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Così l'onda nera di Giorgia Meloni punta a conquistare le ex regioni rosse

Giorgia Meloni
Giorgia Meloni

Raffaele Fitto in Puglia. Francesco Acquaroli nelle Marche: Fratelli d'Italia punta a vincere le due presidenze. Grazie a una rete di potere cresciuta in silenzio

Giorgia Meloni
In principio furono Francesco Storace e Giovanni Pace, i primi ex-missini a diventare presidenti di Regione, rispettivamente di Lazio e Abruzzo, oramai vent'anni fa, vittorie che all'epoca destarono sorpresa e rivelarono all'opinione pubblica che la destra, quella muscolare e almirantiana era pronta a guidare i governi, anche regionali.

Quelle vittorie rappresentarono l'apice della parabola di Alleanza Nazionale, una struttura governata da Gianfranco Fini e mantenuta dai vari “colonnelli”. Tempi antichi, lontani, in cui la vecchia An provava a contendere alla Lega di Umberto Bossi il primato del buongoverno regionale - con risultati assai discutibili, tra inchieste, condanne, scissioni e diaspore. Il presente racconta tutt'altro, perché l'imminente voto regionale può determinare per Fratelli d'Italia, erede della doppia tradizione missina e aennina, un risultato storico: il controllo di regioni tradizionalmente “rosse” come la Puglia e le Marche.
Raffaele Fitto

Un cappotto che Giorgia Meloni e i suoi fedelissimi stanno costruendo in modo certosino. Prima di tutto, candidando alla Presidenza della Regione Puglia, Raffaele Fitto, un decano della politica locale e nazionale che iniziò dall'emiciclo regionale a vent'anni tra le fila della Democrazia Cristiana. Una carriera politica lunghissima che lo ha portato in Forza Italia e a guidare la Regione dal 2000 al 2005, prima che Nichi Vendola lo sconfiggesse per un pugno di voti. Ma quindici anni dopo l'eterno ragazzo di Maglie riprova l'assalto al cielo tra le fila della compagine meloniana, non in modo episodico ma essendo divenuto nel tempo il braccio economico e politico europeo dei sovranisti italiani.

Fitto è vicepresidente della Fondazione “New Direction”, fondata nel 2009 da Margaret Thatcher che unisce i movimenti conservatori europei, un rete accademica ed economica di “think thank” che ha aperto sedi e uffici anche in Italia nel 2017, in tempo per nominare Daniele Capezzone come direttore e poi lentamente sparire nel marasma delle sigle fittiane. Dopo poco infatti “New Direction Italia” smette di esistere e diventa “Direzione Italia”, una lista che si presenterà in alcuni appuntamenti elettorali, riscuotendo qualche risultato positivo in termini di eletti ma che poi nel 2018 confluirà dentro Fratelli d'Italia. Ma sarà proprio il ruolo da vicepresidente della fondazione europea a essere decisivo per Fitto, che diviene il perno dei rapporti tra Meloni e lobby europee, tessendo alleanze e portando fuori dal provincialismo la destra italiana.

Il caso
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Fitto è infatti uomo di relazioni e tessiture che a Bruxelles si traducono in convergenza di interessi per grandi e piccoli gruppi industriali dalle multinazionali del tabacco alla difesa della vita. Un unico grande calderone dove gli interessi sono sempre quelli degli altri e difficilmente quelli degli italiani. Per questo motivo la sua candidatura è centrale: perché la Puglia può divenire un laboratorio dove vecchia destra democristiana e nuovi sovranisti si saldano, dando un occhio alla cassa del partito e allo score elettorale. Una candidatura meditata perché la Regione, come spiega in modo riservato un funzionario del Parlamento Europeo, «è una terra di snodo negli equilibri geopolitici europei, sia per la sua vicinanza con partner commerciali e politici come l'Albania, la Grecia e la Turchia e sia per il Tap, opera finanziata dai fondi europei che sono amministrati da Bei e dalla Banca Europea per la Ricostruzione e lo sviluppo. Questa ha violato più volte il proprio codice etico - dichiara - perché vieta rapporti economici con stati autoritari come ad esempio l'Azerbaijan che è un attore centrale nella faccenda. Con loro Fitto ha ottimi rapporti».

Rapporti che hanno portato nel 2018 l'Alleanza dei Conservatori e Riformisti in Europa a far svolgere il proprio vertice annuale a Baku, scelta assai strana visto che lo stesso gruppo nel 2015 con una interpellanza a firma anche di Raffaele Fitto chiedeva di esprimersi al Parlamento Europeo contro il regime illiberale di Ilham Aliyev. Il delegato di Fitto in quella occasione fu Antonio Distaso, indicato in un primo momento proprio come candidato alla presidenza della Regione dallo stesso Fitto. A Bruxelles nelle stanze che contano, quelle dove i lobbisti si incontrano con i politici o i loro assistenti tutti ricordano un vertice tra i membri dell'Ecr e gli azeri, accompagnati dagli uomini del gas russo avvenuto lo scorso anno, un vertice ha sancito una alleanza importante sulle questioni energetiche e geopolitiche. Tanto che la Puglia all'interno dell'altra grande partita economica transnazionale riguardante la via della Seta di fatto è stata esclusa. La diplomazia sovranista sconfisse quindi la volontà pentastellata di creare nel porto di Taranto uno snodo similare a quello del Canale di Suez e, come racconta all'Espresso una fonte vicina ai Conservatori e Riformisti Europei, «questa volta la partita che ci giochiamo è molto importante per affermarci come forza non solo italiana ma europea. Fratelli d'Italia anche per questo ha scelto Fitto, confidando che la sua aderenza territoriale, potesse scansare Michele Emiliano, che ha fatto del caos una forma di equilibrio».
Francesco Acquaroli, deputato di Fratelli d'Italia e sindaco di Potenza Picena, durante la conferenza stampa di Fratelli d'Italia contro la circolare Gabrielli sugli eventi culturali dei Comuni, Camera dei Deputati, Roma, 4 luglio 2018. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

Se la Puglia vedesse la vittoria di Raffaele Fitto e le Marche quelle suo collega di partito Francesco Acquaroli, Fratelli d'Italia controllerebbe quasi tutto il versante adriatico, avendo conquistato l'Abruzzo e il Molise in precedenza: quel polo di interlocuzione che guarda ad est e che attrae da sempre investimenti derivanti da paradisi offshore che hanno come unico comune denominatore l'influenza russa dell'aerea. Per questo, anche se di profilo più basso - meglio inquadrabile come una fedele seconda linea - nelle Marche Francesco Acquaroli candidato alla Presidenza della Regione tenta il colpaccio ai danni di un centrosinistra orfano dell'appoggio grillino e menomato dagli scarsi risultati rivendicati dalla giunta uscente guidata da Luca Ceriscioli, ex sindaco di Pesaro, in quota Partito Democratico che non è stato ricandidato. Gli è stato preferito il profilo territoriale di Maurizio Mangialardi, sindaco di Senigallia.

Complice le politiche post sisma, la crisi economica, una fuga di attività industriali negli ultimi dieci anni dal territorio, spira forte l'area di cambiamento che potrebbe essere incarnata, anche secondo i recenti sondaggi, dal deputato sovranista, già Sindaco di Potenza Picena, che ha vinto il ballottaggio interno nei confronti della Lega che ha deciso di puntare tutto sulla vittoria alle elezioni comunali di Macerata, città che vide tra le altre cose l'attentato di Luca Traini. Le Marche sono una regione poco raccontata, una provincia italiana nobile e ricca, che è crocevia di spaccio internazionale e ha visto via via una penetrazione stringente della 'ndrangheta. I boss calabresi controllano quasi integralmente il territorio sfruttando le organizzazioni criminali nigeriane che sono la manovalanza delle 'ndrine, in un terreno reso fertile dalla penetrazione di capitali illeciti che hanno rilevato ai fini del riciclaggio aziende prossime al fallimento. L'illegalità nigeriana è l'unica raccontata dalla destra marchigiana: l'evidenza di frotte di spacciatori africani e il caso di Pamela Mastropietro sono per questa terra bonaria materiale ardente. Questioni che il candidato Acquaroli sfrutta in modo ordinato, cercando di rappresentare una faccia moderata del partito di Giorgia Meloni, un candidato così poco estremista da cercare di apparire il meno possibile.

Nelle Marche si respira una certa stanchezza del vecchio sistema ma il “nuovo” descritto da Acquaroli più volte non è così scintillante. Dai vecchi notabili ascolani della destra fino ai nostalgici che lo hanno invitato ad una cena in onore della marcia su Roma lo scorso ottobre, cena in cui Acquaroli, forse distratto, non si accorse di essere in un tempio del fascismo repubblichino, con tanto di menù con piatti dedicati al Duce nel giorno dell'anniversario sulla marcia su Roma e in località Acquasanta Terme, teatro di una strage nazifascista. Piccoli incidenti, come quello in cui è comparso un volantino in cui il candidato Acquaroli definisce “mediocre” il personale sanitario regionale, che non dovrebbero compromettere il risultato finale. La vittoria sarebbe storica per il fedelissimo di Giorgia Meloni e creerebbe molti grattacapi a Nicola Zingaretti, da alcuni vertici regionali già accusato di aver gestito male il tema delle alleanze col Movimento Cinque Stelle.

L'affermazione in prospettiva renderebbe più forte la posizione del partito di Giorgia Meloni che a quel punto avrebbe dalla sua un record personale di regioni conquistate, figlio di un trend che ha visto tornare a casa molti elettori, ponendo così le basi per giocarsi altre carte: Chiara Colosimo nel Lazio potrebbe essere candidata alla presidenza nel post-Zingaretti, visto che sono sue le uniche iniziative di opposizione alla Giunta. La Meloni potrebbe provare a piazzare la candidatura a sindaco di Torino dell'assessore regionale Maurizio Marrone (che sta convincendo il governatore forzista Alberto Cirio a passare alla corte della Meloni) o della deputata Augusta Montaruli, anche se il resto del centrodestra sembra abbia già trovato in Licia Mattioli, avvocata, già Presidente dell'Unione Industriale Torino, la sfidante ideale a Chiara Appendino e allo sfidante del centrosinistra ancora ignoto.

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