Intervista

Ugo Sposetti: «Voto Elly Schlein, al Pd serve uno scossone»

di Susanna Turco   28 dicembre 2022

  • linkedintwitterfacebook

«Il partito è all’8 settembre, Stefano Bonaccini è una storia già nota, Gianni Cuperlo non so perché si candidi”. L’ultimo tesoriere Ds, custode dell’ortodossia, annuncia la sua scelta per le primarie dem. A sorpresa

«Il Pd ha bisogno di uno scossone. Forte. Per questo sto con Elly Schlein». L'endorsement che non ti aspetti arriva da Ugo Sposetti, ultimo tesoriere dei Ds, custode della complessa eredità materiale del Pci attraverso una rete di fondazioni. Colui che si immaginerebbe essere il più fermo custode dell'ortodossia opta a sorpresa per il profilo meno allineato tra quelli in corsa per le primarie dem del 19 febbraio. «Ci vorrebbe una giovane donna», era del resto stato il suo auspicio (a L'Espresso) già nel marzo 2021, dopo le dimissioni di Nicola Zingaretti. Non è dato sapere se Sposetti pensasse già a Schlein, di certo in quei giorni si proclamò «incompatibile» con Enrico Letta e non pare certo averci ripensato: «Nel partito siamo all'8 settembre», dice. Bollando il dibattito della Costituente dem come «incomprensibile» e cominciando col dirsi, semmai, «soddisfatto per l'assoluzione di Rita Lorenzetti, la ex presidente dell'Umbria, dopo dieci anni di martirio. E per l'acquisto, ad Alessandria, dell'immobile che è la sede del museo delle opere d'arte del Pci».

Nel 2021 diceva che il Pd era alle macerie. E adesso?
«Da sotto le macerie, intervengono nel dibattito coloro che hanno avuto sin qui posizioni apicali. E ora ci spiegano cosa deve fare il Pd? Dovrebbero stare zitti per un po'».

Di chi parla? Di Letta?
«Parlo di tutti: ministri, dirigenti, capigruppo. Potevano fare altre scelte. Adesso il Pd ha bisogno di cambiamenti radicali».

Le discussioni sulla carta dei valori servono?
«Non mi appassionano. C'è chi dice che c'è troppo liberismo, chi troppa sinistra. Un autorevole tra i fondatori sostiene che stiamo tornando al 1921».

È Arturo Parisi, ha detto a "Repubblica" che due democristiani, cioè Enrico Letta e Dario Franceschini, «stanno riportando il Pd nella casa le cui fondamenta sono state messe a Livorno».
«Tutti questi che parlano, lo dico con una battuta, avrebbero bisogno di qualche seduta da un bravo strizzacervelli che gli faccia capire dove siamo».

Il Pd rischia di diventare un nuovo Pci?
«Non offendiamo il Pci».

E dove è allora?
«Sull'orlo del baratro. Io dico si elegga il segretario, che formi la sua squadra, si dedichi 24 su 24 al partito, ascolti iscritti ed elettori».

In quasi quindici anni di vita il Pd ha avuto otto segretari, perché pensa che cambiarne un altro possa servire?
«Otto, bene. E perché se ne sono andati? Non ce l'hanno spiegato. Zingaretti ha tentato di fare due mestieri insieme, se ne è andato accusando le correnti. Poi è arrivato uno da Parigi: noi avevamo chiesto a Macron il ritorno in Italia di terroristi, forse c'è stato un errore di traduzione».

Di sicuro è arrivato Enrico Letta.
«Eletto all’unanimità. Senza una discussione, senza capire perché. Ha accettato di fare il segretario ma, dopo sei anni lontano, l'Italia era cambiata profondamente. Il Paese bisogna viverlo, ascoltarlo».

Di Luigi Zanda e Pierluigi Castagnetti lei disse che votano e, due ore dopo, criticano quello che è stato deciso. Però adesso, sulla fusione troppo rapida del Pd, sono sulle sue posizioni.
«Il Pd non lo volevo, l'ho detto in tempi non sospetti. Ma ho preso sempre la tessera. E di riunioni come quelle fatte dagli ex popolari all’istituto Sturzo prima di Natale diffido. Producono danni».

Quali danni?
«Il messaggio è sbagliato: è come se io organizzassi una riunione di comunisti, non avrebbe nessun significato. Abbiamo voluto il Pd, andiamo avanti con il Pd. Anche se in questi anni l’unica cosa venuta avanti purtroppo per noi è Fratelli d’Italia, un partito che - al contrario del Pd e del Pdl - è nato per difendere una storia che stava scomparendo».

Gli ultimi calcoli, non ufficiali, dicono che gli iscritti dem sono circa 50 mila.
«È quello che dico io: con 50 mila iscritti non è un partito. Per questo c'è bisogno di un cambiamento radicale. Per questo, nonostante la mia storia possa sembrare lontana, sosterrò Elly Schlein. O come si pronuncia».

Perché Schlein fa così paura a larghe fette della dirigenza del Pd?
«Non lo so, magari vorrebbero che si facessero gli stessi accordi di sempre. Di certo non intimorisce me: il Pd ha bisogno di scuotersi, perché altrimenti va a morire. Non vedo altro».

Ci sarebbe Stefano Bonaccini.
«Sono tutte cose già viste, facciamole studiare dagli storici. Bonaccini è un bravo compagno, un bravo amministratore, dove è stato ha fatto sempre bene. Ma fare due mestieri in politica è sempre complicato».

Mi sa dire perché si è candidato Cuperlo?
«Non lo so. L'ho chiamato per gli auguri di Natale, sempre grande affetto, ma non ho chiesto niente e lui onestamente non mi ha detto nulla».

C’è davvero il rischio di una nuova scissione?
«Le scissioni producono l’1 per cento di risultato. Visti i voti dem, anche meno».

Il Pd ha perso quasi un milione di voti tra il 2018 e il 2022. Erano 12 milioni nel 2008, siamo a 5,6.
«Un calo che riguarda anche altri. Il punto è che noi dobbiamo stare attenti a prendere atteggiamenti che alimentano l'antipolitica, perché altrimenti produciamo astensione sicura o peggio voti alle liste estreme. Siamo in una fase storica molto complicata, c'è la guerra in Europa da dieci mesi. Ci sono ricchi troppo ricchi, poveri troppo poveri, e una classe di mezzo che è in grande difficoltà, abbandonata a se stessa».

E i Cinque Stelle ormai hanno sopravanzato il Pd, almeno nei sondaggi.
«Il problema è che siamo senza un'idea, da tempo. Abbiamo teorizzato il campo largo, poi alle elezioni abbiamo fatto il campo profughi. Per non parlare dell'agenda Draghi, ma mi faceva venire l'orticaria: la politica deve avere la sua agenda, non quella di un banchiere».

E i dem ce l'hanno?
«Siamo senza guida da mesi, chi ci ha guidato non è in grado. La campagna elettorale sbagliata, poi il 26 settembre allo sbando. Ma quando mai un leader dice: "Siamo morti", come ha fatto Letta? Devi difendere i 5,6 milioni che ti hanno votato, devi rassicurarli sul fatto che prepari una riscossa. Te lo immagini se nel 1948 il segretario del Pci e quello del Psi avessero detto "siamo morti"?».

L'8 settembre del Pd.
«Tra 8 e 26 non c’è molta differenza, in effetti: qualcuno se ne è andato, il popolo è rimasto. Fortuna che ci sono stati i partigiani, allora, e adesso qualcuno che si è candidato e cerca di rivitalizzare la storia del partito».

Per il momento alcune bandiere della sinistra le sventola Giuseppe Conte. La difesa dei deboli, il pacifismo.
«In tutta la campagna elettorale i leader del Pd non hanno mai pronunciato la parola pace. Siamo nella Nato, dobbiamo essere alleati degli americani, ma non possiamo essere vassalli».

A proposito di cose non fatte o fatte poco, è soddisfatto della reazione del Pd alle notizie provenienti da Bruxelles sul Qatargate? Letta ha sospeso Andrea Cozzolino, ad esempio.
«Sospesa una persona che non è neanche inquisita, la dice tutta su come ci comportiamo a proposito di alimentare l'antipolitica. Alcuni dirigenti hanno già parlato come se avessero capito tutto: il Pd si deve vergognare, il Pd è stato penetrato dalla questione morale. Tutti hanno rivalutato Berlinguer. Ho letto una intervista il cui titolo è: "Dopo Berlinguer, quella degli ex Pci è una storia criminale"».

È Flores D'Arcais, sul "Domani".
«Affermazioni miserabili. Di fronte alle quali posso dire che noi, eredi di quella storia, abbiamo non solo il compito di conservarla, ma di tramandarla, sforzandoci di renderla attuale. Per il resto aspettiamo. Non vorrei che fra dieci anni, come per Lorenzetti, venissimo a scoprire che il fatto non sussiste».

E questo trasforma il Qatargate in una bella cosa?
«Certamente no. Ma si tratta di singoli. Perché io devo accusare il mio partito?»

Non può sfuggire che siano esponenti di una stessa area.
«Per ora è così, per ora. Significa che non c’è stata vigilanza, da parte di quelli che hanno avuto posizioni apicali».

Le pare poco?
«Queste cose succedono quando in politica si allenta il dibattito, lo scontro. Quando si allargano le maglie può entrare di tutto. Non so se riusciremo a ricrearli, ma quando c'erano i partiti organizzati, questo controllo c'era».

Trova fuori luogo scomodare Berlinguer?
«Dopo 42 anni? Quello - che andrebbe comunque contestualizzato - era un ragionamento a difesa dei partiti. Oggi vedo un ragionamento che produce antipolitica, il che non ha senso. Perché noi abbiamo bisogno di difendere la politica, il Parlamento europeo, e quel poco di partiti che sono rimasti in Italia».

Ma il Pd è pronto a darsi uno scossone?
«Non lo so, ho quasi 76 anni e parlo di scossone, è un termine che dovrebbero adoperare quelli di vent’anni».

È possibile che l'apparato voti Bonaccini e le primarie aperte le vinca Schlein?
«È colpa delle regole che a me non piacciono, era già successo con Renzi e Cuperlo. Se fai eleggere il segretario a quelli che passano per strada, la stragrande maggioranza va a uno che non conosce il partito».

E Schlein lo conosce?
«Non lo so, e per adesso questo mi interessa relativamente: serve cambiare».

È la stessa posizione di Franceschini.
«Non faccio alleanze con lui. Ma ben vengano quelli che per altre strade arrivano alla stessa conclusione».

Segno della vitalità del Pd?
«Non ci sono gli ex popolari, non ci sono gli ex comunisti, ma gente che lavora sul Pd e cerca di recuperare i voti persi. Perché le pecorelle che si smarriscono vanno recuperate. Le salvi, finché sono vive, mica gli fai l'esame».