I politici si agitano parecchio per i posti di lavoro. I loro. Non è un aforisma di Ennio Flaiano. E neppure un refolo di populismo fuori stagione. Ci sono centinaia di politici in esubero. Questo è un fatto politico. Nella prossima legislatura, tra un anno circa, il numero degli eletti sarà ridotto da 945 a 600 per effetto della riforma costituzionale promossa dai Cinque Stelle che, nemesi, saranno i più falcidiati. Anche Forza Italia o Italia Viva, per esempio, verranno decimate. Per i segretari Enrico Letta e Matteo Salvini, per esempio, sarà snervante compilare le liste e mostrare il pollice verso agli esausti gladiatori. Soltanto Fdi di Giorgia Meloni, ben comoda in minoranza, si appresta a una generosa messe. Almeno un senatore su tre o almeno un deputato su tre che siede alle Camere sa che non tornerà.
Più che una questione privata di almeno (va ripetuto) 345 parlamentari in esubero, è una questione pubblica che riguarda ciascuno, la politica e, soprattutto, il governo. I partiti più poveri e disadorni, a volte indebitati per cifre folli come Forza Italia, hanno già attivato gli «ammortizzatori sociali», diciamo, di categoria: un qualche incarico con qualche funzione più o meno adatta.
Il prologo si è sviluppato con chiarezza nell’agonia dell’articolo 32 della legge per la Concorrenza. Com’è scontato e spesso rimosso, la Commissione europea elargisce a rate all’Italia decine di miliardi di euro col piano di ripresa e resilienza (Pnrr) in cambio di riforme e opere concrete, terminate, realizzate davvero. La legge per la Concorrenza era un presupposto per avvicinarsi ai livelli richiesti da Bruxelles.
Lo scorso novembre, in fase di bozza, con i testi pronti all’ingresso in Consiglio dei ministri, il governo aveva inserito per l’appunto l’articolo 32 per introdurre dei criteri di trasparenza e meritocrazia per le nomine nelle Autorità indipendenti, di garanzia e di controllo. Quelle che influenzano il benessere e l’economia collettiva e sono più note in acronimi come la Consob per la Borsa, l’Agcom per le comunicazioni, il Garante per la privacy, l’Agcm per il libero mercato, l’Anac per l’anticorruzione, l’Arera per l’energia, l’Art per i trasporti, la Covip per i fondi pensione, la Cgs per gli scioperi. Luoghi ambiti dai politici per prestigio e durata (6/7 anni sicuri). L’ultimo vincitore è il leghista Massimiliano Capitanio appena indicato all’Agcom e che per rimarcare il concetto di indipendenza ha esitato a presentare le dimissioni da deputato.
Mario Draghi e una parte del governo, parte non consistente, con l’articolo 32 intendevano affidare a una commissione tecnica di «alto profilo e moralità» la scrematura per titoli dei candidati alle Autorità, circoscriverli in una quaterna e poi lasciare ai decisori - a volte tocca ai presidenti di Camera e Senato, altre ai deputati e ai senatori, altre al medesimo governo - la scelta finale. (Nota bene: Capitanio probabilmente non sarebbe rientrato nella quaterna).
Nel tragitto dagli uffici legislativi al tavolo rotondo del Consiglio dei ministri, l’articolo 32 ha subìto una profonda modifica, è stato sfigurato: la commissione tecnica è stata così esclusa dalle nomine di competenza del Parlamento, rimanendo soltanto per quelle del governo.
Le Camere con i presidenti Elisabetta Casellati (Senato) e Roberto Fico (Camera) hanno invocato l’autodichia (l’autonomia) degli eletti e dunque l’assoluta discrezionalità. Com’è sempre accaduto. Un breve compendio. Il professor Pasquale Stanzione (classe ’45) ha ottenuto la Privacy per ragioni anagrafiche, era il più anziano dei candidati, perciò l’unico che potesse scongiurare la presidenza del senatore Ignazio La Russa. Il consigliere parlamentare Giacomo Lasorella, docente di diritto costituzionale, è il capo dell’Agcom nell’epoca dello sviluppo del 5G perché assai apprezzato dai Cinque Stelle. Il magistrato Roberto Rustichelli ha ricevuto la guida dell’Agcm per insindacabile e imperscrutabile ordine di Fico e Casellati.
Insomma l’articolo 32 ad aprile è arrivato già esanime alle Camere. La contestata commissione tecnica sarebbe stata utilizzata dal governo in poche (alcune rilevanti) occasioni: presidente e quattro membri Consob, presidente e quattro membri Arera, presidente e quattro membri Anac, presidente e due membri Art e presidente Agcom. Però per la politica era comunque inaccettabile. Perché presto, è il significato, com’è lecito si riprenderà Palazzo Chigi e la differenza fra Camere e governo non esisterà più.
Pasquale Stanzione
Il primo segnale di insofferenza è pervenuto dal senatore dem Luigi Zanda con un emendamento. Zanda non si muove per inerzia. Il sottosegretario Roberto Garofoli l’ha presto inteso e si è dichiarato pronto a sopprimere lo sciagurato articolo 32 durante le trattative.
Questo è un epifenomeno di un problema più largo e più vario. La “piaga sociale” che la politica avverte su di sé ha degli effetti sulle attività del governo. Le casse dei partiti sono vuote, le tessere non valgono più, gli oboli degli eletti diminuiscono, le donazioni private sono irrilevanti, il meccanismo del 2x1000 non è sufficiente. Allora si tenta, come ha rivelato l’Espresso nei mesi scorsi, di ripristinare una forma di finanziamento pubblico dopo gli imperdonabili sprechi e le frequenti ruberie del passato. I partiti si sentono marginali, puniti, immiseriti, che sia giusto o ingiusto, che sia ipocrita o veritiero, è una condizione pericolosa, ignorata, sottaciuta, e quindi ancora più pericolosa. Perché la politica tenta istintivamente di mettersi in salvo e di rivendicare più spazio.
Il Pnrr è un’opportunità per l’Italia e ancora di più per i partiti. I ministeri hanno moltiplicato il numero dei consulenti e la portata delle “strutture di missione” che a chiamata, altro che commissioni tecniche, scremature e carrellata di titoli, si possono imbottire di esuberi del Parlamento. Con queste premesse la paura del voto è ovvia.
I partiti (tranne Fdi) spingono le urne più in là. Il limite è domenica 28 maggio 2023. Ci si aspetta l’ennesimo diluvio. Quindi le istituzioni europee e italiane - leggasi Commissione e Quirinale - sperano che sia il governo Mario Draghi a scrivere il documento di economia e finanza (Def), a completare il Pnrr sino alla quarta rata di giugno e anche a gestire il rinnovo dei consigli di amministrazione delle più importanti aziende a partecipazione statale come Eni, Enel, Poste e Leonardo, da sempre oggetto di contesa politica e metodica spartizione. In altre simili circostanze, il premier Draghi e i suoi collaboratori non hanno coinvolto appieno i partiti. Chissà se gli sarà permesso di nuovo.
Le nomine di Stato, come suggerisce la cronaca della Repubblica, sono un momento di assoluta tensione per la politica perché assegnano dei ruoli e perché segnano degli orizzonti industriali. Da qui a parlare di deputati e senatori in esubero sembra di cattivo gusto. Non parlarne, però, fa danni peggiori. L’ha detto Flaiano in “Le ombre bianche”: «Gli idealisti non muoiono più in esilio, ma passano da una crisi politica a una crisi distensiva». Coraggio.