Enrico Letta dovrà far valere le ragioni di una forza di sinistra che dialoga con il centro. Anche a costo di qualche tensione col governo

Nel nostro sistema politico è difficile resistere alla tentazione di interpretare il risultato delle principali tornate elettorali amministrative, quelle in cui si vota nelle città più importanti della penisola, come se avesse un rilievo nazionale. Questa settimana abbiamo letto e ascoltato analisi in cui si dice che “gli elettori” hanno detto questo o quello attraverso il voto, e finiamo per dimenticare che in un paese come il nostro, che continua ad essere tutt’altro che uniforme, l’offerta politica locale, e l’agenda delle amministrazioni comunali, sono altrettanto variegate. Per rendersene conto basta confrontare le elezioni dei sindaci di Torino e Milano, due città del nord che sono arrivate al voto con un panorama politico molto diverso (la prima con una sindaca uscente del M5S, e la seconda invece con il Movimento del tutto irrilevante nella competizione. Confermando una peculiarità degli ultimi anni del capoluogo Lombardo ancora non del tutto spiegata).

D’altro canto, mettendo da parte per un momento le cautele della scienza politica, bisogna riconoscere che ad assecondare quella che, tutto sommato, è una cattiva abitudine che nessuno sembra in grado di correggere, sono le stesse forze politiche, che alimentano la tendenza a leggere un significato “unitario” in elezioni che in prima battuta non lo avrebbero. Anche questo comportamento è, in fin dei conti, un dato, che mi pare autorizzi un atteggiamento meno austero dal punto di vista del metodo. Tutti gli attori principali hanno commentato il voto come un segnale politico di cui tener conto. La destra come una sconfitta che impone una riflessione per il futuro, il Pd come una vittoria che conferma la linea dell’attuale segreteria e rafforza il governo.

 

Non c’è dubbio che le elezioni siano andate male per i candidati di Salvini e Meloni nelle città più significative. Ci sarebbe tuttavia da riflettere su quanto questo sia un segnale di debolezza sul piano nazionale, e su quanto invece sia la conseguenza dell’incapacità di far crescere una classe dirigente locale all’altezza della sfida di amministrare città complesse come Roma, Napoli o Milano. Dove il fattore identitario e la protesta sociale hanno un peso minore, l’elettorato ha preferito evidentemente candidati che offrivano maggiori garanzie sul piano della competenza amministrativa. Qui il Pd ha saputo giocare bene le sue carte. Anche favorito dalla crescita dell’astensione al secondo turno nelle aree dove certi temi su cui la destra si è sempre caratterizzata (sicurezza, immigrazione, difesa delle identità) potevano influenzare l’orientamento del voto. Farebbe male quindi Enrico Letta a dare un peso eccessivo a una vittoria che si deve non solo alla credibilità dei candidati del Pd, ma anche a una debolezza specifica dell’avversario su questo particolare terreno. La frattura tra centro (che non è solo ztl) e periferia delle città è un problema su cui il centrosinistra deve lavorare con maggiore efficacia nel futuro.

Un altro profilo su cui è necessaria una riflessione da parte del Pd è quello della relazione tra successo elettorale e sostegno al governo Draghi. Si capisce la motivazione tattica per cui Enrico Letta si è affrettato a dichiarare che il risultato delle amministrative rafforza il governo. In una fase in cui emergono tensioni all’interno della Lega (che è parte della maggioranza) e FdI si caratterizza sempre più come una forza di opposizione sul piano nazionale, usare questo argomento è un modo per sottolineare la fragilità di una futura alleanza di centrodestra. Più si avvicina la prospettiva di elezioni politiche e più questo nodo irrisolto darà dei grattacapi ai leghisti. Ma da qui a vedere una continuità tra sostegno all’attuale governo e politica locale c’è una bella distanza.

 

Le scelte che verranno fatte sull’impiego dei fondi del Pnrr sono destinate verosimilmente ad avere impatti diversi nel paese, e questo richiederà da parte degli amministratori locali del Pd una capacità di rispondere alle esigenze dei propri elettori che non si concilierà facilmente con il sostegno al governo. Di questa tensione abbiamo già avuto qualche segnale in campagna elettorale, con la riemersione dello spinoso dossier dell’autonomia differenziata, e Letta farà bene a tenerne conto. Anche perché a sud di Napoli il Pd si presenta sempre più come una instabile confederazione di potentati locali.


Su una cosa la soddisfazione per il risultato delle amministrative del gruppo dirigente del Pd è motivata. La scelta di non assecondare le sirene centriste, fortissime in una parte della stampa, si è rivelata vincente. Non demonizzare il M5S, ma assecondarne l’evoluzione in forza di governo, tentando di affermare nel contempo la propria egemonia su un centrosinistra adattato al nuovo panorama politico, è stata un’intuizione vincente. Che merita di essere sviluppata in una strategia di medio periodo anche nella politica nazionale.

 

Per portarla avanti in modo sempre più efficace Enrico Letta deve rafforzare il proprio controllo sul partito, mettendo in condizione di non nuocere l’area degli ex renziani. Questo comporta caratterizzare in maniera sempre più decisa il partito come una forza di sinistra che dialoga con il centro, secondo il modello che ha riportato al governo la Spd in Germania, e che sta segnando una ripresa dell’iniziativa da parte dei partiti socialisti anche in altre parti d’Europa.

 

Equità, sostenibilità ambientale, riqualificazione della presenza pubblica nell’economia, attenzione privilegiata a sanità e educazione pubblica sono tutte battaglie che il Pd deve intestarsi, e combattere con decisione, anche a costo di quale tensione con il “partito di Draghi” (che peraltro sembra allo stato attuale soprattutto una fantasia di alcuni commentatori). Se tutto questo dovesse portare a perdere qualche notabile centrista, e alla nascita di una forza neoliberale a destra del Pd, non sarebbe affatto un dramma, ma un fattore che contribuirebbe al rafforzamento dell’iniziativa del partito.