“Lo sconforto che montava sui social di fronte allo spettacolo indecoroso visto intorno al voto per il Quirinale è stato come un’onda silenziosa che ha costretto capi politici e peones a capitolare”. La replica di un comunicatore al nostro articolo sula scarsa rilevanza dei social in questa corsa al Quirinale

Prima che iniziasse la settimana più folle degli ultimi trent’anni per la politica italiana, dove sono saltate regole e convenzioni più che consolidate della liturgia repubblicana, Mauro Munafò sull’Espresso aveva argomentato che per salire al Quirinale non servono tweet, né like, tantomeno love e wow.

 

L’elezione del Presidente della Repubblica «è un argomento che alimenta dibattito e tifo sui social e sul web, appassionando migliaia di persone, ma l’impatto che la chiacchiera digitale ha sulla sfida per il Colle è vicina allo zero».

 

Per l’aritmetica e la grammatica quirinalizie il ragionamento di Munafò non fa una grinza, soprattutto se confinato in un modello di società pre-digitale che da qualche anno ha lasciato il posto a quella che van Dijck, Poell e de Waal hanno brillantemente definito come una platform society.

 

Le piattaforme "non causano una rivoluzione, piuttosto stanno progressivamente infiltrando (e convergendo con) le istituzioni tradizionali e le pratiche che strutturano sul piano organizzativo le società democratiche”. A nessuno oggi può sfuggire “l’inestricabile relazione tra le piattaforme online e le strutture sociali, che non sono un riflesso delle prime, ma ne rappresentano il prodotto”.

 

Analisi
Sul Colle non c’è Rete: l’irrilevanza di web e social nella corsa al Quirinale
21/1/2022

Una relazione talmente fitta, pervicace ed estesa che sfrutta l’iper-connettività che "ha invaso le nostre vite in modi di cui non ci rendiamo nemmeno conto o che non comprendiamo pienamente”, per raccontarla con le parole di Tom Nichols, tant’è che basterebbe pensare per un attimo che chiunque “abbia uno smartphone o un account di posta elettronica è connesso, ed è tanta gente”.

 

Stando all’ultimo rapporto del Global Digital Report 2021, solo in Italia gli smartphone sono presenti nelle tasche e nelle mani del 97 per cento di noi, restiamo connessi per oltre sei ore al giorno ad internet, delle quali quasi due ore le trascorriamo sui social network utilizzando per il 98 er cento appunto il e i nostri smartphone, mentre, tra le piattaforme popolate da più dell’80 per cento degli italiani ci sono Facebook, Google, YouTube e WhatsApp. È questi sono solo una parte dei dati rilevabili che dovrebbero farci comprendere pienamente lo spessore della relazione tra la Rete e i nostri comportamenti pubblici, ma soprattutto riflettere sull’influenza che l’iper connettività e la piattaformizzazione delle società hanno nel condizionare i processi democratici, a prescindere dai modelli elettorali. A gennaio dello scorso anno, l’assalto al Campidoglio, che ha sconvolto il mondo occidentale, ha assunto quelle forme e quella carica di violenza solo grazie alla capacità reticolare delle piattaforme di centuplicare il messaggio e il suo carico d’odio.

 

Certo, ha ragione Munafò nel sostenere che un like non serve ad eleggere il Presidente della Repubblica, e, aggiungo, in astratto neanche un sindaco o un senatore, ma è doveroso chiederci quanto nel caso italiano l’indignazione montante della Rete, in cui i leader e i protagonisti della vicenda elettorale erano contemporaneamente protagonisti e spettatori, ha costretto tutti alla resa e all’inevitabile rielezione di Sergio Mattarella.

 

Un’indignazione che è andata crescendo sin dall’esito della prima votazione, alimentata dall’inutile esercizio dell’annuncio di nomi e rose di candidati che di volta in volta venivano inopinatamente sacrificati, dallo spettacolo indecoroso delle preferenze ad illustri sconosciuti e dall’inconsistenza di una politica tanto piaciona quanto incapace anche di fare il proprio dovere. È stata questa onda silenziosa ma violenta ad aver travolto tutti e tutto, leader, e peones, attori e retrovie, causando l’accelerazione finale che ha portato alla processione penitenziale di supplica al precedente inquilino del Colle.