C’è Davide che sembra l’Alberto Sordi che eredita la fabbrichetta, Crimi come Pozzetto e Di Maio che studia per cercare di sfangarla…

ROUSSEAU

GROSSÒ CASINÒ

Questo angolino talvolta cazzeggia, talvolta è più serioso, ma comunque si agghindi sa bene che mai potrà competere con la deliziosa tragicommedia a Cinque Stelle che Beppe Grillo avviò ormai una quindicina scarsa di anni fa, scegliendo come proprio autore Gianroberto Casaleggio. Il discrimine tra ammiratori e detrattori è sempre stata una questione di declinazione. Per chi lo amava, Casaleggio senior aveva una visione. Per chi lo temeva, aveva le visioni.

La questione di Rousseau, portale la cui programmazione risulta attualmente alla portata di un novenne indiano capace di digitare la password 1111, la negazione degli iscritti al MoVimento, il fragoroso e contestuale passaggio di consegne dei superstiti dal lato apparecchiato della tavola (Massimo Bugani, ex socio proprio di Rousseau, al momento in cui scrivo tratta mirabolanti alleanze col Pd nella sua città, quella in cui da consigliere di opposizione aveva combattuto il Pd con ogni tipo di mortaretto), la diatriba per mera convenienza tra chi è ancora nel libro del capo, Conte, e chi i libri li scrive per campare (Di Battista) permeano il tutto di una divertente mestizia. E cagionano, per contrappasso, un mesto divertimento.

Nella dissoluzione dei due corpaccioni, nell’attesa che l’ex premier rompa gli indugi e lanci il proprio movimento sulle ceneri di quello che collassa, alberga infatti tutta la grandezza di una commedia all’italiana colorata con gli Stabiloboss. C’è l’Alberto Sordi che eredita la fabbrichetta e non sa gestirla (Davide), quello che cavilla sui propri limiti sperando di sfangarla, ma sul conflitto mediorientale al momento sta ancora studiando Moshe Dayan (Di Maio), il Renato Pozzetto di “Sono fotogenico” che ha sempre la stessa espressione anche quando fa i provini (Crimi)… Con una decisiva eppure irrilevabile differenza: nella commedia all’italiana c’era Monica Vitti, c’era Franca Valeri, c’era Gina Lollobrigida. Qui, purtroppo, alle donne è concesso un ruolo decorativo. Tolta qualche meritoria eccezione (la ministra Dadone sa cosa dire, e come dirlo) le pasionarie di un tempo hanno praticamente lasciato le scene. Di Paola Taverna recepiamo rari pigolii di agenzia, lo stesso dicasi per Roberta Lombardi, che dalla Regione Lazio tuba con Zingaretti, fino a dieci secondi fa nemico numero uno, e attende nel buio che si posi la nube di polvere dell’implosione. Il dato pazzesco è però che questo clangore fatto movimento ha ancora il 16 per cento dei consensi. Con i quali, forse, il Partito Democratico potrebbe persino limitare il disastro elettorale prossimo venturo.

E allora onore a Letta, che compie lo sforzo di andarci a parlare mentre tutti gli chiedono alleanze con gli zerovirgola. Perché io, che memoria ne ho da vendere quasi quanto l’ingenuità, penso che i tizi sopracitati prima di stipulare l’accordo dovrebbero almeno dire «ho sbagliato», come Antonio Albanese quando Andrea Salerno lo interrogava in qualità, appunto, di critico cinematografico capace di rivalutare Vanzina. Ma lui no, lui ci deve mettere le mani e lo fa. Per questo gli dico grazie.

GIUDIZIO: UNO VALE…
EH, QUALCOSA LO VALE

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