Matteo Salvini prova a conquistare Reggio Calabria per mettere la sua bandierina al Sud
La Lega tenta il colpo grosso nella città sullo Stretto, dove il Pd è fatiscente e l'uscente Falcomatà in calo di consensi. Sarebbe la prima città metropolitana meridionale a passare al Carroccio
La prima città metropolitana del Sud che la Lega può conquistare è Reggio Calabria. Si vota il 20-21 settembre. I due giorni fra amministrative e referendum diranno se, tredici mesi dopo avere fatto cadere il governo, Matteo Salvini ha un futuro alla guida del centrodestra. Per lui la battaglia sullo Stretto non è affatto secondaria.
In apparenza pigra fra le sue dolcezze e i suoi panorami, Reggio rimane laboratorio di progetti politici nazionali da cinquant’anni. Lo è stata nel 1970 con sette mesi di guerra civile dove sono confluiti rivolta popolare e stragi, controrivoluzioni nere e crimine organizzato. Lo è stata all’inizio degli anni Novanta, quando gli eredi dei Moti del 1970 guidarono al successo Forza Italia per essere spodestati da un grande sindaco venuto dal Pci, Italo Falcomatà. Lo è stata di nuovo all’inizio del nuovo millennio con un ritorno di fiamma, e della Fiamma, sotto il nome del più brillante fra i giovani post-missini, Giuseppe Scopelliti, lanciato alla ribalta dallo stratega del patto fascio-mafioso Paolo Romeo e finito in carcere per i bilanci falsi del Comune.
Resta laboratorio adesso che i reduci dell’era Scopelliti si sono coagulati sotto le bandiere verde padano per tentare a Reggio il primo esperimento di autonomia differenziata che Salvini, ma anche Luca Zaia e Attilio Fontana, chiedono per arricchire i ricchi e lasciare che i poveri si arrangino.
Non sembra il programma politico più accattivante per una città del Sud che negli ultimi cinque anni ha un saldo negativo di circa cinquemila residenti. Ma il sindaco uscente, il democratico Giuseppe Falcomatà, 38 anni, ha perso molto terreno. Il figlio del sindaco della Primavera di Reggio è in lotta con la recessione, con un dissesto finanziario scansato di giustezza grazie al Decreto Agosto (200 milioni di euro dal Recovery fund) e con altri problemi drammatici, primo fra tutti la spazzatura che in alcuni quartieri viene allestita a diversi metri di altezza per occludere le strade in memoria delle barricate di mezzo secolo fa.
Nella sua visita reggina di lunedì 24 agosto Salvini ha puntato molto su una raccolta differenziata porta a porta che è fallita nel circolo vizioso fra evasione del tributo nei quartieri periferici e montagne di immondizia che non sono certo un incentivo a pagare la tassa. Poi vallo a spiegare che le discariche chiuse sono di competenza regionale, che la Regione è governata dal centrodestra della forzista Jole Santelli, che il resto della Calabria non sta molto meglio, che l’assessore all’ambiente Sergio De Caprio, l’incappucciato capitano Ultimo, si è scusato con il Comune per il disastro e che il sostanziale azzeramento del debito permetterà alla città di investire senza il carico al passivo del piano di riequilibrio. È come dire a un razzista fanatizzato che il Covid non lo portano gli immigrati.
Per il centrosinistra autogestito, con un Pd così fatiscente da non presentare il marchio al voto di Crotone, la speranza viene dal talento di Salvini nello sprecare il vantaggio acquisito.
Ancora meno accattivante dell’autonomia fiscale differenziata è la candidatura unitaria che l’uomo del Papeete ha imposto dopo risse furibonde tra i caporioni locali di Lega, Forza Italia e Fdi e contro la volontà della stessa Santelli, partecipante ingrugnatissima alla kermesse dei colonnelli leghisti sul lungomare il 24 agosto dopo - secondo voci maligne - un incontro privato burrascoso con Salvini.
Per riportare a destra Reggio c’è Antonino Minicuci, 66 anni, nato a Melito Porto Salvo nella provincia ionica, un particolare anagrafico che in una città-Stato con ventisette secoli di vita è sinonimo di straniero senza permesso di soggiorno. Minicuci, peraltro, soggiornava a Genova con la carica di segretario del Comune guidato da Marco Bucci e la sua carriera si è svolta in larga parte a Nord. Non che sia un difetto ma il rientro in Calabria nel 2011 come direttore generale della Provincia ha avuto un brusco stop nel 2017 quando Minicuci si è liquidato un compenso straordinario di 50 mila euro per i due giorni di elezioni, di secondo grado quindi fra amministratori, che hanno deciso gli organi della Città metropolitana. La richiesta, invalidata dagli organi di controllo amministrativo, è stata ridotta a 30 mila euro. Falcomatà non era informato, non ha apprezzato e ha imposto le dimissioni al burocrate di Melito.
Sarà lui a gestire i 200 milioni conquistati dal suo nemico dopo una trattativa che ha visto in prima fila l’Anci? La spazzatura in strada spinge la destra. È vero che l’Avr, società privata incaricata della raccolta, è in amministrazione giudiziaria da giugno e che Reggio riesce a conferire, a Bari, 50 delle 110 tonnellate quotidiane di spazzatura. Ma il reale non fa sempre presa sugli elettori.
Il sindaco uscente, che ha governato per quasi sei anni a causa del rinvio elettorale invernale dovuto al Covid-19, sembra sicuro di una vittoria. I sondaggi a sua conoscenza lo danno sopra il 50 per cento, un risultato molto diverso dalle regionali che a gennaio 2020 hanno premiato Jole Santelli ma che, contro il luogo comune di Reggio città di destra, hanno mostrato una migliore tenuta del Pd a Reggio rispetto al resto della Calabria con cinquemila voti secchi dati alla lista senza indicare preferenze, come ai tempi del Pci.
Il pronostico più diffuso in città è: centrosinistra vincente al primo turno (difficile) oppure centrodestra al ballottaggio. Dopo anni di consenso diffuso Falcomatà è precipitato nel gradimento popolare al numero 101, secondo la “governance poll dei sindaci” pubblicata dal Sole 24 ore a luglio, davanti soltanto a Salvo Pogliese (Catania), Virginia Raggi (Roma) e Leoluca Orlando (Palermo), mentre a pochi chilometri di mare sulla sponda siciliana l’entertainer messinese Cateno De Luca si piazza secondo in piena zona Champions.
Ma il sindaco uscente è nato e cresciuto nella politica. Agonismo e tecnica non gli mancano. Nella battaglia per Reggio ha messo insieme undici liste e 333 candidati contro le dieci con 294 candidati dello sfidante. Ce ne sono altri sette per un totale di 32 liste per nove aspiranti sindaci, una cifra in linea con le elezioni del 2014. Può sembrare tanto per una città che non arriva a 200 mila residenti. È ancora di più. Al giro precedente gli elettori effettivi sono stati 95 mila. La minaccia del Coronavirus, che impone la sanificazione del seggio ogni sei votanti, lascia pensare che si scenda sotto i 90 mila. Ma anche con la percentuale di sei anni fa si parla di un aspirante consigliere ogni 104 votanti con l’ulteriore complicazione del voto disgiunto che potrebbe aiutare gli elettori di centrodestra a votare per le loro liste e contro il candidato simil padano Minicuci, destinato a prendere meno dei voti di lista.
Fra i segnali di nordismo risalta il marchio di “Cambiamo con Toti” che ospita Saverio Anghelone, ex vicesindaco con Falcomatà. Secondo le menti più sottili, si volevano rimarcare i legami del potenziale primo cittadino con la Liguria e quindi con il suo governatore. Più o meno come se il milanista Falcomatà avesse presentato una lista “Cambiamo con Ibrahimovic”. Secondo Salvini, però, il modello Genova va applicato in fondo allo stivale con tanto di gemellaggio.
Fra gli altri omaggi alla corrente situazionista locale c’è la candidatura del pr Sergio Mariotti detto Klaus Davi che dopo l’esperienza non proprio positiva come consulente di Pietro Vignali, sindaco del crac finanziario a Parma, si è dedicato ai problemi di San Luca d’Aspromonte, Comune sciolto per mafia nel 2013 e tornato al voto l’anno scorso con la candidatura di Davi a sindaco. Nel cuore della Montagna, come la chiamano i calabresi, il massmediologo lombardo-svizzero è andato così così (137 voti cioè meno del 10 per cento e ottanta punti di distacco dal vincitore). Ora Davi si è dovuto dimettere da consigliere comunale a San Luca, chi sa quanto controvoglia, per partecipare alla disfida di Reggio.
Il situazionismo dell’elettore è ben corrisposto da alcuni aspiranti sindaci. La parabola politica di Angela Marcianò è un giro del mondo. Partita dalla destra e sposata a un ex consigliere di Scopelliti in quota An, è diventata assessore ai lavori pubblici con la prima giunta Falcomatà. Da lì è stata catapultata nella direzione nazionale del Pd dominato da Matteo Renzi, grazie alla sua esibita amicizia con Graziano Delrio e con il magistrato Nicola Gratteri, al tempo procuratore aggiunto a Reggio e oggi capo a Catanzaro. Dopo avere litigato con il sindaco e avere incassato una condanna in primo grado per abuso d’ufficio, si è messa in proprio e si presenta il 20 settembre sostenuta da tre liste, una delle quali porta il marchio della Fiamma tricolore.
È di livello anche la performance di Mezzogiorno in movimento, una civica guidata da Andrea Cuzzocrea. L’ex presidente degli industriali locali, azionista di una società che ha subito un’interdittiva antimafia, ha rinunciato all’ultimo alla lotta per palazzo San Giorgio, sede del Comune. Il suo post sui social espone una motivazione senza precedenti nella storia della Repubblica italiana cioè «la paura d’una evidente degenerazione di segno repressivo dello Stato nel Sud che, in alcuni casi, sconfina nell’arbitrio». Tradotto: non partecipiamo per non essere indagati. Un modello di Stato a metà fra il Cile di Pinochet e gli avvelenatori russi avrebbe messo in fuga i candidati.
Il resto della storia è in un M5S che a Reggio non ha mai spostato nulla e nelle varie liste civiche accreditate di un 10-11 per cento complessivo che Maria Laura Tortorella, un passato nello scoutismo cattolico e nella Rete di Orlando, ha tentato invano di aggregare intorno a una candidatura accettabile dalla società civile lontana dai diktat nordisti eppure stanca di Falcomatà.
Durante l’incontro fra l’Espresso e il sindaco in un bar con distanziamento, a differenza del bagnetto di selfie salviniano sul lungomare il 24, una ginecologa di Reggio che esercita la professione a Trento interrompe il dialogo e si lamenta cortesemente dell’immondizia accatastata ovunque. Il politico risponde con gentilezza, spiega che la regione ha chiuso le discariche. Alla fine, la ginecologa appare convinta e si congeda.
Alla domanda “quante volte al giorno succede?” Falcomatà risponde con il motto paterno: «Ti devi preoccupare quando la gente non ti ferma». Infatti il sindaco è tranquillo.