Chiara Gribaudo: «Se il partito non vuole perdere totalmente la sua credibilità, deve rispettare la parità di genere e soprattutto applicarla con fatti concreti». Giuditta Pini: «Basta avere la parità ai nastri di partenza»

«In questi giorni ho ricevuto decine e decine di storie che raccontano l’ostracismo nei confronti delle donne che si sono avvicinate al Partito Democratico: da quella che apparteneva al circolo e ha smesso perché ignorata durante le riunioni, a chi doveva andare in lista come assessora, e poi inspiegabilmente veniva tolta. C’è un’esclusione sistemica delle donne». 

 

A parlare è Giuditta Pini, 36 anni, entrata alla Camera nel 2018. Non ci sta che la “questione femminile” all’interno del Pd si limiti solo a un conteggio tra maschi e femmine, ministeri e sottosegretariati: «È un partito prettamente maschile, tutti hanno espresso scelte femminili senza l’imposizione delle quote. Perché noi no?». In Emilia-Romagna, dove Pini è stata eletta, c’è l’obbligo delle quote da dieci anni, alle ultime regionali sono state elette più donne che uomini: «Basta avere la parità ai nastri di partenza».

 

Le testimonianze che la parlamentare ha ricevuto via email e su Instagram, iniziano tutte con l’entusiasmo delle giovani che si avvicinano alla cosa pubblica: nei circoli, nelle riunioni, fino al volantinaggio, la parabola è la stessa. Dopo essersi scontrate con i meccanismi della politica tutta al maschile, la buona volontà svanisce: si rinuncia perché non ascoltate, si vola più basso, così come la situazione chiede. Un processo di accettazione che non fa rumore. 

 

Accanto alla deputata, a tenere alta l’asticella sul tema, ci pensa un’altra delle giovani donne che siedono nell’emiciclo di Montecitorio, Chiara Gribaudo, vent'anni in politica, eletta nel 2013. Lo fa con una mossa forte: «Circola il mio nome come possibile sottosegretaria. Non sono disponibile, e nessuno dovrebbe esserlo, finché il Pd non convocherà una Direzione per discutere di parità, nel merito e nel metodo», ha twittato. 

 

«Abbiamo un'intera generazione che ha creduto nella forza del centrosinistra per cambiare la mentalità patriarcale di questo Paese, e che la pandemia ha massacrato con licenziamenti a giovani e donne - ha detto Gribaudo all’Espresso - Se il Pd non vuole perdere totalmente la sua credibilità, deve rispettare la parità di genere e soprattutto applicarla con fatti concreti». 

 

I numeri del partito di Nicola Zingaretti ai livelli alti, parlano chiaro: segretario, vice segretario, segretari regionali, presidenza delle regioni, anche gli ultimi candidati a comunali e regionali. Tutti maschi. «Siamo diventati escludenti, e quando smetti di includere le persone, sei un partito finito», aggiunge Pini, sapendo che questo non aumenterà la sua popolarità con i colleghi. Un discorso che vale anche per altro, italiani di seconda generazione, stranieri, stagisti, partite iva, operai: «C’è tutto un pezzo di paese che guarda a noi con interesse, ma che non si sente rappresentato. Perché ci dovrebbero votare?». Pini non fa parte della Conferenza delle donne, convinta che sia come mettere in gabbia le questioni di genere, in uno spazio definito, che rischia l’oblio, oltre alla poca considerazione. 

 

Eppure esistono le militanti nel Pd, ma a un certo punto spariscono, non arrivano nei posti di potere. «Qualunque donna che fa politica ha subito questo, alcune si sono candidate poi hanno rinunciato perché dietro si sentiva dire: “Chissà come è arrivata lì”. Tutto questo non si può tacere. Non si può accettare tutto per l’unità del partito». 

 

Una pratica subita anche da Pini, formazione politica in un collettivo universitario, ma che prima di allora non aveva mai subito discriminazione in base al genere: «Quando sono stata eletta alla segreteria dei Giovani Democratici nel 2012 sentivo le voci, dicevano che ero andata a letto con tizio o caio; poi ci sono state le voci su Renzi, che mi aveva messa lì perché molto amici. I maschi non sono mai messi in dubbio, la calunnia per noi, invece, rimane per sempre». 

 

Orfini, Majorino, Martina. Pochi big hanno alimentato il fuoco del discorso schierandosi. Le deputate non parlano solo di poltrone, è l’intero metodo a dover cambiare, a livello nazionale, fino alle sezioni locali: «Vogliamo che siano chiariti i criteri di scelta: come si fanno i nomi di ministri e sottosegretari? Non perché chi arriva non sia meritevole, ma per capire perché le altre siano escluse», aggiunge Pini. Nessuno vuole una caccia all’uomo, o il Mee Too del Pd, ma stavolta la spinta è forte, e neanche il momento delicato del Paese può giustificare l’immobilità. «Non possiamo cavarcela con il post su Kamala Harris, figlia di immigrati donna ecc. e poi il nulla». 

 

L’approccio del Pd, non sembra essere troppo lontano dai metodi del Partito Comunista, spesso accusato di non premiare le donne: «Uno dei miei "vecchi", un partigiano purtroppo scomparso, mi disse una volta che come donna avrei dovuto faticare ed essere brava il doppio dei miei coetanei uomini per riuscire ad arrivare allo stesso livello. Aveva ragione», conclude Gribaudo. 

 

La direzione nazionale è convocata per il 25 febbraio, potrebbe essere troppo tardi per le nomine al governo Draghi. L’ordine del giorno titola: “L’affermazione di un partito pienamente di donne e uomini al centro di una nuova fase politica”. Non promette bene.