La denuncia di una “democrazia autoritaria” («Non si discute l’utilità che il vaccino ha dimostrato, si discutono i provvedimenti assunti, via via sempre più pesanti), la libertà di criticare «senza essere etichettati come no vax». Dibattito senza sconti con il filosofo critico sulle scelte dell’esecutivo

L’obbligo vaccinale spinge l’Italia, di nuovo, a essere un laboratorio di sperimentazione nella lotta al covid e alle sue varianti, due anni dopo la proclamazione del primo stato di emergenza. Un laboratorio politico, in questi giorni si prepara un’elezione del presidente della Repubblica senza precedenti, con il Parlamento che rischia di essere bloccato dalla crescita dei contagi. Nel vuoto del dibattito culturale e politico - c’è il nulla tra i governanti e i no vax, in Europa e in Italia - Massimo Cacciari è stato tra i pochi intellettuali a cercare uno spazio originale di critica dell’esistente. Nell’idea che la pandemia non sia solo un’emergenza sanitaria, ma anche democratica.

 

Una propaganda stolta lo ha collocato perfino tra i no vax, lui che ha appena assunto la terza dose. Quando gli ho proposto un dialogo sui due anni di lotta contro il contagio in Italia, a partire dall’ultimo decreto del governo Draghi che ha imposto l’obbligo agli over 50, Cacciari ha accettato a condizione che la discussione avvenisse in forma scritta, in modo da allontanarci dal format dai talk televisivi. Condizione accettata. Molti sono i punti di dissenso, ma non si può prescindere da un confronto con la voce di Cacciari.

 

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Sono passati quasi due anni dall’inizio dello stato di emergenza, un tempo ormai lungo. La pandemia ha messo la politica in uno stato d’obbligo, la nostra è diventata una “democrazia virale”, caratterizzata dall’incertezza, come ha scritto Ilvo Diamanti? O addirittura viviamo in una “dittatura democratica”, come hai scritto tu?
«Non credo di avere mai usato il termine “dittatura”, se non per indicare metaforicamente un potere centrale che decide, con provvedimenti di urgenza, obblighi irragionevolmente uguali per tutti, a prescindere sostanzialmente da condizioni di salute, età, territori, ecc. ecc. Non si discute, sia chiaro, l’utilità che il vaccino ha dimostrato, si discutono i provvedimenti assunti via via sempre più pesanti, sempre più draconiani di fronte a dati incontrovertibili: al 7 gennaio la percentuale dei soggetti con sintomi gravi era del 2 per cento sul totale dei casi; i degenti in terapia intensiva 1500 circa a fronte dei 4500 dello stesso periodo dello scorso anno e di una disponibilità in posti letto di oltre 9000; il vaccino, con cui si vorrebbe continuare con terze e quarte dosi (ignorando che il Comitato tecnico-scientifico del Ministero sta ancora valutando gli effetti della terza dose), vede declinare la propria efficacia già dal secondo mese e dopo sei mesi, indipendentemente dalla variante, risulta inefficace. La mole degli studi internazionali a questo proposito è impressionante, come impressionante l’ignoranza degli stessi nei nostri media. Come spiegare in base a questi dati e in base a ovvi principi di precauzione quella che il professor Guido Silvestri ha chiamato la “isteria collettiva” che sembra aver preso i nostri governanti e chi ne sostiene sine glossa l’azione? E poi è anche vero che la diffusione di Omicron, come unanimemente osservato, finirà per trasformare il quadro sanitario dato e determinare una forma lieve, alla stregua di una influenza. Quindi, perché continuare con una informazione che produce disorientamento, enormi disagi, discriminazioni e divisioni? Ed è troppo chiedere al Conducente quali migliori effetti abbiano avuto le misura da noi assunte a partire dall’inizio dell’epidemia, universalmente riconosciute per essere state e continuare ad essere le più dure, rispetto alla situazione di altri Paesi?».

 

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Non penso che sia un’isteria collettiva. Quello che hai messo in in un inciso del tuo discorso - non si discute l’utilità del vaccino - resta un punto ineliminabile. E penso anche che con l’obbligo per gli over 50 siamo ancora dentro i limiti dell’articolo 32 della Costituzione, che parla della salute come “diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Semmai sarebbe stato opportuno dichiarare l’obbligo già mesi fa piuttosto che insistere sullo strumento del green pass e del super green pass: equivoco, se considerato come patente di immunità, ambiguo e peri certi versi ipocrita.
«Come è possibile affermare ancora che siamo nei limiti della Costituzione?! Forse lo si poteva, arrampicandoci sugli specchi, fino a quando è rimasta in piedi la monumentale ipocrisia del “consenso” - ma ora? Il professor Andrea Crisanti ha perfettamente ragione: l’art.32 stabilisce che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Sono certo che i padri Costituenti intendessero, data la delicatezza della materia che riguarda il corpo della persona, proprio legge e non un decreto! So bene che formalmente vale come legge, ma quale ridicolo sofisma può coprire l’abisso tra un decreto che attende di essere convertito e una legge prodotta da un serio dibattito parlamentare? Solo la legge può limitare diritti fondamentali. Inoltre, si aggiunge: in nessun caso è possibile violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Mi pare che tutta la politica del governo su questa materia li abbia violati: informazione caotica, contraddittoria, impostazione tutta centralistica, paternalistica della campagna, inflazione di norme, dove le categorie del provvedimento e quelle della legge si sono mischiate nel modo più informe. Mi si permetta di aggiungere: che cosa vi è di costituzionale nelle continue, gravissime disuguaglianze che questi provvedimenti-decreti-leggi producono? Che differenza può esservi, in base ai dati oggi disponibili, nella possibilità di contagiare o essere contagiato, quando quasi il 90 per cento dei soggetti a rischio sono vaccinati, anche tre volte? E le differenze che vengono a esserci tra chi può continuare a lavorare e a vivere senza vaccinarsi (macchina, ufficio in proprio, ecc. ecc.) e chi deve farlo (poiché esserne esentati è chimera) per mangiare? E vogliamo parlare delle altre patologie? La Federazione Italiana Aziende Sanitarie ha denunciato la situazione gravissima di chi arriva in ospedale con altre malattie. Le patologie neuropsichiatriche sono aumentate quest’anno dell’84 per cento, i casi di suicidio o tentato suicidio del 147 per cento. Il problema della salute, il diritto alla salute si riducono al covid?».

 

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Naturalmente no. Infatti sono d’accordo con te che uno stato di emergenza in corso da due anni rischia di diventare permanente e richiama la necessità di fissare regole e anche i limiti.
«È l’aspetto più preoccupante della politica del Governo: non voler indicare in alcun modo in base a quali indici, parametri, dati deciderà di porre termine a una situazione che di giorno in giorno trasforma questo Paese in un agglomerato di individui che si sospettano l’un l’altro, dominati da paure e ansie, per i quali dei diritti e della Costituzione non importa nulla, “basta la salute”. La fine dello stato di emergenza ci sarà annunciato ad libitum, grazioso dono del Sovrano? Si vuole giungere al 100 per cento di vaccinati? O si vuole continuare con l’emergenza tirando in ballo la sempre continua comparsa di nuove varianti? A parte l’irrealizzabilità dell’obbiettivo, i dati a disposizione dimostrano che ciò non sarebbe risolutivo; il racconto che ci era stato fatto che i vaccini non solo evitavano l’insorgenza dei sintomi ma bloccavano anche l’infezione, si è rivelato falso. Allora? L’emergenza si chiuderà quando non vi sarà più un malato di covid in terapia intensiva, o dieci o venti? O quando non vi sarà più un positivo, o cento o mille? O in base a quale combinazione tra questi diversi indici? Credo, come fanno in tanti Paesi, che l’unico dato davvero sensibile sia quello dei ricoverati in terapia intensiva. Questo l’unico parametro che misura l’impatto che la malattia ha sul sistema sanitario. E sulla sua base già dovremmo procedere con politiche ben più attente a diritti, dignità della persona e lettera e spirito della Costituzione».

 

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C’è chi pensa che l’era del covid coincida il tripudio dei poteri mondiali, ad esempio le industrie farmaceutiche, che speculano sulla paura. A me sembra che dimostri al contrario che i poteri sono inceppati, sono impotenti. Sono costretti a inseguire la variante Omicron nell’incapacità di prevenire, gestire, governare. La pandemia ha rivelato la fragilità del nostro ordine.
«Ho sempre sostenuto che per comprendere le politiche dei governi occidentali durante la pandemia è necessario collocarle nell’onda lunga di trasformazioni radicali dell’assetto dei regimi democratici formatisi nel secondo Dopoguerra. Globalizzazione e rivoluzione tecnico-scientifica hanno mutato irreversibilmente rapporti sociali e equilibri di potere. Certo, la transizione implica un’immensa difficoltà a prevenire e gestire - la pandemia lo ha dimostrato. E tuttavia, insieme, la “corrente” procede in una direzione che al momento sembra irresistibile: verso un mutamento delle forme di governo che svuota la funzione delle assemblee rappresentative (svuotamento “consustanziale” a quello dei corpi intermedi, sindacati, partiti) a favore di quello che chiamerei uno “Stato amministrativo” fondato su Presidente (da noi negli ultimi anni figura “doppia”), burocrazia (sempre meno professionale, interna, e sempre più composta da Commissari di fiducia del Presidente) e esercito-forze dell’Ordine. Una forma di “democrazia autoritaria”, che va ben distinta da “totalitarismo”. Naturalmente, questo quadro fuoriesce in toto dalla nostra Costituzione. Ma di questa chi sarà il Custode? Non potrà essere un Presidente della Repubblica ancora eletto dalle Camere. La Corte? È del tutto evidente che essa è sempre più partecipe del potere politico, quanto più la situazione è, o si dichiara che sia, di emergenza».

 

Torni ancora sulla “democrazia autoritaria”. Con quale collante sociale? Il primo anno del covid, il 2020, è stato segnato dalla paura. La paura della malattia e della morte, per sé e per i propri cari, ha reso accettabile il lockdown. Il secondo anno, il 2021, è stato mosso dalla fiducia: nella scienza, nel vaccino che ci avrebbe liberato dal male. Il 2022 è cominciato con uno sbandamento, mi pare, e senza un collante accettato.
«Ripeto, preferisco mettere in rapporto la linea centralistica, autoritaria, paternalistica seguita con particolare veemenza dal nostro governo in questa crisi con la grande corrente che sta trascinando le democrazie occidentali - in perfetta coerenza con il mutare dei rapporti di forza all’interno dei grandi colossi della finanza, dell’economia, della comunicazione - piuttosto che con le peculiarità della nostra situazione interna. Qui la paura può tornare utile come collante là dove, con solare evidenza, qualsiasi collante manca. Solo da noi vi è un governo che “combina” forze tanto eterogenee e pronte a spaccarsi appena l’esperienza finirà. D’altra parte, è dall’inizio dello scorso decennio che l’emergenza continua e che solo “grazie” allo stato di emergenza il Parlamento vota un Governo - o meglio vota e rivota la fiducia al Governo. È una situazione che si regge su una duplice paura: quella delle forze politiche di dissolversi definitivamente, e quella, del tutto legittima, del “popolo sovrano”, di fronte a crisi economiche, disoccupazione, dramma della condizione giovanile, pandemie, ecc. La paura, sia chiaro, ha sempre giocato un suo ruolo nelle dinamiche del potere, ma oggi farvi leva, cavalcarla, drammatizzarla, è segno soltanto di una drammatica debolezza di partiti e Governo».

 

Negli ultimi due anni un collante è stata la fiducia nella tecnica. Non solo nei medici e negli scienziati, ma anche nei tecnici che valgono più dei politici, per quel che riguarda l’uso dei fondi del Pnrr con il governo Draghi. Ma è ancora così?
«Scienza e Tecnica rappresentano le potenze fondamentali del mondo moderno, l’espressione del processo di razionalizzazione di tutte le forme di vita che in Europa è nato e oggi domina il pianeta. Non sono questione di “fede”. Chi non ne intende la potenza semplicemente delira - e chi ha “fede” in essa ne ha frainteso in toto la natura e lo spirito e alimenta nella gente una sorta di “religione della scienza” che fa torto gravissimo alla scienza stessa. Dubito ergo sum è la parola prima della nostra scienza. La grande scienza moderna conduce questo fondamento ai suoi esiti e ai suoi successi più formidabili, interpretando le stesse leggi in termini “ironici”, come qualcuno ha detto, e cioè statistico-probabilistici. Ogni impostazione dogmatica ne contraddice l’essenza, la blocca, le impedisce di funzionare: le teorie sono buone quando risultano falsificabili - il che volgarmente vuol dire: restare sempre aperti al confronto, alla critica, rispondere alle domande che ti vengono rivolte, rifuggire da ogni pretesa di detenere Verità. Moltissimi scienziati hanno dato prova di questo metodo anche durante l’“emergenza”, e sempre più la stanno dando. Peccato per gli altri. Poi vi è il colossale problema del rapporto tra scienza e potere economico, da un lato, e scienza e potere politico, dall’altro (problema al centro del mio libro “Il lavoro dello spirito”). L’autonomia del lavoro scientifico nel mondo contemporaneo è più a rischio che mai. Ma è la politica che non deve nascondere decisioni proprie dietro posizioni scientifiche inalberate a Unica Scienza. Sarebbe bello che le Università organizzassero su questa emergenza un confronto, in cui tutti gli scienziati avessero l’opportunità di presentare e discutere le proprie opinioni nel merito senza timore di essere additati come “no-vax”».

 

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Cosa fa pensare il fatto che tutte le parti politiche oscillino tra la dichiarazione di indispensabilità di Draghi, da qui al 2023 e oltre, e il desiderio di sbarazzarsene? Se Draghi va al Quirinale ci sarà un cambiamento di fatto della forma di governo della repubblica? 
«Draghi è stato l’inevitabile. Dopo Monti e il memorabile discorso-denuncia di Napolitano alle Camere, sembrava che la cosa fosse irripetibile, e invece Mattarella è stato in qualche modo costretto al bis. Poiché nulla però si ripete, il significato che ora assume la vicenda è ben più profondo: essa indica appunto come si proceda nella direzione che ho prima indicato, verso forme di governo autoritario-amministrativo, che godano della piena fiducia delle grandi potenze economico-finanziarie globali. È una corrente ben lungi dall’esser giunta alla foce. È bene che ci si arrivi? Allora diamo ad essa una forma. È invece qualcosa che si intende contrastare? E con quali strategie alternative? Poiché è chiaro che resistere-resistere-resistere porta poco frutto. L’incredibile è che le forze politiche non solo non ne discutono, ma rimuovono lo stesso problema, capaci soltanto di azioni conservatrici, rammendare governi di emergenza e garantirne la fiducia».

 

Negli ultimi mesi sei finito confuso con i no vax e con il professor Ugo Mattei che si è paragonato ai professori che dissero di no al fascismo e vorrebbe rifondare il Cln. Donatella Di Cesare sull’Espresso ha scritto una lettera aperta a Giorgio Agamben sul dovere di non oltrepassare le colonne del complottismo. Chi lavora con il pensiero non ha la responsabilità di evitare queste spiegazioni semplificate, frutto delle stesse paure che vorrebbero svelare?
«Macché complotti! Ho parlato di tendenze di fondo, di cui i “nostri eroi” sono spesso soltanto inconsapevoli agenti. Magari, mi verrebbe da dire, ci fosse tutto un disegno, un “piano”! Bene o male, vi sarebbe anche un governo dello stesso, qualcosa di più solido dell’emergenza perenne. Il “complotto” potrebbe funzionare da eccezione costituente, concetto totalmente diverso da quello di emergenza, che indica soltanto la situazione e quindi un governo che per miopia è costretto nel limite di questa».

 

Ti senti incompreso, sulle tue argomentazioni? E cosa non sei riuscito a spiegare?
«In una campagna impostata sulla demonizzazione di ogni voce critica è inevitabile l’essere fraintesi. Non parlo ovviamente di chi è in malafede. Per il resto, sono davvero vaccinato cento volte dal “male” di vedere ignorate, soprattutto da quelle forze politiche cui mi sono rivolto, molte, diciamo pure tutte le mie analisi e le mie indicazioni - sui problemi delle riforme costituzionali, del federalismo, sull’analisi della composizione sociale e delle conseguenze che le sue trasformazioni aveva sugli equilibri politici. Per non raccontare di quanto ho detto e scritto su ciò che avrebbe potuto essere e, con brillantissimi risultati, non è stato il Pd. Quasi sempre poi è emerso che avevo ragione - ma è pur vero che quasi mai la ragione vince».