La leader di FdI domani alle consultazioni con il Cavaliere e la Lega. Stretta tra gli audio su Putin e una lista che fatica a comporsi.E accelerare diventa l’unica via per evitare lo stallo

Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi e la profezia di Cossiga

Alla fine hanno intercettato lui. Nel caos che avvolge il centrodestra a trazione Meloni, che va domani alle consultazioni al Colle insieme con Forza Italia e Lega, non deve sfuggire il dettaglio, che dice il precipizio in cui è finito tutto. Si è avverata la profezia di Francesco Cossiga, giusto appena modificata: «Finiranno con l'arrestarsi tra di loro», aveva detto il presidente della Repubblica, trent'anni fa. Un destino leggermente diverso, per Silvio Berlusconi e il suo partito: sono finiti a intercettarsi tra loro.

 

Esito paradossale, per un leader politico che ha passato quasi un'intera legislatura a tentare invano di approvare una legge che regolasse proprio le intercettazioni. Non ci riuscì allora e adesso, sommo scorno, a intercettarlo non sono neanche più i magistrati, ma i suoi stessi parlamentari. «Pessima abitudine, carpire e registrare di nascosto brani di conversazioni private», s'è lamentato il Cavaliere nell'intervista col Corriere della Sera, nel mentre che iniziavano al Colle le consultazioni e in Forza Italia partiva la caccia per il carpitore degli audio, in particolare della seconda parte, quella su Putin e Zelensky che ieri sera si è abbattuta come un meteorite sulla già malconcia coalizione di centrodestra.

 

Come se, a fare le somme, non fosse già abbastanza chiaro quale parte del partito sia stata più danneggiata dall'ultima uscita del Cavaliere, che ha messo gravemente in forse il ministero degli Esteri per Antonio Tajani - precipitatosi ieri al prevertice dei Popolari a Bruxelles per garantire «siamo con Kiev».

 

Nulla del resto Berlusconi ha risparmiato, nella sua personale lotta contro Giorgia Meloni. Mettere in forse il profilo atlantico della coalizione, da lei faticosamente costruito in quest'ultimo anno - in una maniera peraltro a sua volta contraddittoria -, è la ciliegina sulla torta. Abbiamo già avuto nell'ordine: il dispetto sull'elezione di Ignazio La Russa, che nelle intenzioni di Forza Italia si sarebbe dovuto eleggere alla seconda o terza votazione, in modo da sottolineare il peso del partito azzurro nella coalizione; i fogliettini con gli aggettivi contro Meloni («supponente, prepotente, arrogante, offensiva»), che volevano servire a condizionare le mosse della leader di FdI, la quale infatti si è non a caso rapidamente definita non ricattabile; la lettura pubblica di una o più liste di ministri, come se fossero già state fatte e non da lei. Sono arrivate poi le allusioni al compagno che lavora in Mediaset, l'apposizione di «signora» e gli audio su Putin. Una sequenza che ha finito per far scomparire la pur significativa fase Canossa nella quale il Cavaliere è andato a via della Scrofa col capo cosparso di cenere.


Ci volevano quasi trent'anni in politica e quattro legislature alle spalle, per reggere una settimana di cannoneggiamento. E solo per questo Meloni arriva in piedi alle consultazioni con Sergio Mattarella previste per domattina. Stretta tra l'alleato che non la vuol riconoscere leader (ha fatto di tutto per chiarirlo), e una lista di ministri che fatica ancora a farsi. Tanto che l'accelerata minima impressa dal Quirinale sarebbe arrivata anche per questo: chiudere un attimo prima di impantanarsi. «Un'altra settimana e il governo non nasce», era la profezia che circolava ieri tra gli scatoloni di Palazzo Chigi.

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