I braccianti. le donne, i precari, i discriminati, i disoccupati. Tutti insieme in piazza agli Stati Popolari del 5 luglio, per far sentire la nostra voce alla politica. Perché ora dobbiamo superare l’individualismo e le discordie, difendere i bisogni comuni e costruire un movimento che torni ad accendere la speranza

«Si moltiplicano inutili luoghi di elaborazione strategica, per produrre progetti e linee-guida che servono solo come strumenti di autopromozione di chi li inventa. Gesù ha incontrato i suoi primi discepoli sulle rive del lago di Galilea, mentre erano intenti al loro lavoro. Non li ha incontrati a un convegno, o a un seminario di formazione, o al tempio», ha detto Papa Francesco.

Gli Stati Generali dell’economia, che si sono svolti fisicamente e sentimentalmente lontano dai luoghi delle contraddizioni delle masse popolari, rischiano di essere quell’esercizio di autopromozione della politica da troppo tempo svincolata dalle istanze e dai bisogni del paese reale. Tuttavia quando la storia darà testimonianza eloquente di questo drammatico periodo di ricostruzione non dovrà narrare di una massa popolare succube dell’apatia del pensiero conformista o ipnotizzata dall’incertezza, ma dovrà raccontare della sua vivace determinazione a percorrere sentieri pur inediti per raggiungere «una meta che è ancora un’incognita ma che pure si intuisce dover essere migliore a petto delle condizioni presenti», come scrisse l’artista del famoso dipinto “Il Quarto Stato”, Giuseppe Pellizza da Volpedo.

Il principio di questa marcia delle masse popolari dovrà ineluttabilmente passare attraverso la (ri)unificazione, attorno a bisogni comuni, di mondi diversi che la crisi economica ha trascinato nell’invisibilità. Tuttavia, la longevità dell’unione degli invisibili dipenderà anche dall’integrità e dalla solidità delle loro convinzioni.

Per fare ciò, occorrerà:
1) perseguire la coerenza dei valori (perché la coerenza è la valuta della fiducia) e non inseguire la convenienza dell’opportunismo;
2) perseguire l’egemonia culturale e non inseguire la contrapposizione sociale. Riusciremo a superare quest’ultima, se sapremo domare le nostre disarmoniche discordie per creare armoniose sinfonie d’unione.
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L’unità degli invisibili dovrà quindi essere una vocazione della nostra coscienza collettiva che ci richiederà di spezzare le catene dell’individualismo per abbracciare la libertà della solidarietà e di posare il peso dell’”Io” per alzare la leggerezza del “Noi”. Gli Stati Popolari rappresentano quindi quello spazio fisico e spirituale di questa rivoluzione di valori che è la nostra migliore difesa contro l’ingiustizia sociale. Tuttavia, dovremo avere l’umiltà appropriata a questa nostra ambiziosa visione.

Gli Stati Popolari dovranno quindi essere ricordati, nella storia del nostro paese, come il più inedito ed audace tentativo di unire gli invisibili attorno ai bisogni comuni. Gli Stati Popolari dovranno essere ricordati per il tentativo di unire le lotte degli invisibili. Tuttavia, la lotta degli invisibili dovrà essere condotta sull’alto piano della saggezza perché è l’unica via protetta che permette di vincere con onore. Gli Stati Popolari dovranno essere ricordati per ciò che gli invisibili si sono alzati per rappresentare e non per ciò su cui sono scesi a compromessi. Occorrerà rifiutare di scendere a compromesso con l’ingiustizia che ci ha reso veterani della disperazione. Occorrerà rifiutare di essere ostaggi delle sofferenze che rischiano di avvizzire la nostra anima e di spegnere la fiamma del desiderio di riscatto.

Gli Stati Popolari avranno il nobile compito di accendere un faro di speranza per chi verrà dopo di noi e tenere vivo il ricordo di chi ci ha preceduto. Gli Stati Popolari, non si riuniranno in un palazzo sontuoso, ma partiranno dalla storica piazza di San Giovani, simbolicamente la grotta di Adullam, che significa rifugio e giustizia del popolo.