Partiti
Matteo Salvini dice addio al progetto del partito nazionale e ritorna alla Lega Lombarda
Al governo non porta esponenti meridionali, mette da parte l’idea di “Prima l’Italia”. E ora scattano i malumori tra i dirigenti del Sud ed ex democristiani saliti sul carro leghista
Il segretario della Lega Matteo Salvini dopo il flop elettorale è stato commissariato dai lombardi-veneti Giancarlo Giorgetti, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, ma anche dal ministro Roberto Calderoli che tiene ancora i rapporti con i bossiani. Il concetto che in incontri riservati i nordisti hanno trasmesso a Salvini è semplice: «Adesso concentrati sul Nord e metti da parte il progetto del partito nazionale».
E così è stato: Prima l’Italia, il contenitore che è servito in questi anni per imbarcare politici ed esponenti della società civile meridionale sul carro di Salvini al momento è stato messo da parte. Non se ne parla più. E nelle scelte di governo Salvini ha tracciato una strada chiara: cinque ministri su cinque sono lombardi, oltre a lui Giuseppe Validata di Milano, Roberto Calderoli di Bergamo, Alessandra Locatelli originaria di Como e Giorgetti di Varese. I vice ministri della Lega sono Edoardo Rixi di Genova e Vannia Gava di Pordenone. Dei nove sottosegretari, solo una vive al di sotto di Roma, Giuseppina Castiello, con la delega ai rapporti con il Parlamento: «Una delega che non prevede nemmeno un ufficio, aria fritta», dice un leghista del Sud eletto al Parlamento ma rimasto fuori da tutti gli incarichi.
Tra i sottosegretari non proprio del Nord in quota Lega c’è Luigi D’Eramo, abruzzese de L’Aquila, ma nelle chat leghiste si sottolinea come sia un nome voluto da Massimo Casanova, il titolare del Papeete di Milano Marittima, locale nel cuore come si sa del Capitano che da lì ha fatto cadere il governo Conte I tenendo in mano un cocktail e ballando sulla sabbia. Perfino nelle scelte dei vertici dei gruppi parlamentari della Lega non c’è traccia di eletti al di sotto di Napoli se non per uno dei quattro vicepresidenti del gruppo alla Camera, Domenico Furgiuele di Lamezia Terme.
«La verità è che Salvini ormai non risponde nemmeno al telefono», dicono i leghisti meridionali. Di certo tra i delusi ci sono vari deputati arrivati da famiglie storiche di centristi e democristiane, come il segretario della Lega in Sicilia Nino Minardo, al quale è stata data in extremis la presidenza della commissione Difesa anche per i suoi buoni rapporti con il mondo centrista più che leghista, o il collega della Campania, Giampiero Zinzi, ma anche l’avvocato Giacomo Saccomanno in Calabria.
Ma sono tanti quelli saliti sul carro leghista, e provenienti dal mondo centrista, speranzosi in un posto al sole che Salvini ha riservato soltanto ad una stretta cerchia di fedelissimi. Il vero spauracchio comunque è che Salvini non solo ha chiuso il progetto Prima l’Italia, ma per stare in piedi ha dato carta bianca a Calderoli per lo sciagurato progetto di legge sull’autonomia differenziata che di fatto condanna le regioni più povere e con meno servizi e trasferimenti dallo Stato a rimanere periferia d’Europa.
Per compensare mediaticamente l'autonomia Matteo sta rilanciando il progetto del Ponte, rimettendo in pista le aziende che avevano già vinto la gara con i governi Berlusconi: colossi come Webuild del gruppo Salini. Anche qui la spinta del Nord, mentre sul fronte ferroviario e stradale Calabria e Sicilia sono indietro di decenni e non sanno cosa sia l’alta velocità. Per essere chiari: anche le linee nuove previste nel Pnrr, come la Catania-Palermo, non sono ad alta velocità. Ma tant’è, chi pensava nel partito nazionale di Salvini e all'addio alla vecchia Lega Nord è rimasto deluso, tanto che nelle chat riservate del legisti meridionali si inizia a parlare di fare qualcosa, prima del fantomatico congresso della Lega: fondare una corrente che possa poi diventare un partito a trazione meridionale. Fantasie che non diventano realtà di sessant’anni.