
La storia politica italiana è piena di mezzi successi che si sono capovolti fino a produrre inattese disfatte. E senza andare troppo indietro nel tempo si può segnalare che le più recenti vicissitudini del centrodestra sono tutte segnate da questa sproporzione. Quella parte ha i voti (tanti) ma difetta di una politica. Si illude che i voti le bastino e invece viene sopraffatta da tutto quello che le manca: la strategia, la visione, la complessità, la sottigliezza. Così le capita di vincere quando mette in fila le bandierine e di perdere il senso di quella sua vittoria quando c’è poi da misurarsi con la realtà.
Ora questo stesso demone può affacciarsi dalla parte opposta, nel campo dei vincitori degli ultimi giorni. Il governo. La maggioranza. Il Pd che tiene nelle regionali a dispetto delle apprensioni del giorno prima. Il M5S che prevale nel “suo” referendum. Tutte le previsioni assegnano ora a questa metà del campo le condizioni più propizie. E però proprio così possono magari indurre a quel rilassamento eccessivo, a quella confidenza nel proprio destino che facilmente ne rovescia il segno.
C’è sempre qualcosa di capriccioso nel gioco delle aspettative politiche. E quando sembra che tutti i conti tornino e che il vento abbia preso a soffiare stabilmente dalla propria parte, proprio allora il sentimento dell’opinione pubblica può capovolgersi e decidere così di punire quanti sono stati appena baciati dalla fortuna e dal successo. È più la difficoltà che propizia, e più la facilità che inganna.
Dunque, se un consiglio si può regalare ai vincitori di questi giorni è di non fidarsi troppo della propria affermazione. Di non crogiolarsi, di non distrarsi, di non immaginare che il più sia già stato fatto. Perché invece è proprio in questi frangenti che le cose tendono a capovolgersi. E non per caso.
La sopravvalutazione della propria forza è quasi sempre la premessa del suo rovesciamento. Un po’ perché conduce verso i lidi della presunzione, che in democrazia sono sempre insidiosi. E un po’ perché la contesa politica, per sua natura, tende ad essere indulgente verso chi è in difficoltà e a farsi più severa verso quanti hanno il vento in poppa.
In Italia questa severità ha radici antiche, che i nostri padri conoscevano e fronteggiavano con la dovuta accortezza. Mentre invece si ha l’impressione che il codice della nostra più recente modernità tenda a sottovalutarne le insidie. Cosa che spiega la breve, a volte brevissima durata dei trionfi e la loro intrinseca fragilità.
Il fatto è che quando si vince, si acquista forza, si guadagna il centro della scena, tutto si fa più impegnativo. E in un paese dove sventolano così tante bandiere e in lontananza si sente ancora l’eco di tante scuole di pensiero è facile che il successo di oggi contenga già in nuce la delusione di domani. Dato che appunto gli elettori provano insieme, e quasi contemporaneamente, il gusto di incoronare i propri leader e il gusto di disarcionarli.
In questo quasi istantaneo passaggio tra gli altari e la polvere, e viceversa, c’è tutta l’imprevedibilità tipica della vita democratica. La curiosità di voltare pagina e la tentazione perfida e sottile di rendere precario ogni successo. Chi ha appena vinto, o ha pensato di aver vinto, farà bene a tenere tutto questo in gran conto.