Le tremila persone assunte per aiutare i percettori del Reddito di Cittadinanza sono diventate il simbolo di una riforma che, numeri alla mano, non sta aiutando il reinserimento lavorativo. Ma loro non ci stanno. E, quei pochi che accettano di parlare, spiegano cosa non va e cosa andrebbe fatto

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Che fine hanno fatto i navigator? È tra le domande del momento. Cosa stanno facendo, di concreto, queste quasi 3 mila persone assunte dall’Anpal, l’agenzia nazionale per le politiche attive sul lavoro, con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa da 1.700 euro netti al mese per accompagnare chi percepisce il reddito di cittadinanza nella ricerca di un lavoro, e supportare gli operatori dei Centri per l’impiego.

A un anno dalla loro assunzione, il prossimo aprile gli scadrà il contratto, non è ancora noto se saranno stabilizzati o meno, mentre della tanto strombazzata app d’incrocio tra la domanda e l’offerta di lavoro, non v’è traccia. Di più: a inizio giugno anche la Corte dei Conti ha gettato ombre sul reddito di cittadinanza e sulla sua fase 2. «Risultano essere state accolte circa 1 milione di domande, delle quali, secondo elaborazioni di questo Istituto, soltanto il 2 per cento ha poi dato luogo a un rapporto di lavoro tramite i Centri per l’impiego».

Sono pochi i navigator disposti a parlare. L’impressione è quella di un corpo impenetrabile, forse per paura. «Per contratto non possiamo parlare con i giornalisti, dobbiamo essere autorizzati, si rivolga al nostro portavoce», hanno commentato tanti tra quelli che abbiamo provato a contattare. I pochi che si sono detti disposti a rispondere alle nostre domande lo hanno fatto a condizione di mantenerne l’anonimato e usare nomi di fantasia.

Francesco ha 26 anni ed è un navigator marchigiano.
«Purtroppo la nostra figura non è riuscita a decollare per problemi strutturali che riguardano innanzitutto il bacino di utenza, più bisognoso di servizi sociali che per l’impiego. So che dall’esterno tutto ciò è difficile da capire, ma è questa la madre di tutti gli errori. Se ci destinassero a tutti i disoccupati (non facendo distinzione fra RdC, NASPI, DissColl, ecc.) potremmo certo essere più utili. Nel frattempo abbiamo sopperito alle carenze amministrative dei Centri per l’impiego, che sono fortemente sotto organico e non riuscivano neppure materialmente a gestire la mole di persone “gettata” nei Cpi dalla nuova misura grillina. Non è colpa nostra, siamo tutte persone cooptate per titoli (il voto più alto della laurea magistrale) e una successiva selezione scritta, con una procedura unica nazionale estremamente trasparente».

«Chiaramente non sono soddisfatto, anche perché sembra che si voglia imputare a noi il fallimento di queste politiche attive; e soprattutto mi rattrista profondamente questo passare da “sanguisughe” della società, parassiti che non hanno null’altro da fare che rubare lo stipendio. Lo trovo ingiusto, non tanto per una mera difesa di casta (che poi chiamare casta un gruppo di precari già farebbe ridere), ma perché ho avuto modo di conoscere colleghi davvero preparati e competenti che si trovano a dover giustificare un sistema che non funziona. Che ha sicuramente aiutato a far uscire dalla povertà molta gente, ma ha sbagliato nell’attuazione delle politiche attive. Non chiamateci navigator, ma qualcuno che prenda in mano le politiche per il lavoro sul territorio serve».

«Quello che poi purtroppo sfugge è che la maggior parte delle persone che percepiscono il reddito di cittadinanza ha problemi che esulano dal lavoro. Ragazzi giovani, donne e uomini in stato di povertà per mere ragioni lavorative sono una minoranza. Sugli altri si può fare un’unica cosa: renderli quanto più “spendibili” almeno per affacciarsi al mercato del lavoro. Sono persone che hanno una miriade di problemi, che hanno difficoltà ad aprire una mail, che non hanno né sanno fare un curriculum, che non hanno neppure la più vaga idea di come si lavori. E questo te lo dico non certo per colpevolizzare loro, sia chiaro. L’Unione Europea ci indica da tempo di perseguire la via della formazione permanente e ci ha inondato di denari ad hoc. Dove sono andati a finire? Con uno sguardo integrato e d’insieme, non solo si può rendere il nostro lavoro utile per la collettività, ma si potrebbero davvero affrontare di petto le ragioni profonde della povertà».

Laura, una lunga esperienza nel mondo accademico, è una navigator romana.
«Cosa ho fatto in questi mesi di quarantena? Ho lavorato da casa, in smart working, sia da sola, contattando i beneficiari della mia lista per la valutazione dei percorsi e l'orientamento, sia in squadra per altre mansioni di back-office e preparazione dati. Anche prima del lockdown si lavorava spesso da casa, la modalità mista è sempre stata prevista per noi. Soddisfatta del mio lavoro? Mi immaginavo una maggiore valorizzazione delle nostre competenze e meno paletti. Ma abbiamo imparato molte cose, e ce l'abbiamo messa tutta. Abbiamo avviato attività sperimentali, modalità nuove di interazione, conosciuto i nostri possibili beneficiari e le loro storie. Ci siamo beccati gli insulti, le falsità e le offese di politici, commentatori e giornalisti. Ora temo che il Covid influisca negativamente sull'occupazione a venire e sulla ricerca di un lavoro. Quindi non mi aspetto più i risultati che avevamo previsto. La nostra stabilizzazione dipenderà dalla volontà di seguire o meno l'Europa per una reale efficacia delle politiche attive. Di certo il radicamento e l’inquadramento di una figura professionale come la nostra garantirebbe più incisività».

Marco è un navigator di 45 anni di stanza in Emilia Romagna.
«Per noi navigator lavorare da casa o in altri luoghi era già previsto, altrimenti parleremmo di un contratto subordinato. Noi non abbiamo diritto alle ferie o alla tredicesima per esempio, né a una postazione fissa/standard; siamo dei collaboratori. Durante i lockdown ci sono state un paio di settimane di smarrimento, poi ci siamo occupati di ricerche nel mercato del lavoro e altre attività come l’elaborazione delle tabelle dei trend occupazionali e dei lavori più ricercati. La mia giornata lavorativa-tipo? Le telefonate ai percettori del reddito le facevo in genere di mattina, mentre per quanto riguarda le ricerche oppure la formazione (la nostra è continua) posso gestirle e farle quando ritengo più opportuno (la sera, la notte, il weekend). Il nostro lavoro è cambiato e per qualche settimana sicuramente abbiamo lavorato un po' meno. Adesso anche i meeting possiamo farli attraverso le piattaforme online. Sì, lavoro ancora esclusivamente da casa. Francamente pensavo a un lavoro più dinamico. A quanta gente ho trovato, fin qui, lavoro? Il problema è che se una persona percepisce il reddito di cittadinanza e trova lavoro autonomamente o grazie al Cpi, ecco, questi dati non vengono scorporati. E nella mia regione non siamo ancora arrivati alla fase delle offerte congrue. Se sarà rinnovato il nostro contratto? Ci sono troppe resistenze, specie politiche. Penso di no».