Se non volete dare retta a “L’Espresso”, sappiate almeno che cosa scrivono di questi tempi i giornali stranieri. Non gli articoli dei corrispondenti dall’Italia, per carità! Che Silvio Berlusconi ritiene influenzati dai comunisti. Ma le analisi e i commenti scritti a Parigi, o a Londra.
«Il fenomeno Berlusconi sarebbe difficilmente concepibile in ogni altra grande democrazia occidentale» (Martin Jacques, “The Sunday Times”). Forza Italia è «il grado zero della politica, il disprezzo dei cittadini ridotti al rango di tifosi» (Jean-Paul Dolle, “Le Globe Hebdo”). «È veramente la demagogia mediatica» (Paul Virilio, “Le Globe Hebdo”). «Berlusconi rappresenta un modello sinistro di ciò che potrebbe diventare la democrazia se si abbandonasse alla telecrazia» (Alain Duhamel, “Libération”). «In questo affare italiano ci sono tutti gli ingredienti di nuovo totalitarismo» (Georges-Marc Benamou, “Le Globe Hebdo”). «Non solo uno dei più potenti uomini d’affari del Paese si presenta alle elezioni, ma lo fa per difendere gli interessi del suo gruppo. Peggio ancora, non lo nasconde. Terribile regressione», che ci può riportare «alla patrimonializzazione del potere» (Oliver Duhamel, “L’Express”).
Questa è l’accoglienza che la stampa internazionale indipendente riserva alla destra italiana alla vigilia delle elezioni. Essa vede le cose nitidamente, ed enuncia le verità elementari che troppi italiani fingono di non conoscere, o considerano irrilevanti. Titolava già il 2 marzo il “Wall Street Journal”: «L’Italia flirta con la tycooncrazia... Può essere governata da una troika di neofascisti, regionalisti lombardi e Forza Italia».
Sono voci da ascoltare con la più grande attenzione. Non nascono da pregiudizi, non servono interessi di parte. Semplicemente tengono conto dei gravi pericoli che un’eventuale vittoria della destra non può non aprire.
Il primo pericolo è quello dell’improvvisazione e del dilettantismo. Il Movimento sociale e la Lega sono estremamente poveri di esperienze amministrative. Il loro bagaglio ideale è rozzo e spesso impresentabile. La loro capacità di governo una colossale incognita. Ma Forza Italia è anche peggio. Molto peggio. Essa è, come osserva il “Sunday Times”, un Instant Party con slogan e comportamenti da stadio. È nato per decisione esclusiva di un uomo, ed è cresciuto grazie a un ossessivo rincorrersi di spot pubblicitari e di sondaggi manipolati. Quest’uomo ha varie qualità. Ma soprattutto è un miliardario indebitato fino al collo che lotta per sopravvivere, e che per tutelare i suoi interessi oggi fonda un partito così come ieri sosteneva Bettino Craxi e l’altro ieri si iscriveva alla loggia P2.
Col suo avvento, scrive “L’Express”, «è cancellata la linea che sussisteva fra politica e denaro». Se Berlusconi andasse a palazzo Chigi, aggiunge Umberto Bossi, «per ogni legge dovrebbe decidere pro o contro i suoi interessi». Quale azione di governo possa mai scaturire da queste premesse è, purtroppo, intuibile: nessun cittadino può seriamente attendersi che l’interesse della collettività sia messo al primo posto.
Il secondo pericolo è quello del cedimento quotidiano alla demagogia più sfrenata. In tempi di crisi economica e sociale, una destra di non alto lignaggio deve dare tutto a tutti. O, almeno, promettere. I mirabolanti propositi di riduzione delle tasse sono solo l’inizio. Con la scusa di distribuire sussidi a chi crea posti di lavoro, la finanza allegra diventerà la regola; il bilancio pubblico ne verrà ancor più devastato, e la reazione dei mercati sarà quella che sarà. Che questa destra sia condannata a un populismo senza principi già lo mostrano le sue idee-forza nella campagna elettorale. Berlusconi fa letteralmente cadere le braccia quando afferma che per risolvere il problema della disoccupazione basta che un imprenditore su quattro assuma una persona: c’è da chiedersi perché una ricetta così geniale non sia stata adottata in nessun Paese del mondo. Ma ancor più demagogico è il ragionamento che sta alla base di tutto il programma della destra. Esso suona così: italiani, date fiducia a Berlusconi perché a sua volta Berlusconi darà fiducia a tutti voi, e il vostro entusiasmo farà tornare le vacche grasse. Niente male per un paese che si vuole avanzato. Come annota “Libération”, Berlusconi «non dice niente ma lo dice bene».
C’è infine un terzo pericolo, il più grave di tutti. Che un successo della destra risospinga il Paese verso quel costume di cinica accettazione dell’illegalità che lo ha caratterizzato per decenni. Non è questione tanto della miriade di inchieste giudiziarie nelle quali il gruppo del maggior esponente della destra è coinvolto, quanto delle parole che si odono in questi ultimi giorni. Dietro le denunce di un inesistente «Stato di polizia», dietro le indecenti proteste della Fininvest per i controlli della Guardia di finanza, dietro le invettive di Berlusconi contro l’abitudine di «multare, sorvegliare, punire, tartassare» attribuita alla sinistra, l’unica cosa che chiaramente si scorge è una grande irresistibile insofferenza verso le leggi e verso chi ha il dovere di farle osservare. Sì, la destra strizza l’occhio alla parte meno nobile dell’Italia: ai furbacchioni che vogliono farsi gli affaracci loro anche a costo di uscire dai binari, e pretendono che carabinieri e poliziotti non bussino mai alle loro porte.
Qui si scopre la faccia losca dell’anti-statalismo predicato dalla destra. E per questo “L’Espresso” si sente di affermare, alla vigilia del voto 27-28 marzo, che tutto è meglio di questa destra. Meglio i progressisti con i loro ritardi ed errori. Meglio i popolari con le loro fragilità ed evanescenze. Meglio perfino Fausto Bertinotti, che se deve dire qualche stupidaggine sa almeno dirla con amabilità e con ironia.
Questo articolo con il titolo originale “Tutto, ma non questa destra” è stato pubblicato sull’Espresso il 25 marzo 1994