La svolta di Mattarella, dopo la lunare trattativa sul Conte ter e coi partiti che si stanno ancora litigando i sottosegretari. Votare non si può, ma la vecchia maggioranza non c’è più. Tutti sorpresi, esulta solo Renzi. In M5S molti contrari: sarà scissione?
È finita come molti avevano previsto. Con un scappellotto fortissimo all’intera classe politica, già di suo concentrata a inscenare una specie di suicidio collettivo. E con il futuro che c’era:
l’apparire in scena di Mario Draghi. C’è voluta qualche settimana di crisi in più, un’agonia tutto sommato lunga a paragone con l’improvviso decesso politico, ma alla fine lo scenario si è inverato. Lo preannuncia a sera il viso stravolto di Loredana de Petris, capogruppo Sel al Senato, dopo dodici ore di tavolo con Maria Elena Boschi che gioca al rialzo perenne, al «permangono distanze». «Una trattativa allucinante», la definisce poi il centrista democratico Bruno Tabacci. Lo certifica, infine,
il nulla di fatto comunicato da Roberto Fico al capo dello Stato Sergio Mattarella, con un colloquio di quaranta minuti alle 20 e 30 di sera. Il presidente della Camera ha fallito la seconda esplorazione, su due, della sua vita: la maggioranza che componeva il governo Conte non c’è più. Amen.
Ma ancora prima che si possano celebrare le esequie politiche dell’avvocato del Popolo e della sua incredibile èra, il presidente Mattarella spiega, in sette minuti, perché tra le due strade a questo punto percorribili, quella del voto sia troppo rischiosa: ci sarebbero mesi di governo dimissionario, e quindi non nel pieno dei suoi poteri, in un momento fatale di intreccio tra crisi sociale, pandemia, e presentazione del recovery plan. Dunque Mario Draghi arriva davvero, al Quirinale intanto.
[[ge:rep-locali:espresso:286157638]]La svolta sortisce sul mondo politico
l’effetto dell’arrivo del preside nel mezzo di una zuffa nel cortile della scuola. Sorpresa, sconcerto, sollievo. C’è ancora quello con la mano alzata per dare un pugno, l’altro per terra, due che si litigano un sottosegretariato, quello offeso, quello abbandonato, quello che telefona ai giornalisti. Si ricompongono rapidamente, guardano il fondo con l’aria smarrita.
Matteo Renzi è l’unico che esulta: era, questo, un finale al quale aveva detto esplicitamente di puntare.
Gli altri partiti si dispongono come prevedibile: il Pd è accomodante e «disponibile», Forza Italia lancia segnali positivi – e del resto Silvio Berlusconi ha una lunga storia di stima e nomine con Mario Draghi - la Lega è per le elezioni ma «senza pregiudizi» sul nuovo governo, precisa Matteo Salvini; Fratelli d’Italia, pur nel sostegno al voto, assicurano che non faranno una opposizione scellerata. E insomma
ci sarebbero i termini per vedersi delineare una maggioranza Ursula, dallo schieramento che elesse Von Der Leyen alla presidenza della Commissione Ue.
Manca però un tassello, non da poco:
il Movimento Cinque stelle. La contrarietà a un governo tecnico era nota, nel corso della serata prendono questa posizione esponenti sempre più di peso. Non c’è solo Alessandro Di Battista, ma anche Roberta Lombardi, Riccardo Fraccaro, Danilo Toninelli. Dopo mezzanotte arriva il post su Facebook di Vito Crimi, eterno reggente. Dice di aver già detto alle consultazioni che «l’unico governo possibile sarebbe stato un governo politico», e che il Movimento «pertanto non voterà per la nascita di un governo tecnico presieduto da Mario Draghi».
È in arrivo una scissione? È questo il nuovo nodo da sciogliere, già nelle prossime ore.