amministratore delegato delle Ferrovie?... In questo caso non mi sento di condividere le critiche all'arresto di Necci. Anzi, vorrei sottolineare che i giudici hanno condotto l'inchiesta con grande riserbo». Poi Folena cambia idea, e vedete subito come e quando.

Il 19 settembre ("Repubblica" del 20) Pietro l'Esperto comincia a fantasticare sull'inchiesta di Verona contro la Lega e l'irruzione della Digos a Milano, nella centrale leghista di via Bellerio: «Mi viene il dubbio che ci sia qualcosa d'intenzionale dietro queste iniziative. Settori della magistratura, settori della polizia, cosa stanno facendo i servizi al nord... C'è qualche grumo di ambienti torbidi» che prova a buttare benzina sul fuoco. Lo stesso giorno ("l'Unità" del 20) Folena passa alla Spezia: «Non abbiamo nessun imbarazzo rispetto a quell'inchiesta. Ma quello che di meno questo paese oggi sopporta è il ripetersi di ciò che sopportò tra il 1992 e il 1994-95: vale a dire il circuito autonomo tra pubblico ministero - sistema massmediatico politico - opinione pubblica, che era praticamente una forma di comunicazione diretta tra pm e popolo». Due giorni dopo ("Corriere della Sera", 22 settembre), la pubblicazione delle intercettazioni trova Folena ormai in pieno delirio persecutorio: basta con «l'assenza di equilibrio di questa cultura del buco della serratura. Sta determinando una destabilizzazione che nessun paese democratico può reggere a lungo!».

Al seguito di D'Alema & Folena si mettono in riga altri eccellenti della Quercia. E' una sfilata strabiliante per i candidi come me che li hanno sempre votati. Cesare Salvi ("Il Messaggero", 20 settembre) bolla a fuoco il giustizialismo, se la prende anche «con la linea di politica giudiziaria che sembra prevalere sulle pagine dell'"Unità"», poi grida: «E' inaccettabile che le decisioni del Parlamento possano essere condizionate dalle opinioni dei giudici». Massimo Cacciari (Ansa, 19 settembre), di solito simpaticamente trasgressivo, si scaglia contro i giornali che pubblicano i verbali: «Queste cose intollerabili devono finire. Abbiamo superato ogni limite. Siamo usciti dallo Stato di diritto. Non ci sono più garanzie per gli imputati e la difesa. E' ora che si aprano inchieste su questi comportamenti inaccettabili».

Anche i vicini di banco hanno i santissimi che fumano. Il senatore Luigi Manconi (Ansa, 19 settembre) vede «magistrati e giornalisti» solidali «in un unico progetto criminoso». E il senatore Gualtieri (tu quoque, Libero!) piange rabbioso sul comportamento dei giornali: «Pregiudizio alle inchieste! Disinformazione dell'opinione pubblica!».

Si mobilitano persino teste d'uovo del calibro di Giuseppe Vacca e Claudia Mancina, ed è un'altra grandinata su di noi pubblicatori di verbali. Le voci in difesa sono rare. Beppe Giulietti chiede ai suoi compagni di indignarsi per la corruzione, non con i magistrati e i giornalisti. Lo stesso dice Antonello Falomi ("Corriere" del 22 settembre): «Quando i giudici depositano le loro carte, queste divengono pubbliche. Dobbiamo vietare alla stampa di scrivere?». Ma la chiamata alle armi è ormai totale, e D'Alema non ammette renitenze e diserzioni. Me ne rendo conto quando va all'attacco il presidente della Camera, Luciano Violante. E' il venerdì 20 settembre e lo debbo intervistare alla Festa nazionale dell'Unità, a Modena. Una serata che non dimenticherò più. E che m'insegna molte cose.

La prima è che l'affettuosa amicizia tra giudici e Pds è finita. Quando i magistrati radevano al suolo il Psi di Craxi, la Dc del Caf e il loro erede, Berlusconi buonanima, il pappa-e-ciccia è stato formidabile. Tutto era accolto con festosi rulli di tamburo: esternazioni, verbali, intercettazioni, violazioni di segreto. Lo scoop giudiziario era una manna e il cronista dei palazzi di giustizia un combattente. Ma adesso basta!, la ricreazione è finita. C'è stato il voto del 21 aprile. La sinistra è al governo. Tre quarti dell'Italia è sotto bandiera dell'Ulivo. Gli eroi sono stanchi di inchieste e di rivelazioni. I giudici si ritirino in pace. E i giornali pure.

Mi viene un magone infuriato, la sera di Modena, quando metà del tendone ulula contro una mia constatazione dalla banalità suprema: «Se i giudici non avessero parlato, e se noi giornalisti non avessimo infranto segreti, non avreste saputo nulla di Tangentopoli!». Ma il magone più forte me lo regala Violante quando dipinge la vita privata degli italiani alla mercè di una gigantesca Spectre di intercettatori e di cronisti senza vergogna, pronti a gettare fango su tutti. Ai giornalisti ha già pensato D'Alema, che da mesi semina discredito dipingendoci come una banda di squadristi della carta stampata. Ai magistrati che intercettano, e poi trascrivono il tutto in atti pubblici, qualcuno ci penserà.

Ecco perché, la sera di martedì 24 settembre, il D'Alema di Canale 5 parlava come il Berlusca di Mediaset. Gli estremi ormai si toccano, si confondono, si fondono. Stai a vedere che l'Inciucissimo prossimo venturo servirà soprattutto a zittire chi disturba il manovratore, ieri polista, oggi dell'Ulivo. Ma chi ha ancora il gusto della libertà si metterà di mezzo. E saranno cavoli acidi per il Dalemoni d'Italia.